50 DOMANDE SULL’ABORTO
Sergio Mora La campagna Voglio vivere
D. 41: L'embrione sembra mancare di tutto quello che si attribuisce ad una persona umana: ragione, sentimenti, libertà, indipendenza. Dato che la personalità si sviluppa progressivamente, la legge non dovrebbe considerare il nascituro come una persona solo in potenza?
R. 41: Come l'esistenza della natura umana non dipende dallo sviluppo delle proprie potenzialità fisiche, così essa non dipende dallo sviluppo delle proprie potenzialità psicologiche (come la «personalità»); tutte queste potenzialità presuppongono l'esistenza della natura umana, ma non la costituiscono. Un uomo è persona ben prima di svilupparsi una propria «personalità». Dunque non possiamo discriminare i nati o i nascituri in base al loro grado di sviluppo personale.
Se così non fosse, dato che la personalità viene conseguita solo gradualmente, in un processo che continua anche dopo il parto e arriva fino all'adolescenza, allora sarebbe lecito sopprimere non solo i nascituri ma anche i bambini e i fanciulli che risultassero «immaturi». La gravità dell'omicidio dipenderebbe dall'età della vittima: uccidere un bimbo di 3 anni, che non ha ancora raggiunto l'uso della ragione, non sarebbe un crimine paragonabile a quello di uccidere un fanciullo di 13 anni. Oppure la gravità dell'omicidio dipenderebbe dalla maturità e consapevolezza della vittima: i nascituri, le persone mentalmente o psicologicamente handicappate, i malati in coma e tutte le altre categorie di persone in qualche modo minorate, verrebbero arbitrariamente private del riconoscimento di personalità e quindi del diritto a vivere; diventerebbe allora lecito ucciderle, non appena risultassero di peso per i parenti o per la comunità. L'iniziale sofisma sulla «personalità» finirebbe così col giustificare non solo l'aborto ma anche l'infanticidio e l'eutanasia.
Del resto, si potrebbe anche dire che la formazione della personalità non termina mai, per cui nessun essere umano riuscirà a sviluppare completamente la propria personalità, diventando perfetto. Resterà sempre una persona incompiuta, mancando sempre di qualche elemento necessario per raggiungere questa pienezza. In ogni fase della vita l'uomo ha bisogno di svilupparsi, che si tratti dello sviluppo intellettuale, di quello educativo, di quello affettivo, di quello comunicativo, eccetera. Se la personalità dipendesse dalla perfezione, si tratterebbe di un risultato mai conseguibile, di un'autentica utopia.
D. 42: Perché mai una legge «proibizionista» dovrebbe obbligare la donna ad una maternità che non accetta?
R. 42: Una legge che proibisce l'aborto non pretende certo di costringere la madre ad «accettare» un figlio indesiderato, ma vuole solo impedire che questo rifiuto si traduca in un omicidio. Una volta partorito, la donna può rifiutare il figlio facendolo adottare da qualcuno.
Comunque, una donna incinta è già madre; il suo figlio già esiste. Come il corpo materno provvede organicamente al bambino che ha in seno, così la psicologia della donna deve adeguarsi alla realtà della maternità, accettando la responsabilità della nuova vita che ha fatto sorgere.
D. 43. Ma se la legge non permettesse l'aborto, le donne non verrebbero costrette ad abortire clandestinamente, rischiando così la vita?
R. 43: Le statistiche provano in maniera certa che, nei Paesi in cui l'aborto è stato legalizzato con l'illusione di prevenire gli aborti clandestini, non solo il numero di aborti ottenuti legalmente è aumentato in modo progressivo, ma il numero di quelli clandestini non è diminuito.
Il dr. Christophe Tieze, un abortista, ammette: «Benché lo scopo principale delle leggi sull'aborto sia stato quello di ridurre l'incidenza degli aborti clandestini, questo risultato non è stato raggiunto. Al contrario, apprendiamo da varie fonti che gli aborti, sia legali che illegali, sono aumentati» .
Questo non deve meravigliare. Le donne che desiderano nascondere la loro gravidanza, ad esempio quando è frutto di un adulterio, preferiscono ricorrere alla clandestinità, perché né un pubblico ospedale né una clinica privata garantiscono quell'anonimato necessario per nascondere la loro colpa. Inoltre le donne che desiderano abortire dopo il termine massimo concesso dalla legge, per quanto permissiva, non possono farlo apertamente e quindi ricorrono anch'esse alla clandestinità.
D.44: I ricchi potranno sempre permettersi di abortire illegalmente senza rischi, mentre i poveri restano costretti a ricorrere ad una pericolosa e umiliante clandestinità. Non bisognerebbe quindi evitare questa discriminazione, concedendo ai poveri la «pari opportunità» di abortire con l'assistenza dello Stato, sia medica che economica?
R. 44: Permettere ai poveri di sopprimere i loro figli non significa concedere loro una «pari opportunità», ma semmai una «parità di crimine». Inoltre, il pubblico denaro dovrebbe favorire la vita, non la morte; dovrebbe essere speso per aiutare i figli dei poveri, non per sopprimerli. Come raccomanda il prof. Rice, «le sovvenzioni pubbliche dovrebbero cessare non solo per gli aborti, ma anche per ogni attività organizzativa che propaganda e favorisce l'aborto. Nessuna di queste organizzazioni dovrebbe beneficiare di vantaggi fiscali».
D. 45: Voi ammettete che certi aborti verrebbero praticati anche se la legge tornasse a proibirli. Ma allora lo Stato non dovrebbe rinunciare a promulgare divieti che non vengono rispettati?
R. 45: Da quando è possibile eliminare un male legalizzandolo? Vi sono leggi che proibiscono di saccheggiare le banche, eppure queste non cessano di essere prese di mira da bande armate. La rapina a una banca è un'attività traumatica e pericolosa: clienti, personale e rapinatori possono morire durante l'assalto. Allora lo Stato dovrebbe forse legalizzare il saccheggio delle banche, assicurando una pacifica e incruenta «distribuzione» dei risparmi bancari a beneficio dei rapinatori, illudendosi che costoro, accontentandosene, rientrino nella «legalità»?
L'aborto è un crimine ben più grave dell'assalto alle banche, perché quello che ruba - la vita - è un bene ben più prezioso del denaro e inoltre non potrà mai più essere restituito né compensato. Dovremmo allora legalizzare questo crimine atroce?