Cenni di civiltà dell’amore Gabriele Soliani
Nel Lazio il 91% dei ginecologi pratica l'obiezione di coscienza. In nove ospedali pubblici non si fanno interruzioni volontarie di gravidanza, mentre in altri tre il servizio è sospeso oppure risulta inattivo. Sono i dati presentati giovedì 14 giugno dalla Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della legge 194) nel corso di un incontro all'Ordine dei medici di Roma. Secondo i dati dell'associazione, aggiornati a maggio, nelle province di Frosinone, Rieti e Viterbo non sarebbe possibile eseguire aborti terapeutici e il 4% dei ginecologi che ufficialmente non sono obiettori comunque non esegue interruzioni di gravidanza. E poi molti dei medici non obiettori sono alla soglia della pensione e non verranno rimpiazzati. E' sempre più evidente che i ginecologi non vogliono sopprimere bambini nel ventre materno.
Dall'altra parte nel 2011 i 329 Centri di Aiuto alla Vita sparsi in tutta Italia hanno fatto nascere 17mila bambini le cui madri erano tentate di abortire. Una media di 52 bambini per Centro, media che in vent’anni è quintuplicata.
Sommando tutti i valori annuali si conclude che, a partire dal 1975 (anno di fondazione a Firenze del primo Centro di aiuto alla vita) i bambini nati grazie all’aiuto dei CAV sono oltre 140mila. Nel 2011 le donne assistite sono state oltre 60mila. In oltre trent’anni di attività siano state assistite dai Cav oltre 450mila donne. Le prestazioni assistenziali fornite sono state decine di migliaia, soprattutto aiuti in natura, assistenza sociale, psicologica e morale, aiuti in denaro, assistenza medica. Tutto ad opera di volontari e donazioni. Le donne incinte che parlano e sono ascoltate, ed aiutate, da un CAV nell'85 % dei casi rinunciano liberamente all'aborto e fanno nascere il figlio. Eppure i volontari sono ancora malvisti dalla politica.
October Baby, il film contro l'aborto che sbanca i botteghini Usa
Il New York Times l'aveva etichettata come una pellicola di «rara bruttezza», ma la storia di Gianna Jessen arrivata sul grande schermo ha già incassato 3 milioni di dollari (il triplo di quanto è costata). Una storia positiva e solare che narra di una redenzione possibile, anche dentro il dramma di una vita rifiutata.
Uscito il 23 marzo in alcune sale cinematografiche americane era stato definito dal New York Times di una «bruttezza rara». Ma il successo inaspettato della pellicola, rifiutata da Hollywood e dalle grandi produzioni e che ha già incassato 3 milioni di dollari (il triplo di quanto è costato), ha aperto le porte di altre 500 sale che ne daranno visione il 13 aprile.
“October baby” è il titolo del film ispirato alla storia vera di Gianna Jessen, una donna scampata all'aborto tardivo che scopre di essere stata adottata. Ma, al contrario di come il quotidiano newyorkese lo aveva definito nella prima recensione («un film dal linguaggio della colpa e della paura»), la storia della ragazza dice altro. La protagonista, infatti, inizialmente arrabbiata con la vita, compirà un viaggio per conoscere il volto di sua madre. Scoprirà di essere un dono di Dio per i genitori adottivi che avevano perso due gemelli al sesto mese e di essere profondamente amata dal ragazzo che non la abbandonerà mai durante il difficile percorso. La protagonista arriverà a perdonare la madre, interpretata da una donna che, all'insaputa dei registi che l'hanno scelta, aveva fatto ricorso all'aborto nella vita reale. E che, intervistata dopo l'uscita del film, ha raccontato piangendo di voler parlare a tutti del «perdono di Dio che mi ha riabbracciato».
È così che il tema ha colpito il cuore di molti, con un “rating” di approvazione del 89 per cento nonostante le critiche negative. Per questo i registi, due fratelli dell'Alabama, Jon e Andrew Erwin, sinora sconosciuti al grande pubblico, si sono detti sorpresi. Anche se convinti sin dall'inizio che «il dibattito su questo tema è necessario a tutti». Tanto che, sebbene non fosse né nelle intenzioni né nelle aspettative dei produttori, il film sta influenzando anche la campagna presidenziale in corso. Costretta nuovamente a non prescindere dalle questioni etiche.