A proposito di pandemia...
La “vita diocesana” di cui questa rubrica ha il compito di parlare ha vissuto e in parte sta ancora vivendo, come le nostre vite personali, un ‘tempo sospeso’. Le attività si sono sostanzialmente interrotte l’8 marzo, quando ha avuto inizio anche per Roma il periodo di “blocco” che solo recentemente è stato moderato. Speriamo che presto tutto torni alla normalità, ma ancora dobbiamo attendere.
La Lettera sulla ripresa del cammino pastorale che il Cardinale vicario, mons. De Donatis ha inviato alla Diocesi nella Domenica della Divina Misericordia, illustrava bene la situazione.In questo momento – diceva – siamo la chiesa nel Cenacolo del Sabato santo...che si è blindata in casa, spinta anche dalla paura di incontrare gli altri. In quel documento che sarebbe bene leggere per intero, il cardinale ci invitava a custodire la fede che Cristo è vivo e a meditare, per comprendere bene forse per la prima volta, che il centro della nostra fede è il Mistero della Morte e della Resurrezione di Cristo. E’ la Pasqua la buona notizia che cambia tutto il resto. E’ questa la buona notizia (il Vangelo) che dobbiamo annunciare.
Quest’anno abbiamo celebrato la Pasqua nel chiuso delle nostre case: forse abbiamo riscoperto (o, per i più fortunati, rafforzato) la dimensione familiare della fede e questo è – come dice il Cardinale - un frutto importante di questa Pasqua 2020 da portare nel cammino sempre con noi: di fatto, la pandemia ci ha riportati alla dimensione familiare della vita della fede e della Chiesa. Siamo stati aiutati in questo dalla televisione (TV 2000, ma non solo) e dal fatto che, in tutta Italia, molti sacerdoti hanno utilizzato i mezzi informatici per portare la Parola di Dio direttamente nelle nostre case, ci hanno offerto ‘ a domicilio’ la possibilità di meditare il Vangelo del giorno. Abbiamo potuto seguire la Santa Messa ogni giorno, perché numerose sono state le occasioni per farlo a cominciare dalla celebrazione presieduta dal Papa in Santa Marta. Forse, la nostra vita spirituale si è almeno un po’ rinvigorita, approfittando anche del maggior tempo libero a disposizione (non per tutti, però! Le mamme con bambini piccoli rimasti senza scuola ne sanno qualcosa…)
Ora sembra che pian piano ci stiamo avviando verso la cosiddetta ‘normalità’. Nel documento sopra citato il cardinale De Donatis ci ricorda che il Signore Risorto esorta i discepoli ad andare in Galilea, dove lui li precederà: in un certo senso, li invita a tornare alla vita di tutti i giorni, alla vita che quotidianamente essi vivevano in Galilea, la terra dove Gesù li aveva incontrati e chiamati. Ce lo aveva ricordato anche il Papa, nell’omelia della Veglia Pasquale:
Ognuno di noi ha la propria Galilea. Abbiamo bisogno di riprendere il cammino, ricordandoci che nasciamo e rinasciamo da una chiamata gratuita d’amore, là, nella mia Galilea. Subito dopo però il Papa aveva sottolineato che la Galilea era terra abitata da molte genti; dunque ritornare in Galilea non vuole solo dire ritornare alla ‘mia’ quotidianità, ma vuole anche dire andare incontro agli altri, perché la buona novella che la morte è stata sconfitta va annunciata non solo ai ‘nostri’ ma a tutti. E’ un invito a riprendere il cammino, facendo memoria della nostra situazione di ‘chiamati’ alla salvezza (che possiamo raggiungere solo nella sequela di Cristo che ‘ci precede’ perché è LA VIA), ma è anche un invito a ritrovare la dimensione della comunità dei credenti, investiti – tutti ! - della missione di annunciare la Parola.
La vita parrocchiale sta pian piano riprendendo: domenica 24 maggio, quando abbiamo avuto la possibilità di tornare a PARTECIPARE alla Santa Messa, nelle nostre parrocchie quasi irriconoscibili, per via dei banchi spostati, delle sedie distanti, dei chierichetti spariti (ma, ‘sostituiti’ da tanti volontari che si sono occupati di ‘regolare ‘il traffico e di far rispettare le regole imposte da una situazione sanitaria non ancora del tutto risolta) abbiamo provato un senso di sollievo e di gioia: abbiamo ritrovato la comunità! La Parola che abbiamo ascoltato era nuovamente non solo per noi, ma per tutti.
Sì, per tutti. Dobbiamo evitare il pericolo di rinchiuderci intimisticamente in noi stessi. Gesù ha chiamato i discepoli uno per uno, ma poi li ha istruiti tutti insieme, è andato in giro a predicare portandoseli dietro tutti, li ha invitati – tutti!- ad andare in Galilea, dietro di Lui.
Noi che facciamo parte di gruppi che grazie a Dio ci hanno aiutati a scoprire o a riscoprire la fede, che quotidianamente ci aiutano a rafforzarla, che in questi mesi di segregazione forzata ci hanno sostenuti rendendo più lieve il peso della solitudine e dell’isolamento, noi abbiamo ora una responsabilità maggiore ma – più che tanti altri- corriamo il rischio di rinchiuderci in noi stessi (o nella nostra comunità, che è lo stesso) : ‘Spalancare le porte a Cristo’ senza paura vuol dire anche questo: aiutare gli altri ad aprire le porte del loro cuore (ammesso che le porte del ‘nostro’ cuore siano veramente aperte a Lui) e invitarli ad accogliere quella Buona novella che è Cristo stesso.
Dice ancora il cardinale De Donatis, concludendo la sua Lettera: continuiamo la missione di evangelizzare e servire i nostri fratelli, di comunicare loro la speranza del Vangelo a partire da una crescita interiore, nostra, che vada di pari passo, che ci riguarda e che non possiamo trascurare.
Per poter fare questo, abbiamo bisogno di poter praticare il nostro culto liberamente: abbiamo bisogno di entrare in Chiesa senza numeri chiusi, di partecipare alle Sante Messe, di pregare in ginocchio se lo desideriamo (sì, perché in diverse chiese è impossibile inginocchiarsi sia perché non vi sono i banchi, sia perché si è espressamente invitati a non farlo!), di sfilare in processione lungo le strade dei nostri quartieri (quest’anno niente processione nella Domenica delle palme, niente via Crucis nelle vie della parrocchia, niente recita del Rosario presso le edicole tanto numerose – per fortuna - nelle nostre strade, niente processione a chiusura del mese di maggio..). Non diciamo questo per lamentarci (ci hanno detto che era necessario comportarci così, e siamo stati obbedienti e pazienti): lo diciamo perché di tutto questo, di questa possibilità di esercitare liberamente e pubblicamente il culto, abbiamo bisogno, di tutto questo non possiamo fare a meno. Nessuna Messa in streaming, anche se celebrata a Lourdes o a Pompei, anche se celebrata dal Papa, può sostituire la partecipazione diretta all’Eucarestia, magari presieduta dal più umile dei sacerdoti: umile sì, ma in grado con il suo ministero di regalarci la Presenza Reale di Gesù.
E Papa Francesco ce lo ha fatto capire: dopo essere stato vicino ai fedeli nell’unico modo in cui poteva farlo data la situazione, nel momento in cui è stato possibile riprendere le celebrazioni con la presenza del popolo, si è umilmente e serenamente fatto da parte, rinunciando a celebrare in diretta proprio, io credo, per ricordarci che è il momento di ritornare nelle nostre parrocchie.
Facciamolo dunque, con prudenza e attenzione, ma facciamolo con gioia e rinnovata consapevolezza. Diamo testimonianza che la libertà di culto in tutte le sue forme è un diritto di cui non possiamo e non vogliamo essere privati, oltre che un bisogno dell’anima che è troppo doloroso non soddisfare.
Speriamo e preghiamo perché il virus responsabile di questa pandemia sparisca al più presto, perché si trovi un vaccino e anche delle cure appropriate; continuiamo ad essere prudenti e responsabili nei nostri comportamenti seguendo con serenità le norme e i suggerimenti che di volta in volta ci vengono dati. Il Signore sa perché ha consentito tutto questo. Noi non dobbiamo fare altro che affidarci a Lui e chiedergli di mandarci lo Spirito (siamo in tempo di Pentecoste!) a guarire le nostre anime e a fortificarci. Noi siamo di Dio, Lui non ci abbandonerà. La Chiesa è di Dio, Lui se ne prenderà cura.
Antonella