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FEBBRAIO 2018

     

Negli autori del Settecento (di cui si è parlato nello scorso numero)abbiamo visto presenti due indirizzi, con due possibili sviluppi:

A) ridurre la religione a una rivelazione primordiale di Dio (unità di Dio, esistenza dell’anima), rispetto alla quale le religioni storiche (ebraismo e cristianesimo) non portano nulla di nuovo e di importante. Questa concezione della religione si può paragonare a tendenze esoteriche ed iniziatiche, così spesso presenti nella cultura odierna: movimenti e gruppi pseudo-religiosi (sette) caratterizzati  da  rituali di iniziazione che dovrebbero introdurre alla conoscenza di misteri nascosti inaccessibili ai comuni mortali.

B) la religione nasce dalla paura e dalla debolezza dell’individuo, dalla stessa paura che porta alla nascita dello stato (Hobbes), e si sviluppa per l’impostura di una classe sacerdotale. Oggi si può pensare alle tendenze evoluzionistiche, bio-sociologiche, che vedono nella religione processi di adattamento psico-biologici utili alla conservazione della specie.

 

 Affrontiamo ora il momento storico e logico successivo:

 

3) Chiesa: NO, Gesù Cristo: NO, Dio: NO.  - Filosofie atee e nichilistiche.

 

            Nel XIX secolo è l'idea stessa di Dio che viene sempre più messa in discussione:  il filosofo tedesco Feuerbach afferma che non è Dio che ha creato l'uomo, ma l'uomo che ha creato Dio. Egli sostiene infatti che l'uomo ha diverse buone qualità: è intelligente, saggio, buono, caritatevole, ma commette un errore: attribuisce queste sue virtù ad un essere superiore -  che chiama Dio – il quale le possiede tutte nel massimo grado. In qualche modo l'uomo si priva (si 'espropria') di queste sue qualità e le consegna, le regala ad un essere che considera infinito e che chiama Dio. Le religioni, quindi, - e in particolare il cristianesimo – sono “un errore”, basato sulla rinuncia ('alienazione') dell'uomo alla sua perfezione  e sul conseguente suo asservimento ad una potenza che in realtà non esiste. Occorre che l'uomo riconosca questo suo errore e ritorni ad appropriarsi di sé stesso  liberandosi di quel Dio che aveva inventato, torni quindi a pensare a sé come ad un essere del tutto concreto, inserito in una determinata realtà.

 

Marx riprende questo concetto, lo fa proprio e si chiede il motivo per cui l'uomo rinuncia a sé stesso e si crea un Dio illusorio. La sua risposta è che l'uomo sta male nella società in cui è costretto a vivere: in essa egli non può realizzare la propria umanità e allora si inventa un Dio che lo appagherà, sia pure nell'aldilà. La religione così, non solo è un errore, ma è proprio un ostacolo alla realizzazione dell'uomo, è l' “oppio dei popoli” , una sorta di droga che dà all'uomo una felicità illusoria. Poiché essa nasce da una società che è strutturata in modo da schiacciare l'uomo, è contro questa società (che è la società borghese e capitalista, basata sulla proprietà privata e sullo sfruttamento dell'uomo e del suo lavoro) che bisogna lottare per cambiarla profondamente.

La lotta contro la religione è dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l’aroma spirituale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo.(...) La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica. La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo. (MARX, Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico)

La prima cosa da fare quindi è riconoscere che la religione è solo un'idea falsa; occorre partire dalla realtà (che è puramente materiale) e lottare per costruire una società basata sul comunismo, all'interno della quale l'uomo sarà di nuovo sé stesso.

 

            Un ulteriore passo avanti sulla via della negazione dell'idea di Dio si compie  nella seconda metà dell'Ottocento, quando  termini come 'nichilismo' e 'nichilista' - fino ad allora presenti solo in alcuni ambiti squisitamente teologici e/o filosofici – cominciano a diventare di uso corrente. Ciò si verifica dopo la pubblicazione di un romanzo dello scrittore russo Turghenev, Padri e figli (1861), di cui riportiamo un breve passo:

“Beh, e questo signor Bazarov cos'è in sostanza?” domandò Pavel Petrovič...

“E' un nichilista”.

“Come?”...

“E' un nichilista”, ripeté Arkadij

“Un nichilista” proferì Nikolaj Petrovič “Viene dal latino nihil, nulla, per quanto posso giudicare; dunque questa parola indica un uomo, il quale... il quale non ammette nulla?”. “Di’ piuttosto: il quale non rispetta nulla” riprese Pavel Petrovicˇ. “Il quale considera tutto da un punto di vista critico”, osservò Arkadij....  Il nichilista è un uomo che non s’inchina dinanzi a nessuna autorità, che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato”. “E ti pare una bella cosa?” lo interruppe Pavel Petrovicˇ. “Secondo chi, zio. Per taluno ne deriva un bene, e per qualcun altro un gran male”. “Ah, cosi? Beh, vedo che non è una partita di nostra competenza. Noi siamo gente del vecchio secolo, noi riteniamo che senza “prensip” […] accettati, come tu dici, per dogma, non si può muovere un passo, non si può trarre un respiro... Come vi chiamate?” “Nichilisti” proferì distintamente Arkadij. “Si,...ora ci sono i nichilisti. Vedremo come farete a esistere nel vuoto, nello spazio senz’aria...”

Bazarov quindi viene presentato come colui che si contrappone alla generazione precedente la sua (ai padri), nega i valori tradizionali,  afferma decisamente di non riconoscerli, non crede in nulla. In qualche modo questo personaggio esprime quello che è appunto il concetto  su cui si basano le filosofie nichiliste: non è logico – si sostiene -  credere a valori che non hanno fondamento alcuno, dato che ciò su cui si fondavano non esiste. Dio non esiste.

 

Nietzsche (1844-1900) è l'esponente principale del nichilismo. Egli critica la cultura occidentale - a partire dallo stesso Platone – e in particolare critica il cristianesimo, ma anche le altre religioni. 

La teologia cristiana, infatti, è tutta imperniata sull'idea di un mondo ultraterreno, trascendente, per raggiungere il quale occorre praticare l'umiltà, essere in grado di fare delle rinunce, puntare solo alla salvezza dell'anima. Il cristianesimo quindi appare a Nietzsche una dottrina antinaturalistica, che nega valore alla realtà e si costruisce un mondo completamente distaccato dal nostro. Il Dio dei cristiani, secondo Nietzsche, non è la risposta ai dubbi profondi dell'uomo (l'esistenza del male, del dolore), non spiega il 'non senso', il disordine, l'irrazionalità di tanti aspetti della vita. Trasferisce in un mondo immaginario (l'aldilà) il punto di riferimento dell'agire umano, e quindi svaluta completamente la vita vera, quella terrena, l'unica vita reale. I valori su cui si basa, fondati sulla fede in un Dio trascendente,  non  sono veri valori perché mortificano e negano la vita, sono una finzione, sono nulla, sono vuoti, non esistono (e infatti molti, pur dicendo di apprezzali, in realtà poi non li praticano). E se i valori non esistono, allora  non esiste neanche  il Dio cui fanno riferimento. In questo senso Nietzsche può affermare che 'Dio è morto'.

 

Ma, se Dio non esiste,  l'uomo è completamente abbandonato a sé stesso; non è in cammino verso una meta e  l'unica cosa che può fare è tentare di realizzare sé stesso nel presente, nella realtà che vive: non è legato al passato, né crede nel futuro. Deve realizzarsi e per questo sa di dover esplicare al massimo la sua volontà di fare, la sua volontà di potere: si trovano qui le basi della teoria del superuomo, che avrà fortuna negli anni successivi.

                                                          A cura di Antonio e Antonella

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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