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MAGGIO 2016

     

 

50 DOMANDE SULL’ABORTO

  Sergio Mora La campagna Voglio vivere

D. 41: L'embrione sembra mancare di tutto quello che si attribuisce ad una persona umana: ragione, sentimenti, libertà, indipendenza. Dato che la perso­nalità si sviluppa progressivamente, la legge non do­vrebbe considerare il nascituro come una persona solo in potenza?

R. 41: Come l'esistenza della natura umana non dipende dallo sviluppo delle proprie potenzialità fisiche, così essa non dipende dallo sviluppo delle proprie potenzialità psicologiche (come la «personalità»); tutte queste potenzialità presuppon­gono l'esistenza della natura umana, ma non la costituiscono. Un uomo è persona ben prima di svilupparsi una propria «per­sonalità». Dunque non possiamo discriminare i nati o i nasci­turi in base al loro grado di sviluppo personale.

Se così non fosse, dato che la personalità viene conseguita solo gradualmente, in un processo che continua anche dopo il parto e arriva fino all'adolescenza, allora sarebbe lecito soppri­mere non solo i nascituri ma anche i bambini e i fanciulli che ri­sultassero «immaturi». La gravità dell'omicidio dipenderebbe dall'età della vittima: uccidere un bimbo di 3 anni, che non ha ancora raggiunto l'uso della ragione, non sarebbe un crimine paragonabile a quello di uccidere un fanciullo di 13 anni. Oppure la gravità dell'omicidio dipenderebbe dalla maturità e consapevolezza della vittima: i nascituri, le persone mental­mente o psicologicamente handicappate, i malati in coma e tutte le altre categorie di persone in qualche modo minorate, verrebbero arbitrariamente private del riconoscimento di per­sonalità e quindi del diritto a vivere; diventerebbe allora lecito ucciderle, non appena risultassero di peso per i parenti o per la comunità. L'iniziale sofisma sulla «personalità» finirebbe così col giustificare non solo l'aborto ma anche l'infanticidio e l'eutanasia.

Del resto, si potrebbe anche dire che la formazione della personalità non termina mai, per cui nessun essere umano riu­scirà a sviluppare completamente la propria personalità, di­ventando perfetto. Resterà sempre una persona incompiuta, mancando sempre di qualche elemento necessario per rag­giungere questa pienezza. In ogni fase della vita l'uomo ha bi­sogno di svilupparsi, che si tratti dello sviluppo intellettuale, di quello educativo, di quello affettivo, di quello comunicativo, eccetera. Se la personalità dipendesse dalla perfezione, si trat­terebbe di un risultato mai conseguibile, di un'autentica utopia.

 

D. 42: Perché mai una legge «proibizionista» do­vrebbe obbligare la donna ad una maternità che non accetta?

R. 42: Una legge che proibisce l'aborto non pretende certo di costringere la madre ad «accettare» un figlio indesiderato, ma vuole solo impedire che questo rifiuto si traduca in un omi­cidio. Una volta partorito, la donna può rifiutare il figlio facen­dolo adottare da qualcuno.

Comunque, una donna incinta è già madre; il suo figlio già esiste. Come il corpo materno provvede organicamente al bambino che ha in seno, così la psicologia della donna deve adeguarsi alla realtà della maternità, accettando la responsabi­lità della nuova vita che ha fatto sorgere.

 

D. 43. Ma se la legge non permettesse l'aborto, le donne non verrebbero costrette ad abortire clande­stinamente, rischiando così la vita?

R. 43: Le statistiche provano in maniera certa che, nei Pae­si in cui l'aborto è stato legalizzato con l'illusione di prevenire gli aborti clandestini, non solo il numero di aborti ottenuti legalmente è aumentato in modo progressivo, ma il numero di quelli clandestini non è diminuito.

Il dr. Christophe Tieze, un abortista, ammette: «Benché lo scopo principale delle leggi sull'aborto sia stato quello di ri­durre l'incidenza degli aborti clandestini, questo risultato non è stato raggiunto. Al contrario, apprendiamo da varie fonti che gli aborti, sia legali che illegali, sono aumentati» .

Questo non deve meravigliare. Le donne che desiderano nascondere la loro gravidanza, ad esempio quando è frutto di un adulterio, preferiscono ricorrere alla clandestinità, perché né un pubblico ospedale né una clinica privata garantiscono quell'anonimato necessario per nascondere la loro colpa. Inol­tre le donne che desiderano abortire dopo il termine massimo concesso dalla legge, per quanto permissiva, non possono far­lo apertamente e quindi ricorrono anch'esse alla clandestinità.

 

D.44: I ricchi potranno sempre permettersi di abortire illegalmente senza rischi, mentre i poveri re­stano costretti a ricorrere ad una pericolosa e umi­liante clandestinità. Non bisognerebbe quindi evita­re questa discriminazione, concedendo ai poveri la «pari opportunità» di abortire con l'assistenza dello Stato, sia medica che economica?

R. 44: Permettere ai poveri di sopprimere i loro figli non si­gnifica concedere loro una «pari opportunità», ma semmai una «parità di crimine». Inoltre, il pubblico denaro dovrebbe favo­rire la vita, non la morte; dovrebbe essere speso per aiutare i fi­gli dei poveri, non per sopprimerli. Come raccomanda il prof. Rice, «le sovvenzioni pubbliche dovrebbero cessare non solo per gli aborti, ma anche per ogni attività organizzativa che pro­paganda e favorisce l'aborto. Nessuna di queste organizzazioni dovrebbe beneficiare di vantaggi fiscali».

 

D. 45: Voi ammettete che certi aborti verrebbero praticati anche se la legge tornasse a proibirli. Ma al­lora lo Stato non dovrebbe rinunciare a promulgare divieti che non vengono rispettati?

R. 45: Da quando è possibile eliminare un male legalizzan­dolo? Vi sono leggi che proibiscono di saccheggiare le banche, eppure queste non cessano di essere prese di mira da bande ar­mate. La rapina a una banca è un'attività traumatica e pericolo­sa: clienti, personale e rapinatori possono morire durante l'assalto. Allora lo Stato dovrebbe forse legalizzare il saccheg­gio delle banche, assicurando una pacifica e incruenta «distri­buzione» dei risparmi bancari a beneficio dei rapinatori, illu­dendosi che costoro, accontentandosene, rientrino nella «legalità»?

L'aborto è un crimine ben più grave dell'assalto alle ban­che, perché quello che ruba - la vita - è un bene ben più prezio­so del denaro e inoltre non potrà mai più essere restituito né compensato. Dovremmo allora legalizzare questo crimine atroce?

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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