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OTTOBRE 2017

     

Tommaso Moro martire della fedeltà alla propria coscienza

 

Risultati immaginiIl Re Enrico VIII si comporta da marito fedele durante i primi dieci anni di regno. Ma poi, stanco della moglie, Caterina d'Aragona, che gli ha dato una sola figlia ancora in vita, Maria Tudor, cerca un'altra donna. Nel 1522, arriva alla corte d'Inghilterra una giovane di 15 anni, di nome Anna Bolena. Benchè senza fascino, suscita nel Re una violenta passione. Abilmente, essa si applica ad attizzare la bramosia di Enrico, pur rifiutando di cedere ai suoi desideri finchè non l'avrà sposata. Alle sue spalle, si trova un partito costituito dalla sua famiglia e da nobili animati da interessi diversi.

Enrico VIII aveva sposato Caterina d'Aragona, vedova del suo fratello maggiore, grazie ad una dispensa legittimamente accordata da Papa Giulio II. Cercando il modo di ripudiarla, Enrico VIII s'interroga sulla validità del proprio matrimonio e crede di poter fondare il suo dubbio su un testo della Bibbia (Lev. 18, 16). Interrogato su questo punto dal Re, Tommaso si scusa, allegando la propria incapacità di statuire in una materia che interessa il diritto canonico. Il Re gli ordina allora di esaminare la questione con parecchi teologi; dopo averlo fatto, Tommaso risponde: «Sire, nessuno dei teologi che ho consultato può darvi un consiglio indipendente. Ma conosco consiglieri che parleranno senza timore a Sua Maestà: sono san Girolamo, sant'Agostino e altri Padri della Chiesa. Ecco la conclusione che ho tratto dai loro scritti: «Non è permesso ad un cristiano sposare un'altra donna, mentre la prima è ancora in vita»». Il che significava affermare che il matrimonio con Caterina era valido. La questione è proposta a Roma. Il Papa aspetterà il 1534 per dichiarare valido il matrimonio di Enrico e Caterina. Ma Moro non è più al governo: fin dal 16 maggio 1532, ha dato le dimissioni dalle funzioni di Cancelliere, per non essere costretto ad agire contrariamente alle leggi di Dio e della Chiesa, che i vescovi del Regno (tranne John Fisher) hanno sacrificato al potere regale.

Fedeltà o alto tradimento?

 

All'inizio del 1533, Enrico sposa segretamente Anna Bolena, che viene incoronata il 1° giugno. Per sancire con maggiore solennità il proprio divorzio, Enrico desidera che la principessa Maria Tudor sia diseredata di tutti i suoi diritti; in compenso, Elisabetta, che Anna ha appena partorito, sarà proclamata unica e legittima erede della corona d'Inghilterra. Il Parlamento si sottomette al Re e vota, il 30 marzo 1534, un «Atto di Successione» in tal senso. Tutti i sudditi del Regno devono impegnarsi sotto giuramento ad osservare la nuova legge nella sua totalità. Il giuramento è preceduto da un preliminare in cui l'autorità del Sovrano Pontefice è formalmente respinta. Vescovi, canonici, parroci, monaci, professori di istituti, personale ospedaliero e quello delle fondazioni caritative si sottomettono e riconoscono il Re quale unico capo spirituale, consacrando in tal modo la separazione da Roma. John Fisher, vescovo di Rochester e Tommaso Moro, come pure alcuni sacerdoti e monaci, rifiutano il giuramento: pagheranno il loro rifiuto con la vita.

Tommaso narrerà la sua comparizione per la prestazione del giuramento in una lettera alla figlia: «Quando arrivai a Lambeth, dove era riunita la commissione reale... chiesi che mi venisse comunicato il testo del giuramento che si esigeva... Dopo averlo letto attentamente e studiato a lungo... dichiarai, in perfetta sincerità di coscienza, che, senza tuttavia rifiutare il giuramento relativamente alla successione, non potevo accettare di prestare il giuramento nei termini in cui era formulato, a meno che volessi esporre la mia anima alla dannazione eterna. Quando ebbi finito di parlare, il gran Cancelliere del regno prese la parola e mi dichiarò che tutti i presenti erano vivamente afflitti di sentirmi esprimermi così; che ero il primo fra tutti i sudditi di Sua Maestà a rifiutare di prestare il giuramento che questi esigeva... Mi si presentò un voluminoso elenco di persone consenzienti... ma dichiarai nuovamente che la mia risoluzione, lungi dall'esser cambiata, era irremovibile».

La responsabilità della mia anima

 

Per Tommaso, la fedeltà alla testimonianza della coscienza è necessaria per la salvezza eterna. «Certi credono che, se parlano in un modo e pensano in un altro, Dio presterà maggior attenzione al loro cuore che alle loro labbra, scrive alla figlia Margherita. Quanto a me, non posso agire come loro in una materia tanto importante: non rifiuterei di giurare, se la mia coscienza mi dettasse di farlo, anche se gli altri rifiutassero; e, del pari, non presterei giuramento contro la mia coscienza, anche se tutti vi sottoscrivessero». Il carattere inalienabile della coscienza non significa che le sue ingiunzioni s'impongano ciecamente, spiega altresì Tommaso. Ciascuno deve formare la propria coscienza attraverso lo studio ed il consiglio di persone sagge, poichè la coscienza deve essere uniformata alla verità obiettiva (ved. Enciclica Veritatis splendor del 6 agosto 1993). Prima di giungere ad una conclusione che s'impone alla sua coscienza, Tommaso si è imposta una somma di studio considerevole. Riconosce, tuttavia, che l'autorità della Chiesa prevale sulle proprie conclusioni. Ma le autorità umane non hanno più nessun potere su una coscienza retta e sicura: «Solo io porto la responsabilità della mia anima», afferma. Pertanto, contro le false accuse di cui è vittima, i falsi testimoni, contro le prevaricazioni del Re, contro la depravazione del senso morale che fa chiamare «bianco quel che è nero e male quel che è bene», la sua coscienza resiste fino alla morte.

 

Rinunce dolorose

 

L'atteggiamento di Tommaso Moro è una luce per la nostra epoca. Papa Giovanni Paolo II afferma che leggi come quelle che pretendono di rendere legittimo l'aborto o l'eutanasia, «non solo non creano alcun obbligo per la coscienza, ma portano con sè un obbligo grave e preciso di opporvisi attraverso l'obiezione di coscienza. Fin dalle origini della Chiesa, la predicazione apostolica ha insegnato ai cristiani il dovere di ubbidire ai pubblici poteri costituiti legittimamente (ved. Rom. 13, 1-7; 1 P. 2, 13-14), ma ha dato in pari tempo il fermo avvertimento che bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (Atti 5, 29)... L'introduzione di legislazioni ingiuste pone spesso gli uomini moralmente retti di fronte a difficili problemi di coscienza... Le scelte che si impongono sono talvolta dolorose e possono richiedere il sacrificio di situazioni professionali confermate o la rinuncia a prospettive legittime di avanzamento nella carriera... I cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, in virtù di un grave dovere di coscienza, a non dare la loro collaborazione formale alle pratiche che, benchè ammesse dalla legislazione civile, si oppongono alla Legge di Dio... Per gli atti che ciascuno compie personalmente, esiste, infatti, una responsabilità morale cui nessuno si può mai sottrarre e su cui ciascuno sarà giudicato da Dio stesso» (Enciclica Evangelium vitæ, 25 marzo 1995, nn. 73-74).

Il 17 aprile 1534, Tommaso viene incarcerato nella Torre di Londra. Utilizza il tempo della detenzione a prepararsi alla morte, componendo notevoli opere di devozione. Già in un'opera incompiuta del 1522, I quattro ultimi fini, aveva messo in risalto il beneficio del pensiero della morte: se fosse in vendita un rimedio per tutti i mali, spiega, gli uomini farebbero l'impossibile per procurarselo. Ora, il rimedio esiste e si chiama «il pensiero della morte». Ma, ahimè, ben pochi hanno ricorso ad esso. Soltanto la meditazione dei fini ultimi può rettificare il loro giudizio.

 

Sovvertimento dei valori

 

Tale meditazione presuppone la fede. La fede, spiega Tommaso, sovverte il senso dei valori comunemente ammessi dagli uomini; essa ci dice che tutta la Santissima Trinità risiede nell'anima in stato di grazia, anche al momento della prova; che i nostri nemici sono gli amici che ci sono maggiormente vicini; che la riconoscenza deve rivolgersi meno al visitatore da parte del carcerato che all'infelice da parte del benefattore. Al di sopra di tutto, la fede scopre il valore soprannaturale della sofferenza. Insegna a far diventare medicina la malattia medesima. Per Tommaso, tutte le nostre tribolazioni hanno quale ragione principale quella di suscitare in noi il desiderio di essere consolati da Dio. Tuttavia, esse ci aiutano anche a purificarci dalle nostre colpe passate, ci preservano da quelle future, diminuiscono le pene del purgatorio ed accrescono la ricompensa finale del Cielo. «Chiunque medita tali verità e le conserva nel suo spirito... valuterà con pazienza il prezzo della prova, troverà che tale prezzo è elevato e, ben presto, si stimerà privilegiato, ... la sua gioia diminuirà ampiamente la sua pena e gli impedirà di ricercare altrove vane consolazioni» (Dialogo fra Conforto e Tribolazione). Simili parole, scritte nel cuore stesso della prova, non sono un vano linguaggio. La gioia soprannaturale che Dio dà a Tommaso in prigione gli procura la serenità e sviluppa il suo senso innato dell'umorismo. Un giorno in cui il governatore della Torre si scusa gentilmente per la frugalità del pasto, l'ex Cancelliere risponde: «Se qualcuno di noi non è soddisfatto del vitto, non ha che da andare a cercarsi altrove un altro alloggio!»

Il 1° luglio 1535, Tommaso è condannato a morte per alto tradimento. I giudici gli chiedono se desidera aggiungere qualcosa. «Ho poco da dire, tranne questo: il beato Apostolo Paolo era presente e consenziente al martirio di santo Stefano. Ora, sono entrambi santi in Cielo. Benchè abbiate contribuito alla mia condanna, pregherò fervidamente perchè voi ed io ci ritroviamo insieme in Cielo. Allo stesso modo, desidero che Dio Onnipotente preservi e difenda Sua Maestà il Re e gli mandi un buon consiglio». Un ultimo assalto viene a mettere alla prova la costanza del carcerato. Sua moglie lo va a trovare e gli dice: «Vuoi abbandonarci, me e la mia infelice famiglia? Vuoi rinunciare a quella vita nel nido domestico, che, ancora poco fa, ti piaceva tanto? – Per quanti anni, mia cara Alice, credi che possa ancora godere quaggiù di quei piaceri terreni che mi dipingi con un'eloquenza tanto persuasiva? – Vent'anni, almeno, se Dio vuole. – Ma, carissima moglie, non sei una buona negoziante: che è mai una ventina d'anni a confronto di un'eternità beata?»

 

«Essa non ha tradito!»

 

Il 6 luglio, viene condotto sul luogo del supplizio. La scala che porta al patibolo è in pessimo stato e Tommaso ha bisogno del sostegno del tenente per salire: «La prego, dice, mi aiuti a salire. Per discendere, me la sbroglierò da solo!» Avendogli il Re chiesto di esser sobrio nella parola all'ultimo momento, dice molto semplicemente: «Muoio da buon suddito del Re, ma prima di tutto di Dio!» Mentre si inginocchia sul patibolo, le sue labbra pregano: «Dio mio, abbi pietà di me!» Abbraccia il boia e gli dice: «Ho il collo molto corto; attento a non colpirmi di traverso. È in gioco il tuo onore!» Si benda gli occhi da sè. Il boia ha già l'ascia in mano: «Un momento, gli dice Tommaso mettendosi a posto la barba; essa non ha tradito!» Il capo cade al primo colpo. Tommaso è in Cielo per sempre.

Come san Tommaso Moro, accettiamo di perdere tutto per guadagnarci Cristo, per diventare conformi a Lui nella morte, e per giungere così con Lui alla risurrezione (ved. Fil. 3, 8-11).

 

Dom Antoine Marie osb

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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