DIALOGO COME LITURGIA Dada
Ho partecipato con molta gioia nel cuore alla Messa del giorno dell'Epifania. Ai piedi dell'altare Gesù Bambino sta in un cesto e, ai lati, Maria e Giuseppe adoranti. Ci si è fermati riverenti di fronte a quella creaturina, figura gigantesca nella Storia dell'umanità. C'era chi s'inchinava do fronte a tanta Grandezza, altri Gli toccavano appena il ginocchio, altri portavano un bacio appoggiando leggera la mano sul corpicino nudo. Subito dietro, un grande Crocifisso: l'immagine dello stesso Cristo, messo in croce!
E l'assemblea intanto cresceva di numero in attesa del sacerdote per officiare la S. Messa.
Inutile formulare un “perché?”, ma fondamentale rendermi conto che io, come tutti gli altri, eravamo riuniti a rappresentare e celebrare la pienezza dell'uomo, voluta da Dio. Quel Dio che si è manifestato al mondo, nella fragilità umana, ma con la forza dell'Onnipotente.
Ho pregato per tutti i Cristiani e i Rappresentanti delle altre religioni non cristiane, e ho chiesto la pace, ricordando quanto Papa Giovanni Paolo II dice nell'enciclica “Ut unum sint”: “Quando il nostro sguardo percorre il mondo, la gioia invade in nostro animo. Constatiamo, infatti, che i cristiani si sentono sempre più interpellati dalla questione della pace. Essi la considerano strettamente connessa con l'annuncio del Vangelo e con l'avvento del Regno di Dio”.
Intanto si è dato inizio alla Celebrazione Eucaristica e ci prepariamo a celebrare con i Sacerdoti: anche noi, come lui, partecipi del carattere profetico, regale e sacerdotale del Cristo, continuandone così l'opera nella storia, in un dialogo tra Cielo e terra. Il trascendente e l'immanente che si fanno partecipi di ciò che noi, esseri umani, abbiamo reciprocamente da dirci!
Perché cercare al di fuori di questo patrimonio che Dio ha mandato, in suo Figlio Gesù, a ciascuno nella propria vita? Se veramente ci rendessimo conto della grandezza di questo dono, non avremmo bisogno di altro.
Desidero riportare qui, alla lettera, quanto dice Raion Panikkar a proposito della “natura liturgica del dialogo interreligioso”:
da: “ L'Incontro indispensabile: Dialogo delle religioni ” Raion Panikkar ed. Joca Book”
…ha una natura liturgica…
Le moderne lingue occidentali desacralizzate non hanno una parola adatta per questo. Se mi esprimessi dicendo che il dialogo dovrebbe essere un rito o rappresentare un atto di culto, mi resterebbe da spiegare cosa intenda per “rito” o “culto”. Preferisco parlare di atto liturgico, pienamente consapevole del fatto che anche questa espressione necessita spiegazioni. Liturgia, propriamente compresa, significa opera (ergon) del popolo (laos), dove quest'opera è ispirata dallo Spirito. E' una sinergia che riunisce tutti i “tre mondi” – cosmico, umano e divino.
Il dialogo delle religioni come atto liturgico, manifesta della non dualità di teoria e prassi, di individuo e comunità, di politica e religione, di divino e umano. Il dialogo non è una nuova religione. E' liturgia alla quale ogni persona, e direi ogni cosa, è invitata, finalizzata a trasformare tutte le cose mentre mantiene l'identità di tutte le parti e di tutti i partecipanti. Ogni liturgia è un processo di trasformazione, una trasfigurazione.
Le religioni entrano nel dialogo come entrerebbero in una liturgia, per celebrare – ciascuna nel modo suo proprio – il miracolo della vita (o comunque ogni religione lo voglia chiamare). Ciascuna religione può credere di rappresentare la verità più alta e di giocare il ruolo principale, ma ciascuna è anche pronta ad ascoltare l'altra e a lasciare che il gioco della vita si svolga, senza violenza o furbizia. Accade qualcosa nel dialogo che non è controllabile da nessuna delle due parti. Il rischio è affrontato perché c'è fiducia. Molte calunnie e sospetti vengono meno da soli.
Ho più volte insistito sul fatto che ogni dialogo è una communicatio in sacris , una santa comunione, senza la quale non può veramente sussistere alcuna comunità umana.
Riporto inoltre testualmente una lettera del Sign. Franco di Milano, apparso su “Famiglia Cristiana”, cui risponde Mons. Pietro Rossano, e che introduce il capitolo: “L'incontro e il confronto con il credente in allah” (da: “Ecumenismo e dialogo tra le religioni” Ed S. Paolo)
L'incontro e il confronto con il credente in Allah
Domanda:
Da qualche anno frequento degli extracomunitari, ad alcuni di loro ho trovato lavoro, spesso sono ospiti nella mia famiglia e parecchi hanno eletto casa nostra quale domicilio legale. Mi ha fatto riflettere la grande spiritualità e fede che li anima, quel rapporto diretto con Dio che riescono a stabilire in ogni dove con l'aiuto di un tappeto pulito e di un po'di silenzio. Noi cattolici, senza chiesa e sacerdote, siamo persi. Franco M. - Milano
Risposta:
L'incontro con seguaci di altre culture e religioni ci interpella ormai quotidianamente. Ciò dovrebbe servire non soltanto ad allargare le nostre conoscenze ma anche a rendere più lucida e consapevole la nostra identità religiosa. È necessario per questo conoscere con maggior esattezza i contenuti della propria fede e in che cosa si distingue da altre religioni.
Stima per chi crede
II nostro lettore è lodevole per lo spirito di ospitalità che lo anima e per l'attenzione che riserva al sentire religioso degli extracomunitari. Non è il primo a sentirsi toccato e quasi ammirato dalla chiarezza della professione di fede di tanti musulmani. Lo stesso nostro papa, nella sua prima enciclica Redemptor hominis , non soltanto ha espresso, al seguito del concilio, la stima della Chiesa per «i grandi valori spirituali» e per «il primato di ciò che è spirituale» affermato nelle religioni non cristiane, ma ha scritto: «Non avviene forse talvolta che la ferma credenza dei seguaci delle religioni non cristiane - effetto anche essa dello Spirito di verità, operante oltre i confini visibili del Corpo mistico della chiesa "può quasi confondere i cristiani, spesso così disposti a dubitare, invece, nelle verità rivelate da Dio e annunciate dalla Chiesa?». E continua: «E' nobile, essere predisposti a comprendere ciascun uomo, ad analizzare ogni sistema, a dare ragione a ciò che è giusto; ma ciò non significa assolutamente perdere la certezza della propria fede, ovvero indebolire i principi della morale».
Dare testimonianza
Dicevo all'inizio che l'incontro e il confronto con i seguaci di altre religioni, e in particolare con i seguaci dell'islam, deve stimolare a conoscere un po' a fondo la loro identità spirituale, ma anche ad approfondire la propria fede religiosa e vederne con chiarezza sia le differenze sia le somiglianze. Soltanto su queste premesse è possibile intrecciare un dialogo interreligioso che non si risolva in confusione e dubbi, ma stimoli a crescere interiormente e a dare il meglio di sé nel rapporto con l'altro. In termini cristiani e ciò che si dice dare testimonianza della propria fede o, secondo le parole della prima lettera di .san Pietro, «rendere ragione della speranza che c'è in noi, con amabilità e rispetto» (IPt 3,15-16).
Venendo al caso nostro, l'islam a confronto con ilo cristianesimo si presenta come una religione senza mediazione e senza sacramenti. Il cristiano crede che Gesù è il mediatore tra Dio e gli uomini. Secondo un antico assioma, in lui Dio si è fatto uomo perché l'uomo potesse elevarsi fino a Dio. Per questo si dice in teologia che l'umanità di Gesù è il primo dei sacramenti, o il «sacramento originario» con cui Dio Uno e Trino si comunica agli uomini. E Gesù continua nella Chiesa, attraverso l'attività sacramentaria, la sua mediazione per dare agli uomini lo Spirito di Dio e con lui la dignità e la gloria di figli di Dio. Di fronte a questa offerta divina tutti i credenti sono eguali.
«Fra tutti i cristiani, in forza della rigenerazione in Cristo, sussiste una vera eguaglianza nella dignità e nell'agire, e per tale. eguaglianza tutti cooperano all'edificazione del corpo di Cristo (cioè la Chiesa) secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno». Così si legge nel canone 208 del Codice di diritto canonico. Nella eguaglianza fondamentale dei cristiani vi sono tuttavia compiti differenziati. Tutti sono partecipi del carattere profetico, regale e sacerdotale di Cristo, e ne continuano l'opera nella stona; ma esistono funzioni diverse, a seconda che si tratti di persone ordinate a particolari servizi, come i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, o ci persone che non avendo ricevuto una ordinazione particolare svolgono la loro opera di cristiani nella società, come i laici e i religiosi.
E' erroneo pensare, come fa il nostro lettore, che nella Chiesa «il sacerdote avoca a sé il monopolio dei rapporti tra Dio e i fedeli, a mo' di via gerarchica, come nell'esercito». Anche se soltanto il sacerdote, in virtù dell'ordinazione, presiede la liturgia della messa, tutto il popolo di Dio ne partecipa attivamente, tutti si uniscono a Cristo nello Spirito e si offrono con lui a Dio. L'unico vero mediatore è Cristo; lui è !a via per entrare nella comunione con il Padre.
Nessuna mediazione nell'islam
Nulla di tutte questo accade nell'islam, come ha intuito giustamente il nostro lettore. Lì non c'è mediazione, non c'è «un ponte» -per adoperare l'immagine di santa Caterina da Siena - attraverso il quale Dio si comunica agli uomini e per il quale gli uomini entrano in comunione con Dio. Nell'islam Dio sta al di là di ogni orizzonte storico, è unico e incomunicabile, non conosciuto e non partecipato; i «novantanove bei nomi» (e sono belli davvero e apprezzabili) con i quali il pio musulmano lo esalta, scorrendo i grani della “subha”, sono attributi con i quali egli ha permesso di essere invocato, ma il suo vero nome ci sfugge. Il Corano e la Legge egli li ha «fatti scendere» dalla sfera della sua trascendenza, e gli uomini li accettano prostrandosi fino a terra, battendo con la fronte al suolo, per guardare di nuovo a lui e lodarlo. C'è del grande e del vero in questo, ma tra il musulmano e Allah non c'è mediazione, come avviene nella Chiesa per mezzo di Gesù Cristo, la cui attività continua nella storia grazie alla comunità di quelli che credono in lui e operano per «l'edificazione del suo corpo» e per «l'avvento del Regno di Dio».
Pietro Rossano
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DUE PAROLE SU: INDUSTRIA – SVILUPPO
Ferdinando (Comunità di Genova)
Vi rifletto questa mattina. Due termini positivi. Due situazioni che hanno formato il progresso degli ultimi due secoli. In teoria si dovrebbe vivere meglio. Ma è proprio così?...
Certo, molte comodità sono scaturite nel nostro modo di vivere, ma, pensandoci bene “industria” è stato l'inizio dell'inquinamento e del degrado dell'ambiente naturale.
“sviluppo”… Ho ricevuto una cartolina da Dakar, spedita dalla cara amica senegalese Ouny. E' un paesaggio allucinante: un agglomerato di palazzi e grattacieli affacciato sull'Oceano con i vari moli di attracco del porto e, in periferia, si nota un tratto della zona povera, di baracche e miseria.
Sviluppo? o Speculazione?
L'Africa, il più bel continente del pianeta, sfruttato e deturpato per interessi economici e di potere, come del resto, buona parte della nostra bella Italia, dove la speculazione edilizia ha distrutto le migliori zone della costa. Un paese che avrebbe dovuto puntare su agricoltura e turismo, per clima, arte e paesaggio, dal mare ai monti….
Ora è il miracolo della tecnologia che avanza e rende tutto più comodo, dal lavoro allo svago, ma la comodità ha un caro prezzo e per procurarsela si accumulano impegni e si creano mille nuovi problemi: problemi dei vecchi, dei giovani, della famiglia, della casa, della scuola, della sanità… e arrivano le nevrosi, lo stress, le incomprensioni, le insoddisfazioni e la ricerca di evasione in folli esperienze.
Si fanno armi sofisticate e sempre più micidiali, il cui commercio si sostiene sul fomentare odio e guerre. Le spese per le armi prevalgono su quelle per il cibo da procurare a popolazioni affamate…. Ai posteri l'ardua sentenza!
Ma non voglio lasciarmi andare al pessimismo. La fede mi sostiene e la mia piccola goccia d'amore la darò ogni giorno alla grande sete d'amore dell'umanità e della terra finché vivrò.
Fede! Miracolosa sostenitrice! Tu sei il faro di luce che brilla al di sopra di tutte le nostre miserie e tribolazioni. Tu sei l'ancora salvatrice che non lascia perire il naufrago quando a te si aggrappa. Tu sei la scala che si congiunge all'Infinito, attenuando tutto ciò che salendo superiamo e accendendo di luci sublimi le mete da conquistare.