L’Infinito Giacomo Leopardi
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
“Sempre caro mi fu quest’ero colle,
e questa siepe …”
Un colle silenzioso, quasi un eremo in cui rifugiarsi per meditare e contemplare le bellezze della natura. Una siepe radicata sul colle, quasi una paratia, un freno a quella vita che va oltre quella che ci è data. Il poeta si mette a sedere e guarda: non vede soltanto ma guarda. E guardando approfondisce un suo “sentire”, quel qualcosa che altre volte forse aveva guardato e sentito.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle: dunque già altre volte quello era stato per lui un luogo familiare. Ma quel giorno accade qualcosa di inaspettato; gli si svela il mistero, che in qualche modo gli era stato impedito da quella siepe. Ora egli va oltre la siepe finalmente, ci va con gli occhi della mente e il sentire dell’anima: è il fascino ineffabile dell’Oltre. E’ il possedere l’orizzonte, è il sentire che il Creato ha un’anima vibrante, che si esprime in un vento fremente fra le fronde. C’è sgomento sentirsi parte del Cosmo e percepire che il tutto è contenuto in noi, perché noi siamo abitati da quell’Oltre.
C’è il superamento della siepe. La siepe siamo noi. La siepe non si può muovere, è radicata
nell’humus che è parte della nostra materia. Ma noi siamo di più, capaci di un superamento del sé, capaci del trascendente.
Il silenzio, la contemplazione, il contatto rispettoso e ricco di meraviglia con la natura ci aprono orizzonti sconosciuti e ci svelano la verità sulla NOSTRA natura. Ci accorgiamo che i sensi della materia, di cui siamo fatti, possono andare oltre l’uso che ne facciamo, e che possiamo svelare il “di più” che è in noi.
Gli occhi, semplice organo che media tra l’immagine e il pensiero, serve anche a guardare e non solo a vedere; dove guardare è un dare significato all’informazione che ci viene data, ma che il nostro “sentire” fa andare oltre, arricchisce ed offre dei valori aggiunti e inaspettati. Ecco la meraviglia! Non più paure, non più egoismi, ma il senso di contenere “qualcosa” che si svela e ci consente di volare verso l’Infinito, quell’Infinito che il poeta così magistralmente ci ha espresso nella sua poesia.
Non c’è più niente intorno che frena e trattiene: siamo liberi, capaci di aprirci alla nostra vera essenza, liberi da attaccamenti effimeri, capaci di volare “oltre il sole e l’etere …” per aprirci al “linguaggio dei fiori e delle cose da niente …”
E’ da questa libertà e da questo sentire che nascono i valori veri. E’ dal dimenticarci fiduciosi in Dio che affiorano i valori, concretizzazione dell’Ineffabile.
I valori sono il linguaggio di ciò che non si può spiegare, ma che rendono prezioso l’agire dell’uomo.
Elevazione Charles Baudelaire
Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli,
delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari,
oltre il sole e l’etere, al di là dei confini delle sfere stellate,
anima mia tu ti muovi con agilità,
e, come un bravo nuotatore che fende l’onda,
tu solchi gaiamente, l’immensità profonda
con indicibile e maschia voluttà.
Via da questi miasmi putridi,
va’ a purificarti nell’aria superiore,
e bevo come un puro e divin liquore
il fuoco chiaro che riempie i limpidi spazi.
Alle spalle le noie e i molti dispiaceri
che gravano con i loro pesi sulla grigia esistenza
felice chi può con un colpo d’ala vigoroso
slanciarsi verso campi luminosi e sereni;
colui i cui pensieri, come allodole,
verso i cieli al mattino spiccano il volo
che plana sulla vita, e comprende senza sforzo
il linguaggio dei fiori e delle cose mute.
Rubrica a cura di Dada