«SONO BIPOLARE, NON SONO MATTA»
Alla prima crisi Silvia ha pensato di essere pazza. Dopo nove anni d'inferno le hanno detto che è bipolare. La sua testimonianza
Una notte ho iniziato a controllare tutti i movimenti degli occhi di mio marito, le vibrazioni della sua bocca, le mani. Poi ho iniziato a straparlare, mi ero convinta di avere ucciso mio madre, che invece era morta dopo una lunga battaglia contro il cancro. Ero diventata aggressiva, non credevo a niente di quello che mio marito mi diceva. Ho iniziato a spogliarmi. Non capivo che non ero più in me. Ero completamente fuori dalla realtà.
Mio marito, oggi ex, non sapeva come calmarmi. Ha chiamato gli assistenti dell’Asl, mi hanno ricoverata in ospedale e subito dopo sedata. Era il 2011 è quello è stato il mio primo episodio di ipermania. Si chiama così la fase alta, quella in cui sei ipervigile. Chi, come me, soffre di sindrome bipolare la conosce bene. Quella successiva è la depressione profonda, che ti butta a terra e ti fa credere che non riuscirai più ad alzarti. Ti fa sentire un condannato.
Mi chiamo Silvia e ho 38 anni. La sindrome bipolare si è presentata nella mia vita quando avevo 24 anni . Stavo preparando la tesi, ho iniziato ad avere attacchi di panico, mi sentivo molto fuori luogo nell’azienda in cui avevo iniziato uno stage. Mi sentivo tremare la terra sotto i piedi ma non era una sensazione che riconoscevo, io ero sempre stata una secchiona, sempre brava in tutto. Ho mollato la carriera universitaria, il lavoro e mi sono isolata. I ricordi di quel periodo sono pochi. I medici hanno iniziato a dirmi che stavo affrontando un periodo molto duro per la morte di mia madre e hanno iniziato a darmi antidepressivi. Nessuno pensava alla sindrome bipolare, per riconoscerla sono serviti nove anni.
Un periodo immenso in cui ho distrutto cercato di ricucire la mia vita tante volte. Almeno dopo ogni crisi. Tutte le volte che iniziavo un’esperienza nuova, per esempio lavorativa, ero molto performante nel primo periodo poi arrivava la depressione nera. M’immobilizzavo, non riuscivo a parlare, non mi venivano i termini alla mente. Da una parlata molto veloce e fluida arrivavo a bloccarmi completamente, ma nessuno capiva che avevo questo tipo di problema.
Dopo la prima crisi nel 2011 i medici mi hanno parlato della sindrome bipolare. In quella stanza di ospedale li ho ascoltati senza fiatare. Mi sono fidata, volevo sapere cosa fosse questa cosa di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza. Volevo capire. Mi dicevano che speravano che il carbolitio, il medicinale che si usa come protocollo d’ingresso, potesse aiutarmi a tenere la situazione sotto controllo. Fino a quel giorno le crisi erano state costanti. Mi avevano messo in grave difficoltà anche al lavoro come con mio marito, con cui ho divorziato. Rimettermi in piedi dopo le crisi depressive mi richiedeva uno sforzo enorme, per un lungo periodo ho pensato che quella sarebbe stata la mia vita per sempre. Sul divano, davanti a una televisione spenta, dipendente dalla mia famiglia.
Ho iniziato a prendere il carbolitio, ma poco dopo una delle psichiatre che mi aveva in cura disse che non era più convinta della diagnosi, che riteneva che soffrissi di sindrome dissociativa. Così mi ha gradualmente sospeso il farmaco e il peggio è arrivato.
La bipolarità è caratterizzata da stati maniacali o ipermaniacali e stati depressivi. Nelle fasi di mania non sentivo più la necessità di dormire, avevo un’energia superiore al normale. In alcuni casi facevo shopping compulsivo. Poi attacca la sfera sessuale. Ero molto disinibita, cercavo relazioni extraconiugali in maniera ossessiva, mi sentivo onnipotente, anche sul lavoro. Fino a quando queste sensazioni non superano i limiti ti senti nel momento più bello della tua vita, ma quando scavalchi la normalità hai bisogno di un contenimento che sia anche fisico.
Io ero arrivata a straparlare, a spogliarmi, scappare, guidare in maniera spericolata. Ma non mi rendevo conto che non ero più in me. Lo vedevano solo gli altri. L’ultima crisi prima del ricovero più lungo avevo iniziato ad essere ipervigile sul lavoro. Pensavo che i miei colleghi mettessero in discussione ciò che dicevo. Durante una riunione di lavoro ho iniziato a controllare gli occhi di tutti, il tono della voce, le parola che dicevano e iniziavo a figurarmi intrecci inesistenti. Un matrix tutto mio. Sentivo ogni singolo rumore, passo, voce. Mi ero anche convinta che mio marito sapesse di questa mia relazione extraconiugale, l’ho provocato tutta la notte chiedendogli se anche lui ne avesse una. Ho iniziato a gridare, spogliarmi, lui ha chiamato mio padre e io sono scappata per le scale ma sotto casa c’erano già gli assistenti sanitari pronti a ricoverarmi.
Ci ho messo moltissimo a venirne fuori. In quel periodo avevo contattato il Prof. Giuseppe Maina, presidente dell’Associazione italiana per i disturbi bipolari e primario. Da quel momento sono stata seguitissima.
Oggi, una volta ogni mese vedo uno psichiatra in ospedale. Si tratta di semplici colloqui in cui monitoriamo insieme, io oggi sono molto consapevole delle avvisaglie, sono ligia nell’assunzione del farmaco. Mi hanno spiegato che la malattia non mi rende pazza, non sono matta. La sindrome bipolare è una malattia biologica quindi genetica che ha un genetic power molto alto, intorno all’80 per cento, addirittura superiore a quello del diabete. Non c’entra niente tutto quello che mi era stato detto riguardo agli episodi traumatici che avevano potuto influenzare la mia vita, la sindrome si sarebbe sviluppata comunque. Mi hanno spiegato che la mia buona abitudine dev’essere quella di assumere il farmaco sempre e così è. Lo prendo mattina e sera e la sola idea di non farlo mi terrorizza. È il mio farmaco salvavita.
Dal 2013 le crisi sono sparite. Ho ripreso la mia vita da dove avevo mollato, sono riuscita a ritagliarmi un ruolo con responsabilità sul lavoro, mi sento in me per la prima volta dopo tantissimo. I primi anni mi sembrava incredibile non avere crisi, perché ero abituata ad averne diverse. Ogni tentativo di risalita veniva polverizzato dalla crisi successiva, era una situazione non più accettabile. Uno impazzisce perché non ne viene fuori.
Oggi sto bene, sul lavoro non sanno niente e preferisco così perché ho paura che non si fidino di me. Alcuni colleghi pensano che abbia avuto crisi depressive e a me va bene. Ho un nuovo compagno, avevo deciso di non raccontargli nulla poi dopo la prima notte insieme ho svuotato il sacco. È una persona intelligente, non è scappato via.
Sono contenta di avere scritto questa lettera perché in pochi sanno cosa significhi vivere con questa sindrome. Ci scambiano per matti ma non lo siamo. Una persona bipolare con una diagnosi e la terapia più adatta vive una vita piena e normalissima. Io temevo che i farmaci potessero ovattare le emozioni ma non è così.
Una persona bipolare che non lo sa rischia di non vivere la sua vita ed essere enormemente infelice. È una persona molto a rischio se non viene indirizzata verso la giusta diagnosi. Io mi sono sentita in pericolo ma non sono mai arrivata a pensare di togliermi la vita. La percentuale di persone bipolari non diagnosticate che arrivano a farlo è alta. Stare in alto e in basso di continuo ti toglie tutto, non sei più proprietaria di nulla, hai una testa che non è più la tua e non sai come fermarla. Questa lettera è anche per loro.
Silvia