Traccia n. 8 La morte dei primogeniti e la fuga dall’Egitto. La consacrazione dei primogeniti (Es 12,29 – 13,1-16)
(Riflessioni a cura di Antonio Turi)
♦ La morte dei primogeniti e la fuga dall’Egitto (12, 29-42)
Tutto è pronto per l’ultimo atto di Dio. Il racconto abbraccia quattro momenti.
La morte dei primogeniti (12,29-34)
29A mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito nella terra d'Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero in carcere, e tutti i primogeniti del bestiame. 30Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi ministri e tutti gli Egiziani; un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c'era casa dove non ci fosse un morto!
31Il faraone convocò Mosè e Aronne nella notte e disse: «Alzatevi e abbandonate il mio popolo, voi e gli Israeliti! Andate, rendete culto al Signore come avete detto. 32Prendete anche il vostro bestiame e le vostre greggi, come avete detto, e partite! Benedite anche me!». 33Gli Egiziani fecero pressione sul popolo, affrettandosi a mandarli via dal paese, perché dicevano: «Stiamo per morire tutti!». 34Il popolo portò con sé la pasta prima che fosse lievitata, recando sulle spalle le madie avvolte nei mantelli.
Quanto viene narrato è la realizzazione di ciò che il Signore aveva preannunciato a Mosè
prima ancora del suo rientro in Egitto (4,21-23). La morte del primogenito del faraone viene poi unita al racconto delle «lezioni» (7,14 – 10,29) e ne diventa l’ultima, la unica «piaga». Viene annunciata di nuovo in 11,1.4 e in 12,12.13. La pena di morte è ora estesa a tutti primogeniti, anche del bestiame.
Tutte le piaghe precedenti erano rimediabili, ora non più. E’ il colpo ultimo e definitivo, narrato in soli due versi (29 e 30). Il «grande grido» dell’Egitto è la rivincita delle «grida di lamento» degli israeliti oppressi (2,23.24 e 3,9).
Questa strage urta la nostra sensibilità…perchè punire tutto l’Egitto e non soltanto il faraone? E’ vero che tutti gli egiziani erano coinvolti nella oppressione d’Israele, ma è anche vero che alcuni avevano preso le distanze dal faraone (9,20 e 10,7). Dobbiamo pensare che, per la cultura biblica di quel tempo la responsabilità del monarca non era ritenuta personale, ma coinvolgeva tutto il suo popolo; il faraone stesso dice infatti che lui e il suo popolo sono responsabili dell’oppressione degli israeliti (9,27).
Dal punto di vista storico non sappiamo cosa sia potuto accadere. Può darsi che la strage si possa far risalire a un evento di peste (Sal 78,50). Al verso 12,23 si dice che passerà lo sterminatore a distruggere i primogeniti…
Se vogliamo trovare delle spiegazioni di cosa possa essere accaduto, corriamo il rischio di perdere di vista quello che il testo vuol dire. Il racconto biblico non ci vuole raccontare un episodio di cronaca, ma vuole leggere quell’episodio di cronaca in altro modo.
Il Dio degli israeliti e il dio degli egiziani si sono sfidati duramente. Nonostante le nove lezioni (segni) di Dio, il faraone continua ad avere un cuore di pietra e non dà la libertà ad Israele, figlio primogenito del Signore. Bisogna definitivamente sapere chi è il Signore: Jhwh o il faraone? Siamo giunti allo scontro finale: chi ha la capacità di far vivere il proprio figlio primogenito?
Il racconto insegna che nulla e nessuno può sottrarsi all’azione potente del Signore a favore del suo figlio primogenito: è il significato che troviamo detto in 13,14-15.
14Quando tuo figlio un domani ti chiederà «Che significa ciò?», tu gli risponderai: «Con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto uscire dall'Egitto, dalla condizione servile. 15Poiché il faraone si ostinava a non lasciarci partire, il Signore ha ucciso ogni primogenito nella terra d’Egitto: i primogeniti degli uomini e i primogeniti del bestiame…
La morte dei primogeniti è qui inserita nelle prescrizioni della celebrazione della Pasqua; è il segno che l’azione di Dio si sta compiendo e che Israele viene risparmiato: l’angelo sterminatore passa oltre! Dio si compromette così in modo definitivo con Israele, Dio passa dalla sua parte.
Il faraone, finora ostinato e disposto a parziali concessioni, riconosce la propria sconfitta e tutto concede a questo popolo di schiavi perché possa andare nel deserto a celebrare la sua festa. Aggiunge anche una parola: «Benedite anche me! ».
Riconosce ad Israele un ruolo che è proprio di chi è redento, liberato. Colui che è redento prega per gli altri. Riappare in qualche modo il tema del lievito. In mezzo all’Egitto che è lievito (corruzione e violenza) c’è un azzimo Israele, libero da ogni fermento di corruzione e di peccato, che manifesta Dio nella sua verità e che perciò diventa benedizione anche per gli altri.. Israele se ne va dall’Egitto, ma l’Egitto non è abbandonato da Dio.
Gli stessi egiziani fanno pressione perché il popolo se ne vada al più presto, perché sentono la loro vita in pericolo.
Partono nella notte (al verso 12,22 al mattino, Dio anticipa la fuga), in fretta, portando pasta non lievitata e le madie (dei catini) avvolte nei mantelli…
La spoliazione degli egiziani (12,35-36)
35Gli Israeliti eseguirono l'ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti d'argento e d'oro e vesti. 36Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani, i quali accolsero le loro richieste. Così essi spogliarono gli Egiziani.
Il comando di Mosè si riferisce alle prescrizioni della Pasqua (12,28), ma è al verso 11,2 che bisogna ritornare per comprenderne il senso ed anche al 3,21-22. Non bisogna anche dimenticare la credibilità di cui godeva Mosè in Egitto agli occhi dei ministri e di tutto il popolo. Senza fatica gli egiziani danno agli israeliti quanto loro abbisogna perché se ne vadano il più in fretta possibile. Israele ha vinto e può spartirsi il bottino. Il popolo si mette in movimento e parte per «uscire».
La partenza di Israele (12,37-39)
37Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot, in numero di seicentomila uomini adulti, senza contare i bambini. 38Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro e greggi e armenti in mandrie molto grandi. 39Fecero cuocere la pasta che avevano portato dall'Egitto in forma di focacce azzime, perché non era lievitata: infatti erano stati scacciati dall'Egitto e non avevano potuto indugiare; neppure si erano procurati provviste per il viaggio.
Da Ramses ci si mette in movimento verso Succot. Si abbandona la città deposito nel territorio orientale del delta del Nilo, simbolo del lavoro forzato (1,11). Impressionante è il loro numero: seicentomila uomini, senza contare donne, bambini e gente che si è mescolata. All’inizio dell’Esodo (1,5) erano settanta, ora sono un popolo.
L’identità di Israele è ancora vaga e, soltanto lungo il cammino nel deserto, questa verrà a precisarsi, sia religiosamente che culturalmente.
Per sette giorni gli israeliti dovranno mangiare focacce azzime, cioè non lievitate, come si afferma in diversi passi del capitolo 12. Erano stati espulsi improvvisamente e non avevano potuto prendere provviste per il viaggio. Si parla degli azzimi, non tanto per ricordare una festa agricola o le condizioni di purità degli israeliti, ma per sottolineare la fretta della fuga dall’Egitto. Ad un comando di Dio si parte in fretta!
Fare memoria dell’esperienza (12,40-42)
40La permanenza degli Israeliti in Egitto fu di quattrocentotrent'anni.41Al termine dei quattrocentotrent'anni, proprio in quel giorno, tutte le schiere del Signore uscirono dalla terra d'Egitto. 42Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dalla terra d'Egitto. Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in generazione.
Si contano gli anni dal momento che sono entrati in Egitto e il momento della uscita: 430 anni (in Gn 15,13-14 si parla di 400 anni). Proprio in quel giorno (lo si ripetrà in 12,51) si realizza una svolta decisiva nella storia di Israele. Israele esce ben ordinato, secondo le sue schiere: è quasi una processione.
Il Signore ha vegliato tutta una notte per fare uscire dal paese d’Egitto il suo popolo. Come gesto di ringraziamento e come memoriale, il popolo veglierà nell’anniversario di quella notte, ogni anno, per sempre.
Dopo la notte della creazione (Gen 1-2) e quella in cui JHWH si manifestò ad Abramo promettendogli la nascita di un figlio (Gen 17,17), siamo alla terza - la notte della liberazione (Es12,42) - di quelle quattro notti di cui parla il Targum palestinese nel suo “Poema delle quattro Notti”.
La quarta notte sarà la notte finale, quando verrà il Messia e finirà il mondo; è la notte di Pasqua, per il nome di JHWH: notte fissata e riservata per la salvezza di tutte le generazioni di Israele.
♦ Prescrizioni sui partecipanti alla celebrazione pasquale (12,43-51)
43Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Questo è il rito della Pasqua: nessuno straniero ne deve mangiare.
44Quanto a ogni schiavo acquistato con denaro, lo circonciderai e allora ne potrà mangiare.
45L'ospite e il mercenario non ne mangeranno.
46In una sola casa si mangerà: non ne porterai la carne fuori di casa; non ne spezzerete alcun osso.
47Tutta la comunità d'Israele la celebrerà. 48Se un forestiero soggiorna presso di te e vuol celebrare la Pasqua del Signore, sia circonciso ogni maschio della sua famiglia: allora potrà accostarsi per celebrarla e sarà come un nativo della terra. Ma non ne mangi nessuno che non sia circonciso.
49Vi sarà una sola legge per il nativo e per il forestiero che soggiorna in mezzo a voi».
50Tutti gli Israeliti fecero così; come il Signore aveva ordinato a Mosè e ad Aronne, in tal modo operarono.
51Proprio in quel giorno il Signore fece uscire gli Israeliti dalla terra d'Egitto, ordinati secondo le loro schiere.
Le prescrizioni relative alla celebrazione pasquale che JHWH ordina a Mosè ed Aronne, possono spiegarsi per il fatto che « una grande massa di gente promiscua partì con loro…» (12,38). Esse stabiliscono, in particolare per coloro che non appartengono ad Israele, le condizioni per parteciparvi :
- il rito dovrà essere celebrato in casa e da tutta la comunità di Israele,
- vengono esclusi gli stranieri di passaggio e i mercenari, perché non presenti stabilmente nel paese,
- gli schiavi permanenti e gli stranieri con residenza fissa dovranno adeguarsi alle stesse leggi di Israele , in particolare dovranno essere circoncisi.
Gli israeliti eseguono l’ordine del Signore, un ordine volto soprattutto al futuro, quando tutti potranno insidiarsi nella terra di Canaan.
Vorrei porre l’attenzione sull’ordine del Signore di non spezzare alcun osso all’agnello, vittima pasquale. Perché? Quell’agnello prefigurava il sacrificio di Gesù in croce! E’ Gesù l’ Agnello pasquale, immolato il giorno di preparazione alla Pasqua - il 14 di Nissan:
«Il giorno dopo vede Gesù venire verso di lui, e dice: ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29).
«Vedendo che era già morto, (i soldati) non gli spezzarono le gambe… Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: non gli sarà spezzato alcun osso» (Gv 19, 33.36).
♦ La consacrazione dei primogeniti (13,1-2;11-16) ed il rito degli Azzimi (13,3-10)
Si riprende il rito degli Azzimi e si aggiunge il rito della consacrazione dei primogeniti, che inizia e termina il brano.
1 Il Signore disse a Mosè: 2«Consacrami ogni essere che esce per primo dal seno materno tra gli Israeliti: ogni primogenito di uomini o di animali appartiene a me».
3Mosè disse al popolo: «Ricòrdati di questo giorno, nel quale siete usciti dall'Egitto, dalla dimora di schiavitù, perché con la potenza del suo braccio il Signore vi ha fatto uscire di là: non si mangi nulla di lievitato. 4In questo giorno del mese di Abìb voi uscite. 5Quando il Signore ti avrà fatto entrare nella terra del Cananeo, dell'Ittita, dell'Amorreo, dell'Eveo e del Gebuseo, che ha giurato ai tuoi padri di dare a te, terra dove scorrono latte e miele, allora tu celebrerai questo rito in questo mese. 6Per sette giorni mangerai azzimi. Nel settimo giorno vi sarà una festa in onore del Signore. 7Nei sette giorni si mangeranno azzimi e non compaia presso di te niente di lievitato; non ci sia presso di te lievito entro tutti i tuoi confini. 8In quel giorno tu spiegherai a tuo figlio: «È a causa di quanto ha fatto il Signore per me, quando sono uscito dall'Egitto».
9Sarà per te segno sulla tua mano e memoriale fra i tuoi occhi, affinché la legge del Signore sia sulla tua bocca. Infatti il Signore ti ha fatto uscire dall'Egitto con mano potente. 10Osserverai questo rito nella sua ricorrenza di anno in anno.
11Quando il Signore ti avrà fatto entrare nella terra del Cananeo, come ha giurato a te e ai tuoi padri, e te l'avrà data in possesso, 12tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno; ogni primo parto del tuo bestiame, se di sesso maschile, lo consacrerai al Signore. 13Riscatterai ogni primo parto dell'asino mediante un capo di bestiame minuto e, se non lo vorrai riscattare, gli spaccherai la nuca. Riscatterai ogni primogenito dell'uomo tra i tuoi discendenti.
14Quando tuo figlio un domani ti chiederà: «Che significa ciò?», tu gli risponderai: «Con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto uscire dall'Egitto, dalla condizione servile. 15Poiché il faraone si ostinava a non lasciarci partire, il Signore ha ucciso ogni primogenito nella terra d'Egitto: i primogeniti degli uomini e i primogeniti del bestiame. Per questo io sacrifico al Signore ogni primo parto di sesso maschile e riscatto ogni primogenito dei miei discendenti».
16Questo sarà un segno sulla tua mano, sarà un pendaglio fra i tuoi occhi, poiché con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto uscire dall'Egitto»
Cominciamo col notare che più volte risuona il verbo «uscire», precisando «dall’Egitto», e «dalla condizione servile». Lo sguardo è rivolto al futuro e presuppone un Israele già entrato nella «terra del Cananeo» e che già possiede «la legge del Signore».
Al rito degli Azzimi si aggiunge il rito della consacrazione dei primogeniti. Entrambi i riti devono diventare «segno sulla tua mano e memoriale fra i tuoi occhi».
● Si rilegge la festa degli Azzimi (12,15-20) aggiungendo che il rito deve essere vissuto di anno in anno,
come memoriale «di questo giorno, nel quale siete usciti dall'Egitto… ».
Facendo memoria dell’Esodo, in un contesto di catechesi familiare (versi 8 e 14-15), ogni israelita ne rivive l’esperienza nell’oggi.
Rashì di Troyes, un famoso esegeta ebreo (1040-1105), – fa notare che il verso 13,8 è differente dal verso 12,26-27. Rileggiamoli.
La differenza tra i versi è dovuta all’atteggiamento del figlio. In 12.26-27 (come in 13,14-15) è il figlio che pone la domanda al padre ed il padre risponde.
In 13,8 il figlio non domanda ed il padre deve insegnare al figlio, che sembra non interessarsi della liberazione, «quanto il Signore ha fatto per me» (e non per noi). E Rashi aggiunge: «Il padre deve poi dire al figlio: “se tu ci fossi stato quella notte, tu non saresti stato degno di essere liberato, perché ora non ti interessi della liberazione!”.
Notiamo che il testo 13,1-16 era scritto (con Dt 6,4-9 e 11,13-21) sui tefillim o filattieri che erano portati sulla fronte e tra le mani durante la preghiera di ogni fedele israelita, una tradizione che potrebbe avere origine dal verso 9, che parla di un segno (un tatuaggio?) sulla mano e tra gli occhi.
● E’ proprio JHWH che ordina a Mosè che gli siano consacrati i primogeniti sia di uomini che di animali. La consacrazione dei primogeniti era una pratica religiosa molto diffusa nell’antico Oriente. Si offriva a Dio il primo raccolto, il primo agnello del gregge…e, nella tradizione cananea, anche il primo figlio, uccidendolo.
Israele non aveva condiviso questa mentalità e riscattava il primogenito con il sacrificio di un animale. L’episodio del sacrificio di Isacco (Gn 22) è all’origine di questa soluzione.
Lentamente il riscatto dei figli primogeniti viene aggiunto agli eventi pasquali: Dio ha risparmiato i nostri figli, li ha donati a noi, ma sono suoi! Il sacrificio sostitutivo è il segno con cui si riconosce il Dio dell’Esodo e gli si esprime gratitudine e obbedienza.
Approfondimento personale
- Ancora oggi, durante la cena pasquale ebraica, il più piccolo della famiglia domanda al padre: Perché il pane azzimo? Perché le erbe amare? Perché le erbe nell’intingolo? Perché la posizione reclinata? Ed il padre racconta la storia della liberazione.
- Come noi educhiamo alla fede i nostri figli? Perché questi racconti hanno perso valore?
- Ridiamo a Dio il primato della vita?
- Un figlio è per noi un qualcosa di dovuto o un dono?
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