CENNI SULLA STORIA DELLA CHIESA (Don Giampaolo Laugero)
Diocleziano
Diocleziano, condottiero di origine illirica dalla forte personalità, era stato eletto imperatore nel 284. Per vent’anni non aveva praticamente mosso un dito contro i cristiani. Eppure era tutto proteso a riorganizzare l’Impero attraverso un’opera di riforma a tutto tondo. Improvvisamente, in meno di un anno (febbraio 303 – gennaio 304) quattro successivi editti scatenano una delle persecuzioni più violente e brutali della storia del cristianesimo antico. L’ultimo di questi editti, probabilmente motivata dalla resistenza frapposta dai cristiani agli altri tre, li obbliga a sacrificare agli dei, pena la minaccia dei maggiori supplizi, della deportazione ai lavori forzati nelle miniere, della morte. Difficile trovare le ragioni di tanta improvvisa violenza. Forse non mancarono le pressioni di circoli pagani fanatici o l’influsso di uno dei tetrarchi, Galerio. Fatto sta che la Chiesa degli albori del secolo quarto, un secolo che diventerà decisivo per il suo sviluppo, viene profondamente ferita dall’ondata persecutoria. Ma questa Chiesa sa resistere e proprio Galerio sei giorni prima di morire, deve riconoscere l’inefficienza della sua politica e promulgare, a Nicomendia il 30 aprile 311, un editto di tolleranza. Si tratta di un editto concesso a malincuore, applicato col contagocce dal suo successore, Massimiano Daia, che consente ai cristiani di respirare e prepararsi all’appuntamento decisivo con la libertà che avverrà di lì a poco, nella parte occidentale dell’Impero, già più disponibile verso il diritto di piena cittadinanza dei cristiani.
La libertà arriva con un matrimonio
Accade, infatti, che nel febbraio del 313 i due nuovi imperatori Costantino e Licinio si incontrano a Milano in occasione del matrimonio di quest’ultimo con Costanza, sorella di Costantino. In quell’occasione i due decidono di applicare fino in fondo l’editto di Galerio dandone un’interpretazione estensiva a favore dei cristiani. Fra il resto lo si completa riconoscendo a tutti “la libertà di seguire ciascuno la religione che voglia”, come si esprime il testo di una lettera circolare inviata al governatore della Bitinia e successivamente resa pubblica da Licinio. I cristiani conquistano finalmente il diritto di esistere, ma a Milano non viene pubblicato nessun editto. Quello di cui si è parlato in lungo e in largo in tempi anche recentissimi non è dunque stato che un’invenzione degli storici. Gli stessi che a volte hanno gonfiato le cifre dei presunti martiri, impedendo un bilancio oggettivo. Cosa che a questo punto ci tocca fare con attenzione e rigore storiografico.
L’età dei martiri: un bilancio
Per tracciare un bilancio il più possibile oggettivo delle persecuzioni bisogna cominciare pronunciando alcuni precisi “non è vero”. Non è vero, ad esempio, che la Chiesa dei primi secoli sia stata una Chiesa nascosta e clandestina. La Chiesa delle catacombe è invenzione degli apologisti recenti. Anche perché le catacombe non furono mai luoghi di culto e di rifugio di fronte al nemico, ma più semplicemente aree cimiteriali, amate e venerate dai cristiani perché, lì si trovavano le spoglie mortali dei loro confratelli. Non è neppure vero che le persecuzioni si siano estese per anni e anni. Nei primi 250 anni quelli vissuti nella cattività furono poche decine. Ciò non toglie che per i cristiani dei primi tre secoli siano esistite difficoltà gravi e pesanti. Certamente di fronte alle persecuzioni emersero atteggiamenti di intrepido coraggio e di eroismo, che accomunarono uomini e donne di ogni età e di ogni condizione. Così fra i martiri troviamo giovani come Pancrazio e Tarcisio, mamme come Perpetua e Felicita, anziani come Policarpo, schiavi come Brandina di Lione, vescovi come Cipriano, uomini politici come il senatore Apollonio. L’elenco potrebbe continuare, ma non vanno ricordati solo coloro che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Gesù Cristo. Accanto ad essi va ricordato chi si trovò emarginato dalla vita sociale e politica, chi perse i beni, chi fu costretto all’esilio. Neppure vanno dimenticate le conseguenze che potremmo definire “collaterali”. Le persecuzioni gettavano le comunità in uno stato di disordine e di confusione. Molte di esse si trovavano prive di beni, con gli edifici distrutti o chiusi, nell’impossibilità, per tempi anche lunghi, di eleggere il vescovo e quindi di avere una guida. Infine va aggiunta un’ultima osservazione: non sempre la reazione dei cristiani fu esemplare. Accanto ai martiri apparvero i Lapsi e i traditores, coloro che in qualche modo rinnegarono la loro fede e la loro appartenenza ecclesiale. Qua e là si verificarono delle divisioni e degli scismi. E alla Chiesa si pose il problema della riammissione di chi aveva ceduto. Si scatenarono polemiche furiose fra rigoristi e lassisti, ma voci equilibrate, come quella di Cipriano di Cartagine, ricordarono ai primi l’atteggiamento della misericordia e ai secondi la necessità di riammettere i deboli solo dopo una lunga e severa penitenza. Anche negli anni difficili delle persecuzioni la Chiesa cresceva nella propria autocoscienza, aiutata dall’esempio dei tanti che seppero testimoniare fino al sangue la loro fede. Combattendo anche, forse senza saperlo, una grande battaglia per un valore a noi oggi tanto caro: la libertà di coscienza.
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SIGNORE, LIBERAMI DA ME STESSO
Signore, mi senti?
Soffro tremendamente. Asserragliato in me stesso, Prigioniero di me stesso.
Non sento che la mia voce, Non vedo che me stesso, E dietro di me non v’è che sofferenza.
Signore, mi senti?
Liberami dal mio corpo, che è tutto brama, e tutto quello che tocca con i suoi innumerevoli grandi occhi, con le sue mille mani tese, è solo per coglierlo e cercare di calmare la sua insaziabile fame.
Signore, mi senti?
Liberami dal mio cuore, tutto gonfio di amore, ma, mentre credo di amare pazzamente,
intravedo rabbioso che ancora amo me stesso nell’altro.
Signore, mi senti?
Liberami dal mio spirito, pieno di se stesso, delle sue idee, dei suoi giudizi; non sa dialogare,
perché non lo colpisce altra parola fuorché la sua. Solo, mi annoio, mi detesto, mi disgusto,
E mi rigiro nella mia sudicia pelle come il malato nel suo letto bruciante da cui vorrebbe scappare.
Tutto mi sembra brutto, mostruoso, senza luce, ... perché non posso veder nulla se non attraverso me.
Mi sento disposto ad odiare gli uomini ed il mondo intero, ... per dispetto, perché non li posso amare.
Vorrei uscire,
Vorrei camminare, correre verso un altro paese. So che esiste la GIOIA, l’ho vista raggiare sui volti.
So che brilla la LUCE, l’ho vista illuminare gli sguardi.
Ma Signore, non posso uscire, insieme amo e odio la mia prigione,
perché la mia prigione sono io ed io mi amo, mi amo, o Signore, e mi faccio ribrezzo.
Signore, non trovo neppure più la porta di casa mia. Mi trascino tastoni, accecato,
urto nelle mie stesse pareti, nei miei propri limiti, mi ferisco ho male
ho troppo male, e nessuno lo sa, perché nessuno è entrato in casa mia.
Sono solo, solo.
Signore, Signore, mi senti?
Signore, indicami la mia porta, prendi la mia mano, apri, indicami la Via,
la via della GIOIA, della LUCE. ... Ma ...
Ma, o Signore, mi senti Tu?
Figliuolo, Io ti ho sentito. Mi fai compassione. Da tanto tempo spio le tue imposte chiuse,
aprile,la Mia luce ti rischiarerà.
Da tanto tempo Io sono davanti al tuo uscio sprangato,
aprilo, mi troverai sulla soglia. Io ti attendo, gli altri ti attendono,
ma bisogna aprire, ma bisogna uscire da te.
Perché rimanere prigioniero di te stesso? Sei libero.
Non ho chiuso Io la tua porta, Non posso riaprirla Io, ...
perché sei tu dall’interno a tenerla solidamente sprangata.