50 DOMANDE SULL’ABORTO
Sergio Mora La campagna Voglio vivere
D. 37: Ma la legge non dovrebbe almeno autorizzare una eccezione: quella dell'aborto terapeutico, nel caso in cui la vita della madre sia in pericolo?
R. 37: Un medico che cura una donna incinta non ha un solo paziente ma ne ha due: la madre e il figlio. Non c'è nulla di «terapeutico» nel sopprimere volontariamente il secondo col pretesto di salvare la prima; uccidere non può costituire una terapia. Il prof. Charles Rice, docente alla facoltà di Diritto dell'Università di Notre-Dame, sostiene che «non esiste situazione in cui l'aborto sia medicalmente necessario per salvare la vita della madre». Il dr. Roy Hefferman, della Tufts University, ha dichiarato al Congresso dei Chirurghi Americani: «Chiunque pratichi un aborto "terapeutico" o ignora i moderni metodi di trattamento nei casi di complicanze nella gravidanza, oppure non ha volontà di usarsene».
Del resto, il fine buono non giustifica l'uso di un mezzo cattivo: il sacrificio diretto del nascituro non è mai giustificato, anche se viene fatto nella presunzione di ottenerne un buon risultato. Non si può parlare invece di omicidio quando, pur tentando il medico di salvare sia la madre che il figlio, quest'ultimo muore per il semplice fatto di essere il più debole.
D. 38: Perché mai la legge dovrebbe favorire la vita del nascituro discriminando quella della madre già nata?
R. 38: La legge non può fare favoritismi discriminando una vita innocente rispetto ad un'altra ugualmente innocente. Ma proprio per questo essa deve proibire l'aborto, riflettendo il principio così saggiamente espresso da Papa Pio XII: «La vita umana innocente, quale che sia la sua situazione, dev'essere tutelata, fin dal primo momento della sua nascita, da ogni attacco volontariamente diretto. Questo principio si applica alla vita del nascituro come a quella della madre. La Chiesa non ha mai insegnato che la vita di un figlio dev'essere preferita a quella di sua madre. E' un errore formulare la questione in questa alternativa: "o la vita del figlio o quella della madre". No: né la vita del figlio né quella della madre possono essere sottoposti all'atto di soppressione. Per l'uno come per l'altra, la sola esigenza necessaria può essere la seguente: mettere in opera tutti gli sforzi per salvare le due vite, tanto quella della madre che quella del figlio»".
D. 39: La legge non dovrebbe permettere l'aborto almeno in caso di violenza sessuale o d'incesto?
R. 39: Una donna che è vittima di violenza sessuale ha diritto di resistere al suo aggressore. Ma il figlio che nascerà non è un aggressore, bensì la seconda vittima innocente; egli quindi non può essere ucciso per rimediare alla colpa commessa da suo padre. «Punire l'aggressore, non suo figlio!», osserva giustamente Miriam Cain. «Lo Stato dovrebbe semmai imporre la pena di morte ad ogni violentatore che ha commesso quel crimine, ma non all'innocente bebè che ne è la conseguenza. Aggiungere un secondo male al primo non produce un bene. Il figlio non deve pagare per il crimine commesso dal padre».
D. 40: La legge non dovrebbe permettere l'aborto almeno nel caso di un feto minorato, per evitargli l'infelicità di nascere handicappato e per risparmiare alla madre il problema di un figlio privo della «qualità della vita»?
R. 40: Come abbiamo detto, la dignità dell'uomo non dipende dalla perfezione delle funzioni vitali; ne deriva che la «qualità della vita» non dipende dalla sanità o integrità delle funzioni fisiche o psicologiche della persona. Un handicappato, anche se grave, non cessa per questo di essere uomo e quindi di avere diritto alla vita; egli merita - sia prima che dopo la nascita - la stessa protezione legale garantita a tutti gli altri cittadini. Chi gli nega questa protezione fomenta una odiosa discriminazione che mina le basi della convivenza civile. Non esiste alcuna distinzione ragionevole tra il massacro dei nascituri e quello dei nati handicappati. Sopprimere un nascituro per via dei suoi handicap costituisce un autentico caso di eutanasia prenatale.
Giustamente Papa Giovanni Paolo II denuncia quella «guerra dei potenti contro i deboli nella quale una vita, che dovrebbe richiedere una maggiore accoglienza, viene considerata come inutile, attribuendole un peso insopportabile, e pertanto viene rifiutata». Il dr. Eugene Diamond dichiara: «La constatazione di anomalie genetiche durante la vita prenatale ha prodotto lo stesso effetto della creazione di una zona franca in cui si può liberamente tirare al bersaglio».
L'argomento che pretende giustificare l'aborto per garantire la «qualità della vita» non è caritatevole bensì criminale: in nome della qualità, esso pretende di sopprimere la vita per garantirne la «qualità». Inoltre esso costituisce una grave illusione sulla possibilità di garantirsi tale «qualità». Il prof. Jerome Lejeune, noto genetista francese, riferisce questa significativa confidenza fattagli da un suo collega americano: «Tanti anni fa, mio padre era un medico ebreo che esercitava la professione a Brenau, in Austria. Un giorno nacquero nella sua clinica due bebè. Uno era un maschio forte e di buona salute, che emetteva potenti vagiti. L'altra era una femmina mongoloide, e i suoi genitori erano tristi. Ho seguito la vita di questi due bebè per quasi 50 anni. La bambina handicappata crebbe nella casa paterna e da adulta fu in grado di prendersi cura della madre, colpita da un attacco cardiaco, durante la sua lunga malattia. Non mi ricordo il nome di quella bambina. Invece mi ricordo bene il nome del bambino sano, perché egli da grande fece massacrare milioni di persone e morì in un bunker a Berlino. Il suo nome era Adolf Hitler».