“Compro quindi sono. Ho quindi sono” Dada Prunotto
Negli anni ’70 del secolo scorso iniziai ad interessarmi alla figura di Andy Warhol, osservandolo non solo come artista, ma anche come persona.
Gli articoli di giornali, le riviste specializzate e le interviste dell’epoca lo dipingevano come una personalità schiva e contraddittoria. Tuttavia da certe interviste traspare una certa sensibilità, l’esistenza di una vita interiore, in forte contrasto, talvolta, con le sue dichiarazioni e con lo stile di vita ostentato, bizzarro e molto trasgressivo.
Volli capire più a fondo. Iniziai a guardare ai suoi lavori con spirito libero, senza lasciarmi influenzare da certe abitudini mentali.
Per Warhol era il periodo delle immagini fotografiche, seriografate, di personaggi molto noti nel campo della politica, dell’arte, del cinema e della letteratura. Apparentemente emblemi di una felicità effimera, miti trasgressivi degli anni ’60 –’70, merce in mano al consumismo mediatico. A queste icone tutte uguali, tanto da coprire intere pareti, Andy apportava pennellate di colore, poche e tutte diverse per ogni immagine, sino a farle “muovere”, a dare loro un significato che portava a guardare in profondità. Non più soltanto la facciata molto colorata e piatta, ripresa frontalmente, non più soltanto il mito, ma uno spirito talvolta inquieto, che usciva fuori da quei visi a dimostrare che – volendo – c’era anche un’anima.
Ne uscii sorpresa da quell’intuizione e continuai i miei approfondimenti sulla vita e le opere del maestro della pop art. Molti di quei personaggi erano morti ammazzati, suicidi, o vittime di una malattia grave. Warhol si interroga sulla caducità della vita, anche attraverso quelle immagini. Egli si portava dietro come un pesante fardello l’idea della morte e il ricordo della sofferenza patita quando, ancora piccolo, vide il padre ed il fratello morti. La sua sensibilità fu ferita per sempre. Proprio il grande artista, osannato e cercato dai grandi galleristi, da scrittori e artisti di tutto il mondo, interprete e lettore acutissimo dei tempi in cui viveva, soffriva di inadeguatezza, di un forte senso di caducità, di ricordi inquietanti, di un vissuto sofferto nella povertà mortificante di emigrante della lontana Polonia.
Il tema della caducità della vita emerge forte anche nel periodo più pop della sua produzione. Sicché, parallelamente alla sua attività di pittore, cineasta e fotografo, accanto alle opere dei famosi “multipli” della Coca Cola, del dollaro dipinto con grande maestria, della zuppa Compibell, c’era un’altra vita di Andy: quella spirituale della Messa ogni domenica, del volontariato presso una mensa, della preghiera pomeridiana sempre nella stessa chiesa. Accanto al consumismo compulsivo, di cui egli stesso era vittima, c’era l’amore per le cose belle e rare, di cui fu collezionista. La trasgressione più inquietante conviveva in lui e si confrontava quotidianamente con una vita spirituale di cui pochissimi erano a conoscenza. Visse nel disordine morale e contemporaneamente cercò Dio con la preghiera e le opere di bene, Morì dopo un banale intervento alla cistifellea, probabilmente per i disordini alimentari, che lo accompagnarono durante tutta la sua esistenza. Voleva apparire refrattario ad ogni emozione. La sua atarassia era però soltanto una difesa, che egli aveva sviluppato già da molto giovane, agli attacchi proprio di quel consumismo delle cose, delle persone e dei sentimenti che spudoratamente la società ostentava. Ne fu vittima ed artefice perché seppe sfruttare il momento storico favorevole per crearsi un lavoro creativo e tanta ricchezza.
Ma noi occidentali non siamo un po’ tutti figli di quello stile di vita contraddittorio e disordinato di cui Warhol fu esempio e simbolo?
I nostri figli non si nascondono anche essi dietro all’indifferenza e alla superficialità, vittime dei messaggi mediatici surrettizi, altre volte diretti e spietati che ostentano – come fossero macabri spettacoli – guerre, terrorismo, pornografia e follia collettiva?
Quale sarà lo stile di vita delle future generazioni? Quanta è la voglia di fermarsi, dopo tanto correre senza meta, a riflettere nell’attesa che la nostra anima possa raggiungerci? L’errore del consumismo tanto opulento quanto sciocco, ci ha anestetizzati. Possedere e consumare, anziché “essere in divenire” ci ha sottomessi, servi di un impero finanziario, che fa dell’uomo un oggetto di consumo a lui asservito, da gettare come un oggetto qualsiasi, nella discarica dell’indifferenziato, quando non serve più.