La speranza (Dada)
C’è un momento, nel racconto evangelico, in cui, sul cammino di Gesù, entra in scena un giovane ricco.
I due s’incontrano e Gesù, prima di sapere che cosa il ragazzo gli dirà, lo guarda e lo ama. Significativo questo inizio. Gesù vede in quella persona un fondo di ingenuità.
Il giovane gli parla della sua vita in poche parole e annuncia che sempre ha ottemperato ai suoi doveri di persona ligia e timorata di Dio. Con poche parole in sostanza egli intende sottolineare le virtù che ha esercitato nella sua ancora breve vita. Che cosa dovrà ancora fare per accontentare Dio? E Gesù risponde con una frase provocatoria: “Lascia tutto e seguimi”.
Ma il ragazzo se ne va, un po’ deluso, certamente sconsolato.
Lo amò Gesù quel giovane, perché ne scrutò il cuore e ne vide il suo candore. Il giovane uomo doveva ancora riflettere sul suo vissuto, capirne il significato profondo, vivere con crescente consapevolezza le virtù annunciate.
Gesù perciò lo lasciò andare alla conquista di sé.
Che ne sarebbe di quel giovane se incontrasse Gesù ai giorni d’oggi?
Quale risposta gli darebbe il Signore?
Certamente ne vedrebbe il cuore, come allora e, se possibile, lo amerebbe di più. Perché il giovane ricco dei tempi attuali ha bisogno prima di tutto di uno sguardo di misericordia.
Gesù ne vedrebbe il cuore straziato dalla sazietà delle cose del mondo, pieno di certezze che sono il contrario della Speranza di cui è pregna la Buona Novella. Certezze in un mondo che ha spalancato le porte alla tecnologia a al progresso conseguente, in vista della felicità e del benessere, sbandierati come un diritto.
L’accumulo dei prodotti del benessere, la libertà individuale annunciata da certe filosofie e praticata fino all’esasperazione, sino a confondersi con il libertinaggio, l’avidità di avere tutto e subito, hanno col tempo lasciato un vuoto.
Sazietà e certezze da una parte, dall’altra il vuoto.
Il vuoto di speranza, perché il progresso senza fine, ostentato nel “Secolo dei lumi”, l’ha privata di significato.
Il giovane lascia le virtù, le ritiene vincoli inutili, e si lascia incontrare dal luccichio dell’effimero: lo abita, lo sfrutta, lo fa suo, si arricchisce forse anche, ma chiude la porta alla speranza.. Perché la speranza è il contrario della certezza. La speranza contiene in sé la fiducia nelle proprie virtualità e dà una spinta in avanti, verso qualcosa che parte dall’uomo che ha coscienza di sé. La speranza contiene l’essenza della giovinezza, piena di entusiasmo e di fiducia.
La speranza non è calcolo, ma è attesa e consapevolezza che non tutto si può spiegare razionalmente, non tutto si può avere, ma tutto ha un senso, basta saper guardare con gli occhi della dimensione che ci porta al trascendente. L’Oltre che contiene le ragioni del cuore e dello Spirito, cui fa supporto la mente affinata da un pensiero aperto all’Infinito.
Una mente ormai libera da egoismi e da avidità, non più legata ad abitudini e certezze effimere che non portano niente di nuovo e di superiore. Un pensiero che è andato oltre l’immanente e che sa cogliere la speranza come un valore permanente e immutabile, capace di camminare in avanti ma guardando sempre in Alto.
Allora sì, quel giovane del Vangelo capirebbe che lo spogliarsi di tutto e seguire la Parola si carica di valori: fede nelle proprie potenzialità, fiducia nella Parola, speranza come attesa del superamento dell’ego per aprirsi all’Amore.
(segue)