Ricapitolando…
Siamo ormai giunti all’inizio del’900, siamo per così dire al culmine di quel secolo, il XIX, che era stato caratterizzato dal trionfo della scienza e della tecnica: tante nuove invenzioni avevano modificato la vita degli uomini, rendendola apparentemente più semplice. Soprattutto – lo dicevamo già nel precedente articolo – ci si era convinti che il progresso avrebbe risolto tutti i problemi. Per molti pensatori di questi anni, non c’è più bisogno di Dio: Lutero nel ‘500 aveva cancellato la Chiesa, nel ‘700 si era abbandonata la fede in Cristo figlio di Dio e Redentore del mondo, nell’800 abbiamo visto che è l’idea stessa di Dio che viene posta in discussione. L’uomo si affida alle potenzialità che gli appaiono infinite della sua intelligenza e pensa che la scienza risolverà ogni cosa e soprattutto che la scienza può spiegare ogni cosa (scientismo): non c’è bisogno di ricorrere all’idea di un Dio creatore ed è anche illogico credere all’esistenza di un’anima immateriale. Il materialismo sembra trionfare: eppure, qualche pensatore (vedi Solovev, citato alla fine del precedente articolo) si rende conto che il materialismo e lo scientismo non solo non possono essere l’unica chiave interpretativa della realtà, ma neanche veramente risolvono tutti i problemi dell’uomo.
Crisi del positivismo e dello scientismo
In realtà l'uomo che ha rinunciato a riflettere sui “fini” del suo'agire e si è concentrato sugli aspetti concreti della sua esperienza, a un certo punto si accorge di essere rimasto in qualche modo 'invischiato' nei meccanismi della scienza e della tecnica. Si è illuso di potere dominare la natura, ma in realtà è sempre più represso e sottomesso alle logiche della produzione e del consumo, (già ben visibili in quel periodo fra il 1870 e il 1915 passato alla storia con il nome di Belle Époque) Si è illuso di poter controllare tutto, ma in realtà non è riuscito ad evitare, ad esempio, l’immane disastro della prima guerra mondiale. Così come è sembrato impotente di fronte alla grande crisi economica iniziatasi nel 1929 e, assai più tragicamente, di fronte all’affermarsi di totalitarismi distruttivi come il comunismo e il nazifascismo.
La storia delle idee di questi anni è dunque caratterizzata da una estesa reazione nei confronti del positivismo, nei confronti cioè di quelle teorie che avevano preteso di spiegare il mondo e l’uomo (compreso tutto ciò che riguarda la coscienza, la psicologia, le relazioni tra gli uomini) solo attraverso il metodo sperimentale, tipico della scienza. Ci si rende conto che non è possibile pensare all’uomo solo come ad un essere dipendente dall’ambiente biologico (come pretendeva di fare Darwin – evoluzionismo) o dall’ambiente sociale (come aveva aveva fatto, ad esempio, Marx, ma anche il sociologo positivista Durkheim). L’uomo ha una sua specificità che lo distingue dagli oggetti ‘naturali’: occorre quindi che la riflessione dei pensatori individui altri metodi, altre strade che portino a coglierne l’essenza. Inoltre, si sente il bisogno di esplorare non più soltanto il ‘come’ dei fenomeni e delle azioni umane, ma anche il ‘fine’ cui l’agire umano tende, alla ricerca di un senso dell’esperienza umana, anzi proprio dell’esistenza dell’uomo.
Reazione al positivismo e allo scientismo: fenomenologia- esistenzialismo
Non è possibile qui esporre il pensiero dei numerosi filosofi che nella prima metà del Novecento elaborarono teorie volte ad affrontare, in modi diversi, i problemi sopra accennati. Vogliamo almeno ricordare che alcuni di essi (appartenenti a quella corrente di pensiero che viene chiamata fenomenologia) - partendo dalla considerazione che la perdita dei valori (quella che Nietzsche definiva la “morte di Dio”) ha provocato nell’uomo un vero e proprio ‘disorientamento’ - cercano di riportare la riflessione filosofica sull’uomo in quanto soggetto di ogni forma di conoscenza. L’uomo cioè non è solo un oggetto fra gli oggetti, cosa tra le cose (quindi da studiare con gli strumenti delle scienze fisico-chimiche, ma è un essere intenzionato a conoscere in profondità il mondo, gli altri e sé stesso attraverso le relazioni che stabilisce con ciò che (o con chi) vede, ascolta, ama, accetta, rifiuta. In questo modo la conoscenza non è un puro cercare di scoprire il funzionamento del mondo, ma coinvolge la coscienza dell’uomo che conosce attraverso le proprie percezioni. Il mondo (e quindi anche gli eventi, le situazioni) acquista senso man mano che l’uomo ne prende coscienza, ne coglie l’essenza, ne comprende il significato valido per tutti. Si riaffaccia così il concetto di ‘valore’ e c’è nuovamente posto anche per l’esperienza religiosa. E’ nell’ambito di questi filosofi che viene studiato il concetto di ‘empatia’ , approfondito soprattutto da Edith Stein.
Altri filosofi, invece, concentrano la loro riflessione sul tema dell’esistenza, partendo dall’idea che l’uomo è l’unico ente che si pone questo problema, l’unico cioè che si chiede perché esiste . Se però si rinuncia all’idea di Dio che crea l’uomo secondo un progetto dotato di senso, l’uomo constata sì la sua esistenza ma avverte se stesso come “gettato” nel mondo, in una situazione concreta nella quale egli solitamente vive una esistenza banale, cosa tra le cose. Del resto l’uomo è come ‘costretto ad esistere’ in quanto non può scegliere di non esistere. Questa è l’idea base dell’esistenzialismo. Questo uomo ‘gettato nel mondo’ sente di avere infinite possibilità, ma si rende anche conto che la sua possibilità più vera, l'unica destinata a realizzarsi veramente, è la morte. L'unica via per esercitare la propria libertà e distinguersi dalle cose, è la riflessione su di sé, per comprendere quella che è la sua personale esperienza della verità. La verità, infatti, non esiste oggettivamente, al di fuori di sé, ma possiamo rintracciarla solo se interroghiamo la nostra personale esperienza. Ogni uomo percorre questa strada e conosce la propria verità, complementare a quella che è la verità degli altri. L'uomo quindi, non avendo più valori definiti e parametri morali cui far riferimento per orientare le proprie scelte, si crea propri fini e propri criteri in base ai quali dare senso al mondo. Dal punto di vista etico queste posizioni sfociano nel relativismo.
A cura di Antonio e Antonella