50 DOMANDE SULL’ABORTO
4 - La società e l'aborto
Sergio Mora La campagna Voglio vivere
«La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita. Ognuno, secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze, si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto. È infatti impegno di tutti accogliere la vita umana come dono da rispettare, tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale» Papa Benedetto XVI, Angelus del 3 febbraio 2008
D. 46: E' vero che ogni figlio ha diritto a nascere accettato ed amato dai genitori?
R. 46: Ogni figlio ha innanzitutto diritto a nascere, altrimenti non verrà accettato o amato da nessuno. Dovrebbe anche nascere in una famiglia in cui sia accettato ed amato; ma a questo ideale non si giunge permettendo di sopprimere i figli indesiderati, ma togliendo le cause che contribuiscono al loro rifiuto.
Il dr. Diamond, noto pediatra della Scuola Medica Stricht dell'Università di Loyola (USA), osserva: «Molto viene fatto allo scopo di prevenire la nascita dei figli indesiderati. Ma mi sembra che qui c'è una confusione. Essa consiste nel non riuscire a distinguere tra il figlio indesiderato e la gravidanza indesiderata. In 15 anni di esperienza nel campo del rapporto genitori-figli, ho solo rarissimamente incontrato una madre che domandasse di sbarazzarla del figlio una volta che l'aveva condotto dalla clinica a casa».
Se una madre non desidera o non è capace di allevare il figlio che ha messo al mondo, l'alternativa moralmente accettabile non è quella dell'aborto bensì quella dell'adozione. Lo slogan «ogni figlio è un figlio desiderato» è uno slogan che significa che «ogni figlio non desiderato è un figlio soppresso». Una società civile deve rifiutare un tale barbaro slogan.
D. 47: Ma che fare della povera donna del «terzo mondo» che ha già tanti figli? Non ha forse ella un gran bisogno di ricorrere all'aborto?
R. 47: Questa domanda nasconde il sofisma materialistico che possiamo chiamare «aborto socio-economico». Proteggere le cosiddette «donne del terzo mondo», i poveri, gli emarginati, i discriminati, spingendoli o (peggio ancora) costringendoli all'aborto, come pretende di fare l'ONU, costituisce una flagrante contraddizione. Non è possibile migliorare le condizioni di vita puntando sulla promozione della morte. Incitare le povere donne del «terzo mondo» ad uccidere i loro figli non è un esempio di filantropia bensì promozione del genocidio.
La stessa scienza economica ci assicura che non sono i nascituri i responsabili della fame, dell'emarginazione, della discriminazione. Al contrario, la fertilità di un popolo può costituire uno dei fattori della sua ricchezza. E' quindi del tutto ingiusto punire con la morte un bebè accampando pretesti socio-economici. Piuttosto, la società internazionale è obbligata a trovare una vera soluzione ai reali problemi del «terzo mondo». Essa deve proteggere la vita nascente, senza ricorrere all'ipocrita espediente di lavarsene le mani proponendo la falsa soluzione dell'aborto.
D. 48: Perché i difensori della vita non promuovono quella «educazione sessuale» che, puntando sulla contraccezione, permetterebbe di evitare il ricorso all'aborto?
R. 48: Spesso si sente dire che la contraccezione porrebbe fine al dramma dell'aborto, e che quindi lo Stato dovrebbe promuovere la pianificazione delle nascite; una «educazione sessuale» dovrebbe insegnare agli adolescenti ad usare in modo efficace i vari tipi di contraccezione, risolvendo così il problema delle gravidanze indesiderate o eccedenti.
In realtà, la contraccezione non costituisce un'alternativa all'aborto ma anzi ne promuove l'accettazione e la diffusione. Essa infatti favorisce una mentalità che ricerca il piacere e rifiuta il sacrificio, a qualunque costo; il figlio viene visto come un peso, un problema, un ostacolo alla propria «libertà» ed «autorealizzazione». La contraccezione estingue nelle coppie il desiderio di avere figli e la volontà di accoglierli. Pertanto, quando la contraccezione fallisce od ostacola il piacere, le donne abortiscono senza scrupoli. La mentalità contraccettista spinge dunque a moltiplicare gli aborti invece di eliminarli. Al contrario, le coppie che rifiutano la contraccezione sono molto meno facili a ricorrere all'aborto.
Ha scritto Pedro Juan Viladrich: «La vita umana e le sue origini sono naturalmente legate al comportamento sessuale della coppia umana. Quando la coppia, per una qualunque ragione, disprezza la vita, essa banalizza il rapporto sessuale; e quando questo è banalizzato, esso colpisce la vita umana».
D. 49: Uno Stato può legalizzare l'aborto, almeno a precise condizioni?
R. 49: Lo Stato non ha diritto di legalizzare l'aborto, con nessun pretesto e a nessuna condizione; non essendo padrone della vita umana innocente, esso non può sacrificarla a beneficio di pretesi interessi sociali o politici. Se legalizza l'aborto, lo Stato legalizza l'omicidio e commette un peccato sociale, minando quelle stesse basi della convivenza civile che dovrebbe tutelare. Il cittadino deve valutare una legge abortista come moralmente illecita e legalmente invalida, alla quale ha tutto il diritto di obiettare in coscienza, di opporsi civilmente e di chiederne l'abrogazione.
Non cambia nulla il fatto che uno Stato legalizzi l'aborto per decisione democratica di una qualche maggioranza, sia parlamentare che elettorale. La volontà popolare, anche se autentica, non ha diritto di stabilire ciò che è buono e giusto, né può trasformare il male in bene; essa può solo tollerare un male inevitabile ma non può legalizzare un male, nemmeno col pretesto di evitarne uno maggiore.
Afferma Giovanni Paolo II: «Il valore della democrazia sta o cade con i valori ch'essa incarna e promuove. Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli maggioranze di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto legge naturale, è iscritta nel cuore dell'uomo ed è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. (...) Quando una maggioranza parlamentare o elettorale decreta la legittimità della soppressione della vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione tirannica nei confronti dell'essere umano più debole e indifeso? (...) Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo di coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse». (Enciclica Evangelium vitae, nn. 70 e 73).
D. 50: Ma se l'aborto è davvero un omicidio, come può la società tollerare un tale genocidio di milioni di persone all'anno?
R. 50: L'aborto esiste fin dai primordi della storia umana. Come il peccato, esso ha radice nella ribellione dell'uomo a Dio: dal Peccato originale commesso nell'Eden fino alle miriadi di peccati commessi oggi in tutto il mondo. Ma se i nostri antenati praticavano l'aborto o addirittura sacrificavano i loro figli a Moloch, le società civili cristiane dei secoli passati hanno condannato l'aborto come un crimine commesso contro Dio e contro l'uomo.
La nostra epoca atea e materialistica abbassa il nostro livello di civiltà al di sotto di quello dei pagani, quando rifiuta l'eredità cristiana per inebriarsi nella ricerca assoluta del piacere. L'idolo del piacere, come il Moloch dei tempi antichi, reclama sacrifici umani; e l'aborto è un tipico esempio di come l'eros disordinato conduce a tanathos, alla morte e a quella forma di schiavitù che è il peccato.
Afferma Papa Giovanni Paolo II: «Reclamare il diritto all'aborto, all'infanticidio, all'eutanasia, e inscrivere questi diritti nella legge, significa attribuire alla libertà umana un significato malvagio e perverso: quello del potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questo è la morte della vera libertà: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette peccato ne diventa schiavo" (Gv. 8, 34)» . Tuttavia, «cercando le radici più profonde della lotta tra la cultura della vita e la cultura della morte, non possiamo restringerle all'idea perversa di libertà. Dobbiamo giungere al cuore della tragedia che l'uomo moderno sta vivendo: la perdita del senso di Dio e quindi dell'uomo, tipica di un clima sociale e culturale dominato dal secolarismo che, con i suoi tentacoli onnipresenti, riesce talvolta a mettere alla prova le comunità cristiane. (...) Quando il senso di Dio è perso, si tende a perdere anche il senso dell'uomo, della sua dignità e della sua vita».
Conclusione
E sia, io condanno e rifiuto l'aborto; preserverò la mia famiglia da questo inganno e da questa piaga. Avrò così fatto tutto quanto e in mio dovere?
R.: No: preservare la propria famiglia non basta. Barricarsi nelle mura di casa non servirà a nulla, se non forse a ritardare un poco la nostra rovina, perché la cultura di morte penetra nelle nostre case, seduce le nostre anime e manipola le nostre coscienze, specie quelle dei giovani, con le arti sopraffine impiegate dai mass-media e dalla loro propaganda.
L'offensiva della cultura di morte è sociale e quindi richiede una controffensiva sociale; è il bene comune della società, ed anche quello della Chiesa, che sono minacciati, per cui abbiamo il dovere d'impegnarci nel campo civile e religioso in difesa della famiglia, della patria e della Chiesa. Bisogna affrontare il problema alla radice e svellerne le cause. Queste cause sono innanzitutto culturali, morali e spirituali. Bisogna innanzitutto denunciare la «cultura di morte» nei suoi slogan, nei suoi sofismi, nelle sue seduzioni; poi bisogna lottare contro i suoi promotori, i propagandisti, i complici. Bisogna anche promuovere come alternativa la cultura della vita, che è in realtà la cultura della verità, quella che si basa sul dogma cristiano e che si esprime nei più nobili sentimenti morali e che si nutre delle virtù religiose e civili, specie quelle che rendono possibile e amabile il sacrificio. Ad eros bisogna sostituire l'autentico amore cristiano, a tanathos lo spirito di sacrificio. Così facendo, potremo restaurare, con l'aiuto di Dio, le basi della società cristiana, sconfiggendo i mostri del XX secolo che vorrebbero dominare anche il XXI.
L'ora della nostra prova è giunta. Nell'opporci all'aborto e difendere la vita, dobbiamo usare l'eterno rimedio: ora et labora, prega e lotta. Noi dobbiamo pregare perché in definitiva tutto dipende da Dio, ma anche lottare come se tutto dipendesse da noi.