CENNI SULLA STORIA DELLA CHIESA (Don Giampaolo Laugero)
Agli albori del quarto secolo la Chiesa raggiunge la desiderata libertà religiosa e il diritto di piena cittadinanza nei confini dell’impero. Un diritto che agli occhi dei posteri si presenta come il primo passo per giungere, verso la fine del secolo stesso, ad essere la religione dell’impero, l’unica “religio licita”, ammessa dalle leggi imperiali. Questa seconda svolta avviene durante il governo di Teodosio, fra il 380 e il 382, anno in cui tutte le pratiche che noi definiamo come “pagane”, in realtà proprie della tradizione religiosa romana precedente, vengono vietate. Da quei decenni di fine secolo quarto la Chiesa, un tempo perseguitata, assume anche il volto della persecutrice. E l’impero, un tempo a servizio del paganesimo, ora si pone al servizio del cristianesimo. Ecco allora che le feste tradizionali non possono essere più celebrate, che i templi sono demoliti, le statue distrutte, che qualche cristiano si lascia andare ad atti di violenza. L’episodio più clamoroso, che scatena una violentissima polemica nella quale si coinvolgono fior di intellettuali dell’impero, è quello relativo alla rimozione dell’Altare della Vittoria dall’aula del Senato. L’altare, voluto da Augusto per celebrare la vittoria di Azio, era ben più di un semplice monumento. Costituiva il simbolo che evocava tangibilmente l’identità imperiale romana, fondata sulla stretta unità del religioso e del politico. Proprio questo episodio rivela l’ineluttabilità degli eventi. Come poteva una Chiesa ormai legata a doppia mandata con l’impero accettare vestigia religiose che emanavano ancora un ambiguo fascino politico?
Un imperatore con le mani in pasta in questioni religiose
Dalla nuova situazione la comunità cristiana riceve enormi vantaggi, ma è costretta a pagare anche un pesantissimo dazio. L’imperatore è invocato quale aiuto indispensabile in momenti di necessità, ed è uno dei vantaggi, ma nello stesso tempo, quale capo supremo di un impero che è nello steso tempo entità religiosa ed entità politica, si intromette sempre più negli affari ecclesiastici, arrivando qua e là a spiazzare gli stessi vescovi. Accade ad esempio nel caso della condanna del vescovo iberico Priscilliano, accusato di manicheismo e condannato a morte dall’imperatore Massimo. Invano il santo vescovo di Tours, Martino, protesta e grida: “Sarebbe una novità inaudita e mostruosa far giudicare un affare ecclesiastico da un giudice secolare”. Come si intravede da questo episodio, l’intervento dell’imperatore non si esaurisce nelle misure contro il paganesimo bensì deborda nei confini ecclesiastici. Infatti, dirime controversie disciplinari e dice la sua su questioni prettamente dogmatiche. I casi più evidenti sono quelli relativi alle grandi eresie dei secoli quarto e quinto, prima quella trinitaria, poi quella cristologica. Agli inizi c’è da difendere la perfetta uguaglianza fra Padre e Figlio, in seguito c’è da precisare che nel Figlio incarnato sono presenti integralmente le due nature. In altre parole che Gesù di Nazareth è al contempo pienamente Dio e pienamente uomo. Ebbene l’imbrogliata matassa viene sciolta entrambe le volte proprio grazie all’intervento imperiale. È l’imperatore, infatti, che convoca e quasi preside, e così infatti “inventa”, quelli che poi diventeranno i primi concili ecumenici: Nicea nel 325, Costantinopoli nel 381, Efeso nel 431 e Calcedonia nel 451.
Chi abita al vertice della comunità cristiana?
A dire il vero le cose sono anche un po’ più complesse, perché quasi mai gli imperatori su questi temi mantengono una linea retta e non di rado appoggiano, anche dopo le assemblee conciliari, la rinascita sotto nuove forme delle posizioni condannate. Ma, posto nel suo contesto, il loro atteggiamento risulta alfine positivo: si tratta, infatti, di un formidabile aiuto alla Chiesa che si va sempre più ingrandendo e organizzando. Anche se ingenera quel fenomeno particolare che verrà denominato cesaropapismo. Un fenomeno tipico soprattutto dell’oriente dove l’impero rimarrà in piedi anche dopo la caduta della sua parte occidentale. Lì si impone una teologia tutta particolare che ha le sue radici nel pensiero di Eusebio di Cesarea. Secondo questa teologia Impero e Chiesa di fatto coincidono, dando origine ad un unico universo cristiano che al suo vertice ha la figura imperiale. Ad essa, dall’alto, quindi da Dio stesso, è affidata la cura del regno di Cristo in terra. Così a capo della Chiesa non sta tanto il patriarca di Costantinopoli, il “quasi papa” d’oriente, ma proprio l’imperatore. Questa convinzione rappresenterà uno dei tanti motivi di tensione con la Chiesa occidentale che al riguardo non la penserà allo stesso modo.
Laugero Giampaolo