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NOVEMBRE 2013

     

Dai quaderni del ’44 di Maria Valtorta 27 giugno. Atti cap. 7, 2-3.  

            Dice Gesù: «Le anime che Io prediligo ricevono il comando che ebbe Abramo: “Esci dal tuo paese e dal tuo parentado e vieni nella terra che ti mostrerò”.

             Reale oltreché metaforica uscita. Reale, perché realmente colui che a Me si consacra si rende straniero e ignoto presso i suoi stessi parenti. Ignoto con la sua nuova personalità. Straniero perché fra loro e lui avviene come la caduta di un diaframma, come la creazione di una singolare Babele per cui egli va oltre, verso la terra che Dio gli addita, e loro restano là dove sono, né anche, essendo ancora vicini, possono più intendersi, perché egli già parla la lingua di quella terra e ne pratica gli usi mentre essi continuano a pensare, agire, parlare nella loro maniera abituale. Ciò produce un grande motivo di dolore e di stupore, se pure non di derisione. Il dolore è particolarmente sentito da colui che Dio ha chiamato alla “nuova terra”. Egli vorrebbe esser seguito da chi ama, perché ha compreso che “quella terra” è paese di elevazione. Vorrebbe che gli altri lo comprendessero per poter innamorarli delle bellezze che egli discopre.

            Loro si stupiscono del suo mutamento. E quando non lo giudicano “manìa”, lo chiamano egoismo, disamore, stranezza. Nulla di ciò. Amore perfetto, e per coloro che ama e per se stesso, dando e cercando dare agli altri il bene che a sé procura. Non stranezza, ma anzi regola perfetta, essendo costui nella sua eccezione colui che si trova nella regola del figlio di Dio: ubbidienza assoluta, superiore ad ogni altra voce di sangue, di interesse, di rispetto umano, alla voce di Dio. La ferita non si sana e non si può sanare. Perché l‘eletto alla “nuova terra” con la sua parte inferiore conserva la sensibilità comune ai figli dell‘uomo, e di doversi sentire accusare di disamore da quelli che più lo dovrebbero capire, e di doverli respingere, strappandosi il cuore, per inoltrarsi sul sentiero che Dio gli indica, soffre continuamente, tenendo sempre aperta la ferita, in cui sono confitti l‘amore dei suoi che per amarlo lo torturano e l‘amore suo che per non esser compreso si torce nella piaga e la volontà imperiosa di Colui che egli ama con tutto se stesso.

            Ferita d‘amore, dunque. Ferita, dunque, in cui è Dio, perché Dio è dove è carità. “Vieni nella terra che ti mostrerò”. Dio non la mostra avanti. Dice: “Vieni”. Il premio del vedere questa terra sarà dato a colui che ubbidisce senza attendere di conoscere ciò che lo aspetta. Dio dice: “Vieni”. Non altro. Egli va e non chiede altro. L‘inizio della terra benedetta - il cui sole non conosce tramonti, in cui non regnano aspidi e scorpioni né fiere selvagge, in cui sono ignote bufere e brine ed eterna è la primavera, e pingue di sovrannaturale cibo è ogni essere, e miele stillano tronchi e di latte sono le fonti, e l‘armonia è luce e la luce è armonia, e felici come fiori in un sereno mattino d‘aprile sono gli abitanti e ridono di perenne gioia riflettendo il divino riso del loro Signore - è molto irto e spinoso. Sassi e rovi, liane e stretti passaggi su orridi e torrenti vorticosi, oscure svolte e ventose zone di burrasca sono nel suo principiare. In alto una sola stella: Io. Io che devo essere luce, calore, voce, speranza, conforto, fede, guida per l‘eroico camminatore. Io solo. Guai a non guardare continuamente Me. Ma chi persevera vede che ai sassi, ai rovi sussegue più liscia strada e qualche fiore si affaccia ai suoi bordi, vede che alle liane, che prima hanno straziato come funi di ferro spinoso, succedono morbidi festoni che non sono più costrizione ma aiuto, e più ampi si fanno i passaggi, meno paurosi i sentieri, più sicura la via, più ampia, più luminosa, più calda, più serena nel suo continuo salire. In ultimo l‘anima vola, non cammina più. Vola. Penetra come strale d‘amore nella terra che si è conquistata. Il Cielo è suo.

            Ma quanta generosità è necessaria! Dare tutto. E non avere nulla. “Neppure tanto da posarvi il piede”. Non pretendere nulla perché non prometto nulla quando dico: “Vieni”. Nulla di umano. Prometto il sovrumano eterno. Ecco cosa ti devi sforzare di capire e di accettare, e con te tutti i tuoi uguali per la mia elezione che vi consacra nel chiostro o nel mondo, e anche coloro che per esser migliori, pur non essendo i chiamati a vie di perfezione speciale, non essendo militi della perfezione consigliata e non imposta, si chiedono il perché non sia placida di benessere anche terreno la loro vita. Io non mento e non ho mai mentito. Io ho promesso e prometto di darvi la Vita e le cose inerenti alla Vita. Questo è necessario e questo vi do. Il resto è il superfluo perché è destinato a ciò che perisce. E ve lo do perché sono buono anche con il moscerino al quale concedo per letto il calice di una mentuccia montana e per cibo la microscopica goccia di miele che essa contiene. Così do a voi, perituri, le cose necessarie a ciò che perisce: cibo, vesti, dimora. Ma vi invito a tendere a ciò che è più alto: allo spirito e a ciò che è dello spirito. Chi più mi ama più mi comprenda. E proceda nudo, affamato, misero di ciò che è di questa giornata terrena, ma sazio, ricco, in veste regale di ciò che è del Giorno eterno. 

            «Ogni vivente ed ogni cosa dei viventi muore e dilegua per non più tornare. Gioia, dolore, salute, malattia, vita, sono episodi che vengono e si dissolvono, prima o poi, né tornano, in quella forma, mai più. Potrà la gioia o il dolore, la salute o la malattia, tornare con altre forme e altri volti. Ma quella data gioia, quel dato dolore, quella malattia, quella salute non tornano più. È cosa del momento. Passato quel momento, verrà un altro momento consimile, ma non mai più quello. E la vita... Oh! la vita, passata che sia, non torna mai più. Vi è data un‘ora di eternità, un momento di eternità per conquistarvi l‘Eternità. Non hai mai riflettuto che potrebbe essere questo motivo applicato alla parabola delle mine di cui parla Luca? Vi è data una moneta di eternità. Il Signore ve la affida e vi dice: “Andate. Negoziate la vostra moneta finché Io ritorno”. E al suo ritorno, anzi al vostro ritorno a Lui, Egli vi chiede: “Che ne hai fatto della moneta avuta?”. E il servo fedele, lui felice, può rispondere: “Ecco, mio Re. Con questa moneta di eternità ho fatto questo, questo e questo lavoro. E, non per calcolo mio, ma per parola angelica, so di aver guadagnato dieci volte tanto”. E a lui il Signore dice: “Bravo servo fedele! Poiché sei stato fedele nel poco, avrai potere su dieci città e, nel tuo caso, regnerai qui, dove Io regno per l‘eternità, subito, poiché hai lavorato come più e meglio non potevi”. Un altro, chiamato da Dio, dirà: “Con la tua moneta ho fatto questo e questo. Vedi, mio Re, ciò che di me è scritto”. Ed lo dirò: “Anche tu entra, poiché hai lavorato come e quanto hai potuto”. Ma a colui che mi dirà: “Ecco: la moneta è tale a quale. Io non l‘ho negoziata perché avevo paura della tua giustizia”, dirò: “Va‘ a conoscere l‘Amore nel Purgatorio e lavora là a conquistarti il regno, poiché sei stato un servo ignavo né ti sei dato pena di conoscere chi Io sono e mi hai giudicato ingiusto, dubitando della giustizia mia e dimenticando che Io sono l‘Amore. Il tuo denaro sia mutato in espiazione”. E a quello che mi si presenterà dicendo: “Io ho dilapidato la tua moneta e me la sono goduta poiché non credevo che vi fosse realmente questo Regno e ho voluto godere l‘ora che mi era data”, Io dirò sdegnato: “Servo stolto e bestemmiatore! Ti sia levato il mio dono e sia versato nel Tesoro eterno, e tu va‘ dove Dio non è e non è Vita, poiché hai voluto non credere e hai voluto godere. Hai goduto. Hai avuto dunque già la tua gioia di carne senza anima. Basta. Il Regno d‘eternità ti è per sempre chiuso”. Quante volte non dovrei tuonare queste parole, se fossi soltanto Giustizia! Ma l‘Amore è più grande della mia Giustizia. Perfetta l‘una e perfetto l‘altro. Ma l‘Amore è la mia natura e ha la precedenza sulle mie altre perfezioni. Ecco perché temporeggio col peccatore operando in modo che non perisca del tutto il colpevole. Vi do tempo. Questo è amore ed è giustizia insieme. Che direste se vi percuotessi al primo errore? Direste: “Ma, Signore! Se mi davi tempo da riflettere mi sarei pentito!”. Vi lascio tempo. Una, due, dieci, settanta volte mancate e potrei colpirvi. Vi do tempo. Perché non possiate dirmi: “Non hai avuto benignità”. (Luca 19, 11-27). No. Siete voi che non siete benigni con voi stessi. E vi defraudate della ricchezza che Io ho creata per voi. E vi suicidate levandovi la Vita che vi ho creata. La maggioranza di voi disperde o fa mal uso della moneta di eternità che Io vi dono, e della giornata terrena fate non già la vostra eterna gloria ma il mezzo di un’eterna sofferenza. La minoranza, avendo paura della mia Giustizia, sta inerte e si condanna a imparare chi è Dio-Amore fra le fiamme dell‘amore purgativo. Solo una parte piccolissima sa apprezzare la mia moneta e farla fruttare al dieci per uno, sa tuffarsi nell‘amore come pesce in limpida peschiera e risalire la corrente per giungere alla sorgente, al Dio suo, e dirgli: “Eccomi. Ho creduto, amato, sperato in Te. Tu sei stato la mia fede, il mio amore, la mia speranza. Ora vengo, e la mia fede e la mia speranza cessano e tutto diviene amore. Poiché ora non ho più bisogno di credere che Tu sei, ora non ho più bisogno di sperare in Te e in questa Vita. Ora ti ho, mio Dio. E l‘amarti, unicamente l‘amarti, è l‘eterno compito di questa mia eterna Vita”. Sii di queste, anima mia, e la mia pace sia con te per aiutarti a questa opera.»

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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