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GIUGNO 2016

     

 

50 DOMANDE SULL’ABORTO

4 - La società e l'aborto

 Sergio Mora La campagna Voglio vivere

 

«La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita. Ognuno, secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze, si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto. È infatti impegno di tutti accogliere la vita umana come dono da rispettare, tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale» Papa Benedetto XVI, Angelus del 3 febbraio 2008

 

D. 46: E' vero che ogni figlio ha diritto a nascere accettato ed amato dai genitori?

R. 46: Ogni figlio ha innanzitutto diritto a nascere, altri­menti non verrà accettato o amato da nessuno. Dovrebbe anche nascere in una famiglia in cui sia accettato ed amato; ma a questo ideale non si giunge permettendo di sopprimere i figli indesiderati, ma togliendo le cause che contribuiscono al loro rifiuto.

Il dr. Diamond, noto pediatra della Scuola Medica Stricht dell'Università di Loyola (USA), osserva: «Molto viene fatto allo scopo di prevenire la nascita dei figli indesiderati. Ma mi sembra che qui c'è una confusione. Essa consiste nel non riu­scire a distinguere tra il figlio indesiderato e la gravidanza in­desiderata. In 15 anni di esperienza nel campo del rapporto ge­nitori-figli, ho solo rarissimamente incontrato una madre che domandasse di sbarazzarla del figlio una volta che l'aveva con­dotto dalla clinica a casa».

Se una madre non desidera o non è capace di allevare il fi­glio che ha messo al mondo, l'alternativa moralmente accetta­bile non è quella dell'aborto bensì quella dell'adozione. Lo slo­gan «ogni figlio è un figlio desiderato» è uno slogan che significa che «ogni figlio non desiderato è un figlio soppres­so». Una società civile deve rifiutare un tale barbaro slogan.

 

D. 47: Ma che fare della povera donna del «terzo mondo» che ha già tanti figli? Non ha forse ella un gran bisogno di ricorrere all'aborto?

R. 47: Questa domanda nasconde il sofisma materialistico che possiamo chiamare «aborto socio-economico». Protegge­re le cosiddette «donne del terzo mondo», i poveri, gli emargi­nati, i discriminati, spingendoli o (peggio ancora) costringen­doli all'aborto, come pretende di fare l'ONU, costituisce una flagrante contraddizione. Non è possibile migliorare le condi­zioni di vita puntando sulla promozione della morte. Incitare le povere donne del «terzo mondo» ad uccidere i loro figli non è un esempio di filantropia bensì promozione del genocidio.

La stessa scienza economica ci assicura che non sono i na­scituri i responsabili della fame, dell'emarginazione, della di­scriminazione. Al contrario, la fertilità di un popolo può costi­tuire uno dei fattori della sua ricchezza. E' quindi del tutto ingiusto punire con la morte un bebè accampando pretesti so­cio-economici. Piuttosto, la società internazionale è obbligata a trovare una vera soluzione ai reali problemi del «terzo mon­do». Essa deve proteggere la vita nascente, senza ricorrere all'ipocrita espediente di lavarsene le mani proponendo la falsa soluzione dell'aborto.

 

D. 48: Perché i difensori della vita non promuovo­no quella «educazione sessuale» che, puntando sulla contraccezione, permetterebbe di evitare il ricorso all'aborto?

R. 48: Spesso si sente dire che la contraccezione porrebbe fine al dramma dell'aborto, e che quindi lo Stato dovrebbe pro­muovere la pianificazione delle nascite; una «educazione ses­suale» dovrebbe insegnare agli adolescenti ad usare in modo efficace i vari tipi di contraccezione, risolvendo così il proble­ma delle gravidanze indesiderate o eccedenti.

In realtà, la contraccezione non costituisce un'alternativa all'aborto ma anzi ne promuove l'accettazione e la diffusione. Essa infatti favorisce una mentalità che ricerca il piacere e ri­fiuta il sacrificio, a qualunque costo; il figlio viene visto come un peso, un problema, un ostacolo alla propria «libertà» ed «autorealizzazione». La contraccezione estingue nelle coppie il desiderio di avere figli e la volontà di accoglierli. Pertanto, quando la contraccezione fallisce od ostacola il piacere, le donne abortiscono senza scrupoli. La mentalità contraccettista spinge dunque a moltiplicare gli aborti invece di eliminarli. Al contrario, le coppie che rifiutano la contraccezione sono molto meno facili a ricorrere all'aborto.

Ha scritto Pedro Juan Viladrich: «La vita umana e le sue origini sono naturalmente legate al comportamento sessuale della coppia umana. Quando la coppia, per una qualunque ra­gione, disprezza la vita, essa banalizza il rapporto sessuale; e quando questo è banalizzato, esso colpisce la vita umana».

 

D. 49: Uno Stato può legalizzare l'aborto, almeno a precise condizioni?

R. 49: Lo Stato non ha diritto di legalizzare l'aborto, con nessun pretesto e a nessuna condizione; non essendo padrone della vita umana innocente, esso non può sacrificarla a benefi­cio di pretesi interessi sociali o politici. Se legalizza l'aborto, lo Stato legalizza l'omicidio e commette un peccato sociale, mi­nando quelle stesse basi della convivenza civile che dovrebbe tutelare. Il cittadino deve valutare una legge abortista come moralmente illecita e legalmente invalida, alla quale ha tutto il diritto di obiettare in coscienza, di opporsi civilmente e di chie­derne l'abrogazione.

Non cambia nulla il fatto che uno Stato legalizzi l'aborto per decisione democratica di una qualche maggioranza, sia parlamentare che elettorale. La volontà popolare, anche se au­tentica, non ha diritto di stabilire ciò che è buono e giusto, né può trasformare il male in bene; essa può solo tollerare un male inevitabile ma non può legalizzare un male, nemmeno col pre­testo di evitarne uno maggiore.

Afferma Giovanni Paolo II: «Il valore della democrazia sta o cade con i valori ch'essa incarna e promuove. Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli mag­gioranze di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto legge naturale, è iscritta nel cuore dell'uomo ed è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. (...) Quando una maggioranza parlamenta­re o elettorale decreta la legittimità della soppressione della vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione ti­rannica nei confronti dell'essere umano più debole e indifeso? (...) Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo di coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse». (Enciclica Evangelium vitae, nn. 70 e 73).

 

D. 50: Ma se l'aborto è davvero un omicidio, come può la società tollerare un tale genocidio di milioni di persone all'anno?

R. 50: L'aborto esiste fin dai primordi della storia umana. Come il peccato, esso ha radice nella ribellione dell'uomo a Dio: dal Peccato originale commesso nell'Eden fino alle miria­di di peccati commessi oggi in tutto il mondo. Ma se i nostri an­tenati praticavano l'aborto o addirittura sacrificavano i loro fi­gli a Moloch, le società civili cristiane dei secoli passati hanno condannato l'aborto come un crimine commesso contro Dio e contro l'uomo.

La nostra epoca atea e materialistica abbassa il nostro livel­lo di civiltà al di sotto di quello dei pagani, quando rifiuta l'eredità cristiana per inebriarsi nella ricerca assoluta del pia­cere. L'idolo del piacere, come il Moloch dei tempi antichi, re­clama sacrifici umani; e l'aborto è un tipico esempio di come l'eros disordinato conduce a tanathos, alla morte e a quella for­ma di schiavitù che è il peccato.

Afferma Papa Giovanni Paolo II: «Reclamare il diritto all'aborto, all'infanticidio, all'eutanasia, e inscrivere questi diritti nella legge, significa attribuire alla libertà umana un significato malvagio e perverso: quello del potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questo è la morte della vera libertà: "In verità, in veri­tà vi dico: chiunque commette peccato ne diventa schiavo" (Gv. 8, 34)» . Tuttavia, «cercando le radici più profonde della lotta tra la cultura della vita e la cultura della morte, non possiamo restrin­gerle all'idea perversa di libertà. Dobbiamo giungere al cuore del­la tragedia che l'uomo moderno sta vivendo: la perdita del senso di Dio e quindi dell'uomo, tipica di un clima sociale e culturale dominato dal secolarismo che, con i suoi tentacoli onnipresenti, riesce talvolta a mettere alla prova le comunità cristiane. (...) Quando il senso di Dio è perso, si tende a perdere anche il senso dell'uomo, della sua dignità e della sua vita».

 

Conclusione

E sia, io condanno e rifiuto l'aborto; preser­verò la mia famiglia da questo inganno e da questa piaga. Avrò così fatto tutto quanto e in mio dovere?

R.: No: preservare la propria famiglia non basta. Barricarsi nelle mura di casa non servirà a nulla, se non forse a ritardare un poco la nostra rovina, perché la cultura di morte penetra nel­le nostre case, seduce le nostre anime e manipola le nostre co­scienze, specie quelle dei giovani, con le arti sopraffine impie­gate dai mass-media e dalla loro propaganda.

L'offensiva della cultura di morte è sociale e quindi richiede una controffensiva sociale; è il bene comune della società, ed an­che quello della Chiesa, che sono minacciati, per cui abbiamo il dovere d'impegnarci nel campo civile e religioso in difesa della famiglia, della patria e della Chiesa. Bisogna affrontare il proble­ma alla radice e svellerne le cause. Queste cause sono innanzitut­to culturali, morali e spirituali. Bisogna innanzitutto denunciare la «cultura di morte» nei suoi slogan, nei suoi sofismi, nelle sue seduzioni; poi bisogna lottare contro i suoi promotori, i propagan­disti, i complici. Bisogna anche promuovere come alternativa la cultura della vita, che è in realtà la cultura della verità, quella che si basa sul dogma cristiano e che si esprime nei più nobili senti­menti morali e che si nutre delle virtù religiose e civili, specie quelle che rendono possibile e amabile il sacrificio. Ad eros biso­gna sostituire l'autentico amore cristiano, a tanathos lo spirito di sacrificio. Così facendo, potremo restaurare, con l'aiuto di Dio, le basi della società cristiana, sconfiggendo i mostri del XX secolo che vorrebbero dominare anche il XXI.

L'ora della nostra prova è giunta. Nell'opporci all'aborto e di­fendere la vita, dobbiamo usare l'eterno rimedio: ora et labora, prega e lotta. Noi dobbiamo pregare perché in definitiva tutto di­pende da Dio, ma anche lottare come se tutto dipendesse da noi.

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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