La vera prevenzione
La Chiesa cattolica è regolarmente messa alla sbarra per il suo rifiuto di avallare l’uso del preservativo nella lotta alla diffusione dell’Hiv e dell’Aids. Tuttavia questa posizione non solo è frutto di un corretto ed esigente insegnamento morale, ma è sostenuta da validi elementi scientifici. Nel volume pubblicato dal National Catholic Bioethics Center di Philadelphia, dal titolo “Affirming Love, Avoiding AIDS: What Africa Can Teach the West” (Affermare l’amore, evitare l’Aids: ciò che l’Africa può insegnare all’Occidente), gli autori Matthew Hanley e Jokin de Irala spiegano perché il tentativo di fermare la diffusione dell’Hiv in Africa ha avuto così poco successo, e come tale tentativo si sia basato soprattutto sull’uso del preservativo.
Sappiamo che quasi tutte le istituzioni occidentali attive in questo campo condividono l’opinione che le politiche di riduzione del rischio, cioè la promozione dell’uso del preservativo, debbano essere prioritarie. Questo concetto si concentra sulle soluzioni tecniche anziché su quelle comportamentali.
Solo gli Stati Uniti fanno eccezione perchè hanno cambiato approccio adottando la “Strategia ABC”, in seguito al successo che questa ha avuto in Uganda. La “A” sta per astinenza, la “B” per “be faithful” (essere fedele) e la “C” per “condom use” (uso del preservativo). Secondo lo studio la parte essenziale di questa strategia è data dai primi due elementi. Infatti, ovunque vi sia stata una riduzione dei tassi di contagio di Hiv in Africa ciò è dovuto a cambiamenti fondamentali nel comportamento sessuale.
Cercare di modificare il comportamento delle persone non solo è più efficace ma rappresenta il principio medico della "prevenzione primaria". Per rendere l’idea i ricercatori ricorrono all’analo-gia con il consumo del tabacco. Forse un tempo sembrò utopistico voler cambiare una situazione in cui il 75% della gente fumava, ma le autorità sanitarie hanno intrapreso politiche tali da modificare tale comportamento. Per quale motivo quando si parla di tabacco, colesterolo, vita sedentaria, eccessivo consumo di alcol, le autorità considerano necessario e opportuno cambiare i relativi comportamenti mentre ciò non avviene per le malattie associate al comportamento sessuale?
Uno dei problemi delle politiche di "riduzione del rischio", che si affidano al preservati-vo invece che a cambiamenti comportamentali, è quella definita "compensazione del rischio". Cioè i benefici ottenuti grazie al preservativo, diretto a ridurre il rischio, possono essere annullati da un successivo cambiamento dei comportamenti a rischio. In concreto l’uso del preservativo può portare le persone a pensare di poter avere un’attività sessuale meno controllata. Questo è particolarmente rilevante in Africa, dove gli studi mostrano che quando un numero significativo di persone intraprende rapporti sessuali multipli le probabilità di infezione sono molto più alte rispetto a chi riduce le relazioni sessuali multiple.
Ridurre i rapporti sessuali multipli è essenziale per ridurre i tassi di infezione di Hiv. Ed è questa la vera prevenzione.
L’esempio migliore a conferma di questo viene dall’Uganda dove i tassi di infezione da Hiv sono diminuiti dal 15% del 1991 al 5% del 2001. Ciò che ha prodotto questa forte riduzione è stato il grande cambiamento nei comportamenti sessuali.
Ma la questione centrale di tutto il discorso è un'altra. Si tratta delle due visioni sulla sessualità umana: una è quella che considera la sessualità un'esperienza interna al matrimonio con i confini morali e della autolimitazione, l’altra è la cultura occidentale che esalta la libertà assoluta del "sesso". Ed è proprio quest'ultima che cerca soluzioni tecniche (il preservativo) per evitare le conseguenze indesiderate della cosiddetta "attività" sessuale. In campo educativo e preventivo le soluzioni tecniche, lo sappiamo, sono insufficienti e di basso profilo.
Gabriele Soliani