BEATA ELISABETTA CANORI MORA
Sposa e madre (1774-1825)
Sposa, madre e mistica. Donna eroicamente fedele.
Ci aiuta a capire cosa significa e cosa comporta "sposarsi nel Signore"
e come bisogna concepire e vivere la fedeltà che si promette nel giorno del matrimonio
PREGHIERA
(per ottenere grazie per l’intercessione della Venerabile Elisabetta Canori Mora)
Oh Santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo,
sorgente suprema di vita soprannaturale e di santità,
ti ringrazio per i favori che ti degnasti elargire
alla Venerabile Elisabetta Canori Mora, terziaria trinitaria,
colmandola di una fede, speranza e carità eroiche,
testimoniate nella sua provata esistenza di sposa e di madre.
Con umiltà e fiducia, ti supplico di concedermi la grazia
che chiedo e di far sentire, a quanti la invocheranno,
l’efficacia della sua intercessione.
Pater, Ave, Gloria.
IL MESSAGGIO
Elisabetta vive il matrimonio come segno di un patto che coinvolge Dio-Trinità, divina comunità d'amore, e l'uomo, creato a sua immagine. La fedeltà totale e senza recriminazioni, che in lei fa da riscontro al tradimento pertinace del marito, è una limpida testimonianza di coerenza etica e cristiana. Elisabetta è convinta che nessuno si salva da solo, e che Dio ha affidato a ciascuno la responsabilità della salvezza degli altri, per realizzare il suo progetto d'amore. Dio Padre è fedele, e testimonia la sua fedeltà sacrificando Cristo, suo Figlio, in un gesto supremo di totale gratuità. In virtù di ciò, per Elisabetta non ci sono ragioni, convenienze, interessi che possano giustificare una qualsiasi deroga al codice della fedeltà, cioè al codice dell'amore vero e della donazione piena.
L'eroismo di Elisabetta Canori Mora si esprime nel quotidiano di una vita fatta di lavoro, di impegno educativo nei confronti delle figlie, di preghiera, di servizio ai poveri e agli ammalati, di partecipazione ecclesiale e sociale. Nemmeno le sue esperienze mistiche la straniano dai compiti quotidiani. La famiglia è la sua chiesa, è il tempio nel quale ospita il suo "amato Signore" e nel quale raccoglie anche tutti coloro che a lei si rivolgono. Per questo la vuole povera, sgombra dai troppi strumenti umani, calda e accogliente. Per lei la famiglia è lo spazio vitale delle persone, il luogo della solidarietà e della responsabilità.
Attuale è il progetto di donna incarnato da Elisabetta Canori Mora: sposa e madre, lavoratrice, anticonformista senza esibizioni, autonoma, creativa nell' affrontare i conflitti familiari e sociali, per aprire al vero cambiamento, quello della conversione. Una donna di ieri; una donna di oggi.
Esiste un suo diario spirituale, dato alle stampe col titolo "Nel cuore della Trinità".
LA VITA
Elisabetta nasce di nobile ed agiata famiglia nel pieno centro storico di Roma, in via Tor dei Conti, non lontano dal Colosseo, il 21 novembre 1774. A 21 anni, il 10 gennaio 1796 si sposa con Cristoforo Mora, giovane avvocato, figlio di Francesco Mora, medico rinomato della città. A pochi mesi dal matrimonio, Cristoforo diventa gelosissimo della moglie, controllandola in maniera ossessiva e impedendole persino le visite dei parenti. Poi, a poco a poco la passione si andrà tramutando in astio e odio. Nei primi cinque anni (1796-1801) dell’unione nascono le loro quattro figlie, di cui due muoiono appena nate e sopravvivono altre due, Marianna e Lucina. In questo tempo, Cristoforo si lascia irretire da una relazione extraconiugale con una donna di modeste condizioni, alla quale dona non solo il suo amore ma anche il suo tempo e i suoi soldi, riducendo quindi la moglie e le due figlie rimaste in estrema povertà. Elisabetta, per far fronte ai creditori, al fine di salvaguardare il buon nome del marito, è costretta a vendere i suoi gioielli e, perfino, il suo abito da sposa. Non solo, ma viene calunniata dalle cognate e dal suocero, che l’accusano addirittura dei traviamenti del marito. Ed ella non solo perdona, ma con animo generoso aiuta in mille modi le stesse persone che la fanno soffrire.
I familiari e persino qualche confessore le consigliano la separazione, ma il Signore le rivela un’altro disegno ed Elisabetta decide di anteporre la salvezza del marito e delle figlie al suo profitto spirituale. La sua è la storia di una donna tradita. Elisabetta ha capito fino in fondo che cosa significa «sposarsi nel Signore». Sa che Dio le ha affidato Cristoforo e che lei ha la responsabilità di portarlo a salvezza. Non può abbandonarlo, perché Dio glielo ha affidato. Infiammata dall’amore di Dio-Trinità, sostenuta da una forte esperienza d’intimità con Gesù, vive ogni giorno con maggiore intensità l’amore per Cristoforo, sentendosi sempre più unita a lui e responsabile del suo destino. E così, con la sua vita di eroica fedeltà a Dio nel sacramento del matrimonio ottiene, sul punto di morte, avvenuta il 5 febbraio 1825, che Cristoforo si ravveda e decida finalmente di raddrizzare la propria esistenza secondo i comandamenti di Dio. Una conversione, questa, così eclatante e radicale da spingere successivamente l’avvocato donnaiolo a inscriversi al Terz’Ordine Trinitario (30-XII-1825), a diventare frate francescano conventuale col nome di Antonio (1834), e, addirittura, ad accedere all’ordinazione sacerdotale. E morì — a Sezze — in odore di santità l’8 settembre 1845! Aveva 73 anni. Cristoforo frate e sacerdote fu «il capolavoro di Elisabetta» .
Elisabetta non ebbe la consolazione di ricongiungersi al suo sposo in terra, ma avrà il conforto di aver costruito con lui un rapporto molto più profondo e duraturo: quello che due sposi raggiungono camminando sulla stessa strada che porta a Dio, e vivendo nella gioia della contemplazione del suo Verbo. Per l’eternità”» (G.Muraro, OP).
Sotto la direzione di un santo trinitario di San Carlo alle Quattro Fontane (San Carlino), lo spagnolo padre Ferdinando di san Luigi, che dirige la sua anima sin dall’anno 1807, Elisabetta vive intensamente, nella sua condizione di laica e di sposa/madre, la spiritualità trinitaria, che è incentrata sulla glorificazione della Santissima Trinità mediante l’intima solidarietà con Cristo Redentore nel suo donarsi agli uomini. Il 13 dicembre 1807 diviene terziaria trinitaria, assumendo in quanto tale il nome di Giovanna Felice della Santissima Trinità. Elisabetta scopre la sua vocazione nella Chiesa: essere dono di amore in Cristo, animata dallo Spirito, per la gloria del Padre e per la salvezza dei suoi e di tutti gli schiavi e i poveri. Dio-Trinità, fonte di amore verso il prossimo, la pervade tutta d’un amore sempre più gratuito, tenero e forte nello stesso tempo. Elisabetta ama senza misura tutti: il suo marito infedele, anche la donna che glielo ha rubato, le sue figlie...; si offre per la Chiesa e per il Papa.
Da laica trinitaria, si sente accattivata dalla figura di Gesù Nazareno — l’Ecce Omo, il Gesù legato e consegnato da Pilato ai suoi aguzzini — , immedesimandosi nelle sofferenze di Cristo. In un momento di smarrimento per la morte del babbo e per l’abbandono del focolare domestico da parte del marito, riceve in casa da una persona sconosciuta una piccola icona di Gesù Nazareno, che le sussurra al cuore: «Io sarò d’ora innanzi il tuo padre e il tuo sposo». Da quel momento Gesù Nazareno viene messo a capo di tutte le vicende della famiglia. «Sta nella mia mente, nel mio cuore, in tutto il mio essere», attesta Elisabetta. La casa diviene un santuario di preghiera dinanzi alla sua immagine che la nostra Beata tiene sempre con sé, anche nei suoi trasferimenti fuori di Roma (Albano e Marino); e, con l’olio e l’acqua santa che le mette accanto, compie decine e decine di miracoli, specie guarigioni strepitose. Perciò, quella immagine miracolosa è stata collocata a fianco dell’urna, contenente le spoglie della Beata, nella chiesa di San Carlino