L’AFRICA HA I SUOI SANTI MARTIRI
Giuseppe Dovigo
PER SALVARE L’EUCARISTIA
Il 28 dicembre del 1998, la popolazione di Makobola era spaventata all’annuncio dell’arrivo dei soldati stranieri, con la missione di massacrare gente innocente, adirati per alcune decisioni del governo di Kinshasa. Ruphin Ndama aveva già inviato moglie e figli al sicuro, ma lui era rimasto con gli altri della comunità. All’ultimo momento, anch’egli scappava sul monte, ai piedi del quale si stende il paese.
A un tratto, Ruphin ricorda l’Eucaristia, rimasta nel tabernacolo, che potrebbe essere profanata. Si sente responsabile. La deve salvare. Non ha dubbi. Lascia i compagni, prende il sentiero della discesa, allunga il passo, corre. Respira aria di bruciato, sente sparare colpi di fucile, vede colonne di fumo. I militari sono già arrivati e stanno violentemente distruggendo, uccidendo, bruciando.
Ruphin arriva nello spazio aperto delle scuole e di casa sua, si dirige verso la chiesa e… incrocia i militari. È fermato e arrestato. Si dice che tra lui e gli uomini armati ci sia stata una breve conversazione e una discussione tra gli assalitori. Prevale la violenza e lo uccidono.
Suor Rosina ci parla del desiderio del nuovo vescovo di Uvira di fare un’inchiesta sulle virtù eroiche del catechista ammazzato. La popolazione ha voluto onorare il suo martire costruendo una tomba accanto alla chiesa, che il vescovo ha benedetto.
LA TOMBA E IL SEGNO DEL CIELO
Arriviamo al villaggio, che occupa una piccola penisola di verde intenso e che vive di pesca e agricoltura. Attraversiamo il cortile della scuola e saliamo su una piccola collina. La nuova chiesa porta la scritta: A fianco della chiesa, l’albero con il cerchione di un camion, che serve da campana.
Non lontana, la tomba di Ruphin, di un colore bianco-giallo che irradia sotto il sole di mezzogiorno. In una nicchia c’è la sua foto e, sulla croce, il suo nome e la data di nascita e di morte (1955-1998). La tomba è custodita da una ringhiera in ferro.
Dedichiamo qualche momento al silenzio e alla preghiera, quando Mariuccia ci scuote esclamando: “Guardate il sole!”. Guardiamo… Il sole è ornato da un grande cerchio, un ampio anello colorito. Rimaniamo tutti incantati a osservare. La coincidenza ci fa esclamare: “È un segno del cielo! È il segno dell’accoglienza del nostro martire!”. Mi affretto a scattare qualche foto.
LA BONTÀ DEL GRANO
Il cristianesimo in Africa non è un pallone gonfiato e non basta uno spillo per far perdere il suo vigore, come affermano alcuni pessimisti.
Papa Francesco ci insegna la via della speranza: si aprono nuovi orizzonti, e vediamo la realizzazione di un popolo che si spalanca ai valori e alla gioia del vangelo. Infatti, “la bontà del grano si manifesta a suo tempo”. Attraverso vicende imprevedibili, lo Spirito fa germogliare nei cristiani congolesi il seme del vangelo, gettato nel loro buon terreno, e lo fa crescere in un albero robusto, sul quale si poseranno gli uccelli dell’aria.
GIORNI, GLI UNI ACCANTO AGLI ALTRI
Andrea Facchetti
A metà dicembre è arrivata la prima pioggia. Desiderata, sperata, invocata, danzata, pregata. A volte temuta e maledetta. La prima pioggia ha iniettato vita alla terra ormai moribonda della savana, convertitasi nel verde, da un giorno all’altro e senza resistenza. La seconda pioggia ha fatto germinare la semente di mais e di miglio, lanciata qualche settimana prima, dopo la fatica di giorni a zappare sotto un sole impietoso.
PIOGGIA E DIO: UNA PAROLA
In lingua chisena - una delle varie lingue del Mozambico - pioggia si dice mulungu. Ma Mulungu è anche Dio. Non che la pioggia sia dio. No. Solo che pioggia e Dio si dicono con la stessa parola: mulungu e Mulungu. Come si desidera, spera, invoca, danza e prega la pioggia, allo stesso modo si desidera, spera, invoca, danza e prega Dio. Qui, sulle rive dello Zambesi, Dio si è stancato di stare nei cieli. Qui, Dio piove. Giorni di pioggia battente a cui seguono giorni di sole verticale; giorni di cielo plumbeo si alternano a giorni di cielo terso. L’uno accanto all’altro. La gente è felice, perché la fatica sarebbe vana senza mulungu. Si augura l’acqua abbondante dello scorso anno e si scongiura la siccità dei cinque anni precedenti, quando decine di famiglie hanno abbandonato il distretto a causa della fame.
SONO IO L’ANALFABETA
Ho grande rispetto per questa gente che saluta prima con il sorriso ampio della bocca e degli occhi, - l’uomo levando il cappello, la donna piegando lievemente le ginocchia - stringendo poi la mano ruvida e callosa, indurita dalla fatica del lavoro di ogni giorno. Gente che forse non sa leggere libri, ma che sa leggere il mondo. Sa leggere i segni della terra, del fiume, degli alberi, degli animali. Sa leggere il cielo, il vento, la luna e le nuvole quando preannunciano la pioggia. In questo universo di grandi saperi, sono io l’analfabeta.
IL TIMORE DEI… COCCODRILLI
Il corso principale del fiume Zambesi dista circa due chilometri. Ma a lambire il villaggio di Chemba, dove vivo con gli altri confratelli, c’è una lanca collegata al fiume da un passaggio che nei tempi di secca si attraversa a piedi. In questo angolo incantevole di mondo, dove la corrente è lieve e il fondale è basso, si va a prendere l’acqua e a pescare. Lì sono attraccate le canoe che accompagnano alle isole, formate dai meandri del fiume. Sulle isole in molti vanno a coltivare i loro campi, essendo lì la terra più fertile e produttiva.
La canoa non è in vetroresina come quella lasciata sul Po, ma è un tronco di albero scavato. Il remo è corto e ha una sola pala. Chi conduce siede a poppa. Su una canoa la prima volta ci vado con Estácio, vent’anni, che ogni tanto aiuta lo zio pescatore. Il timore è per i coccodrilli che, comunque, non attaccano le canoe.
Ma Estácio ha una ragione in più per tranquillizzarmi: “Se una persona non ha problemi con altre persone, non ha di che preoccuparsi”. E aggiunge: “I coccodrilli e i cobra, sono mandati, hanno un padrone”.
PER NON AVERE PROBLEMI
In caso di un problema qualsiasi - malattia, furto, controversia o lite - per risolvere la difficoltà e per dirimere la questione ci si rivolge generalmente allo n’ganga, lo stregone. Avrebbe il potere di curare la malattia, di identificare la persona colpevole del furto o che ha torto nel litigio. Si ricorre a lui prima ancora che all’infermiere o al capo villaggio, alla polizia o al prete.
Può succedere che, pagando una lauta somma di denaro - o il corrispettivo in capre - lo stregone eserciti il suo potere di vendetta sulla persona che si presume colpevole. Il castigo è portato a termine da uno spirito malvagio. Così, chi compie un delitto può giustificarsi che uno spirito è entrato in lui, non era cosciente e quindi non può essere responsabile. Oppure il castigo avviene attraverso uno spirito che entra in un cobra o in un coccodrillo per colpire il colpevole.
In questo modo, il male è esorcizzato e la colpa per la vendetta compiuta è de-responsabilizzata. Ma lasciamo ad altri queste considerazioni. A noi basta quanto conclude il buon Estácio: “Se una persona non ha problemi con altre persone, cobra e coccodrilli non fanno nulla”.