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SPIGOLANDO QUA E LA'

DICEMBRE 2004

     


Maria a Ebron dalla cugina Elisabetta ( a cura di Rita)
Nota: Maria si mette in viaggio, fa un tratto del percorso con Giuseppe diretto a Gerusalemme, poi prosegue da sola e giunge inaspettata alla casa di Elisabetta.

…Maria e la cugina stanno abbracciate un attimo e poi Elisabetta china il viso impallidendo e arrossendo alternativamente, vacilla come se si sentisse male.
Ma Elisabetta, dopo esser stata un minuto come raccolta in sé, alza un volto talmente radioso che pare ringiovanito, guarda Maria sorridendo con venerazione come vedesse un angelo, e poi si inchina in un profondo saluto dicendo: "Benedetta tu fra tutte le donne! Benedetto il Frutto del tuo seno! (dice così: due frasi ben staccate). Come ho meritato che venga a me, tua serva, la Madre del mio Signore? Ecco, al suono della tua voce il bambino m'è balzato in seno come per giubilo e quando t'ho abbracciata lo Spirito del Signore mi ha detto altissima verità al cuore. Te beata, perché hai creduto che a Dio fosse possibile anche ciò che non appare possibile ad umana mente! Te benedetta, che per la tua fede farai compiere le cose a te predette dal Signore e predette ai Profeti per questo tempo! Te benedetta, per la Salute che generi alla stirpe di Giacobbe! Te benedetta, per aver portato la Santità al figlio mio che, lo sento, balza, come capretto festante, di giubilo nel mio seno, perché si sente liberato dal peso della colpa, chiamato ad esser colui che precede, santificato prima della Redenzione dal Santo che cresce in te! ".
Maria, con due lacrime che scendono come perle dagli occhi che ridono alla bocca che sorride, col volto levato al cielo e le braccia pure levate, nella posa che poi tante volte avrà il suo Gesù, esclama: "L'anima mia magnifica il suo Signore " e continua il cantico così come ci è tramandato. Alla fine, al versetto: " Ha soccorso Israele suo servo, ecc. " raccoglie le mani sul petto e si inginocchia molto curva a terra, adorando Dio.
Il servo, che si era prudentemente eclissato quando aveva visto che Elisabetta non si sentiva male, ma che anzi confidava il suo pensiero a Maria, torna dal frutteto con un imponente vecchio tutto bianco nella barba e nei capelli, il quale con grandi gesti e suoni gutturali saluta di lontano Maria.
" Zaccaria giunge " dice Elisabetta, toccando sulla spalla la Vergine assorta in preghiera. " Il mio Zaccaria è muto. Dio lo ha colpito per non aver creduto. Ti dirò poi. Ma ora spero nel perdono di Dio, poiché tu sei venuta. Tu, piena di Grazia".
Maria si leva e va incontro a Zaccaria e si curva davanti a lui fino a terra, baciandogli il lembo della veste bianca che lo copre sino al suolo. E' molto ampia, questa veste, e tenuta a posto alla vita da un alto gallone ricamato.
Zaccaria, a gesti, dà il benvenuto, e insieme raggiungono Elisabetta ed entrano tutti in una vasta stanza terrena molto ben messa, nella quale fanno sedere Maria e le fanno servire una tazza di latte appena munto - ha ancora la spuma - e delle piccole focacce.
Elisabetta dà ordini alla servente, finalmente comparsa con le mani ancora impastate di farina e i capelli ancor più bianchi di quanto non siano per la farina che vi è sopra. Forse faceva il pane. Dà ordini anche al servo, che sento chiamare Samuele, perché porti il cofano di Maria in una camera che gli indica. Tutti i doveri di una padrona di casa verso la sua ospite.
Maria risponde intanto alle domande, che Zaccaria le fa scrivendole su una tavoletta cerata con uno stilo. Comprendo dalle risposte che egli le chiede di Giuseppe e del come si trova sposata a lui. Ma comprendo anche che a Zaccaria è negata ogni luce soprannaturale circa lo stato di Maria e la sua condizione di Madre del Messia. E' Elisabetta che, andando presso il suo uomo e posandogli con amore una mano sulla spalla, come per una casta carezza, gli dice: " Maria è madre Ella pure. Giubila per la sua felicità ". Ma non dice altro. Guarda Maria. E Maria la guarda, ma non l'invita a dire di più, ed ella tace. .

Circoncisione di Giovanni
Nota: Dopo la nascita di Giovanni Maria resta ancora presso la cugina, trascorre altro tempo finchè si giunge alla circoncisione del bambino e quando Zaccaria (ancora muto) scrive sulla tavoletta "il suo nome è Giovanni " riacquista l'uso della parola, il rito è finito la gente se ne va e restano Maria col bambino e la cugina .

Entra Zaccaria e chiude la porta. Guarda Maria con le lacrime agli occhi. Vuol parlare. Poi tace. Si avanza. Si inginocchia davanti a Maria : "Benedici il misero servo del Signore. Benedicilo poiché tu lo puoi fare, tu che lo porti in seno. La parola di Dio mi ha parlato quando io ho riconosciuto il mio errore ed ho creduto a tutto quanto m'era stato detto. Io vedo te e la tua felice sorte. Io adoro in te il Dio di Giacobbe. Tu, mio primo tempio, dove il ritornato sacerdote può novellamente pregare l'Eterno. Te benedetta, che hai ottenuto grazia per il mondo e porti ad esso il Salvatore. Perdona al tuo servo se non ha visto prima la tua maestà. Tutte le grazie tu ci hai portato con la tua venuta, ché dove tu vai, o Piena di Grazia, Dio opera i suoi prodigi, e sante si fan le orecchie che intendono la tua voce e le carni che tu tocchi. Santi i cuori, poiché tu dai Grazia, Madre dell'Altissimo, Vergine profetizzata e attesa per dare al popolo di Dio il Salvatore."

Dice Maria:
E la vigilia del Giovedì santo. A taluni parrà fuori posto questa visione. Ma il tuo dolore di amante del mio Gesù Crocifisso è nel tuo cuore e vi resta anche se una dolce visione si presenta. Essa è come il tepore che si sviluppa da una fiamma, che è ancora fuoco ma non è già più fuoco. Il fuoco è la fiamma, non il tepore di essa, che ne è unicamente una derivazione. Nessuna visione beatifica o pacifica varrà a toglierti quel dolore dal cuore. E tienilo caro più della tua stessa vita. Perché è il dono più grande che Dio possa concedere ad un credente nel suo Figlio. Inoltre non è la mia, nella sua pace, visione disforme alle ricorrenze di questa settimana.
"Anche il mio Giuseppe ha avuto la sua Passione. Ed essa è nata in Gerusalemme quando gli apparve il mio stato. Ed essa è durata dei giorni come per Gesù e per me. Né essa fu spiritualmente poco dolorosa. E unicamente per la santità del Giusto che m'era sposo fu contenuta in una forma, che fu talmente dignitosa e segreta che è passata nei secoli poco notata.
Oh! la nostra prima Passione! Chi può dirne la intima e silenziosa intensità? Chi il mio dolore nel constatare che il Cielo non mi aveva ancora esaudita rivelando a Giuseppe il mistero? .
Che egli lo ignorasse l'avevo compreso vedendolo meco rispettoso come di solito. Se egli avesse saputo che portavo in me il Verbo di Dio, egli avrebbe adorato quel Verbo, chiuso nel mio seno, con atti di venerazione che sono dovuti a Dio e che egli non avrebbe mancato di fare, come io non avrei ricusato di ricevere, non per me, ma per Colui che era in me e che io portavo così come l'Arca dell'alleanza portava il codice di pietra e i vasi della manna.
Chi può dire la mia battaglia contro lo scoramento, che voleva soverchiarmi per persuadermi che avevo sperato invano nel Signore? Oh! io credo che fu rabbia di Satana! Sentii il dubbio sorgermi alle spalle e allungare le sue branche gelide per imprigionarmi l'anima e fermarla nel suo orare. Il dubbio che è così pericoloso, letale allo spirito. Letale, perché è il primo agente della malattia mortale che ha nome " disperazione " e al quale si deve reagire con ogni forza, per non perire nell'anima e perdere Dio.
Chi può dire con esatta verità il dolore di Giuseppe, i suoi pensieri, il turbamento dei suoi affetti? Come piccola barca presa in gran bufera, egli era in un vortice di opposte idee, in una ridda di riflessioni l'una più mordente e più penosa dell'altra. Era un uomo, in apparenza, tradito dalla sua donna. Vedeva crollare insieme il suo buon nome e la stima del mondo, per lei si sentiva già segnato a dito e compassionato dal paese, vedeva il suo affetto e la sua stima in me cadere morti davanti all'evidenza di un fatto.
"La sua santità qui splende ancor giù alta della mia. Ed io ne rendo questa testimonianza con affetto di sposa, perché voglio lo amiate il mio Giuseppe, questo saggio e prudente, questo paziente e buono, che non è separato dal mistero della Redenzione, ma sibbene è ad esso intimamente connesso, perché consumò il dolore per esso e se stesso per esso, salvandovi il Salvatore a costo del suo sacrificio e della sua santità.
Fosse stato men santo, avrebbe agito umanamente, denunciandomi come adultera perché fossi lapidata e il figlio del mio peccato perisse con me. Fosse stato men santo, Dio non gli avrebbe concesso la sua luce per guida in tal cimento. Ma Giuseppe era santo. Il suo spirito puro viveva in Dio. La carità era in lui accesa e forte. E per la carità vi salvò il Salvatore tanto quando non mi accusò agli anziani, quanto quando, lasciando tutto con pronta ubbidienza, salvò Gesù in Egitto.

"Brevi come numero, ma tremendi di intensità i tre giorni della Passione di Giuseppe. E della mia, di questa mia prima passione. Perché io comprendevo il suo soffrire, né potevo sollevarlo in alcun modo per l'ubbidienza al decreto di Dio, che mi aveva detto: " Taci! ".
E quando, giunti a Nazareth, lo vidi andarsene dopo un laconico saluto, curvo e come invecchiato in poco tempo, né venire a me alla sera come sempre usava, vi dico, figli, che il mio cuore pianse con ben acuto duolo. Chiusa nella mia casa sola, nella casa dove tutto mi ricordava l'Annuncio e 1'Incarnazione, e dove tutto mi ricordava Giuseppe a me sposato in una illibata verginità, io ho dovuto resistere allo sconforto, a insinuazioni di Satana e sperare, sperare, sperare. E pregare, pregare, pregare. E perdonare, perdonare, perdonare al sospetto di Giuseppe, al suo sommovimento di giusto sdegno.
Giuseppe chiede perdono a Maria
Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all'uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l'abito sia sciolto e ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino.
Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un'ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: " A quest'ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni ".
Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora e Maria : " Parla, Giuseppe. Che vuoi da me?".
"Il tuo perdono". Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce.
Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. " Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l'amore che mi porti ".
Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell'incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull'orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. " Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato... ".
" Oh! no! Non hai mancato! ".
" Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu... Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l'offesa di un sospetto. Anche solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito,... tre giorni di supplizio, perdonami, Maria ".
" Non ho nulla da perdonarti. Ma, anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato ".
" Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe. Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni! Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?".
Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: " Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l'Atteso, che viene ad annul-lare la colpa di superbia che ha rovinato l'uomo. E poi ho ub-bidito... Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tan-to... per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non do-vevo che ubbidire. Sono l'Ancella di Dio, e i servi non discuto-no gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue ".
Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quie-tamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e - è la pri-ma volta che gli vedo fare questo gesto - stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle ro-see dita sottili, che spuntano come tanti bocci di pesco dall'a-nello delle mani di Giuseppe.
"Ora bisognerà provvedere perché... ". Giuseppe non di-ce di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpo-ra e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l'osserva. "Bisognerà fare presto. Io verrò qui... Compiremo il matrimonio... Nell'entrante settima-na: Va bene? ".
"Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva ".
" No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Si-gnore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d'Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo... quando sa-rò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere... Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!... Io non potrò mai osare di toccarlo!... " - " Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio " - " Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!... ".
" Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la no-stra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le no-stre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane …Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci " padre e Madre !"

Arrivo a Betlemme
Inutilmente Giuseppe ha chiesto agli albergatori per avere una stanza dove riposare, scoraggiati proseguono avviandosi fuori la città, verso la campagna in cerca di un rifugio nelle stalle vuote.
…….." Ehi! Galileo! " gli grida dietro un vecchio. " Là in fondo, sotto quella rovina, vi è una tana. Forse non c'è ancora nessuno ".
Si affrettano a quella " tana ". E' proprio una tana. Fra macerie di qualche fabbricato in rovina vi è un pertugio, oltre il quale vi è una grotta, uno scavo nel monte più che grotta. Si direbbe che sono le fondamenta dell'antica costruzione, a cui fan da tetto le macerie appuntellate da tronchi d'albero appena sgrezzati.
Per vedere meglio, poiché vi è pochissima luce, Giuseppe trae esca e acciarino e accende una lucernetta che trae dalla bisaccia che ha a tracolla. Entra, e un muggito lo saluta. " Vieni, Maria. E' vuota. Non vi è che un bue". Giuseppe sorride. " Meglio che niente!... ".
Maria smonta dal ciuchino ed entra.
Giuseppe ha appeso la lucernetta ad un chiodo infisso in uno dei tronchi che fanno da pilone. Si vede la volta piena di ragnatele, il suolo - terreno battuto e tutto sconquassato, con buche, ciottoli, detriti ed escrementi - sparso di steli di paglia. In fondo, un bue si volta e guarda coi suoi occhi quieti mentre del fieno gli pende dalle labbra. Vi è un rozzo sedile e due pietre in un angolo presso una feritoia. Il nero di quell'angolo dice che là si fa fuoco.
Maria si accosta al bue. Ha freddo. Gli mette le mani sul collo per sentirne il tepore. Il bue muggisce e si lascia fare. Pare comprenda. Anche quando Giuseppe lo spinge in là per levare molto fieno alla greppia e fare un letto a Maria - la greppia è doppia, ossia vi è quella dove mangia il bue e, sopra, una specie di scansia con su dell'altro fieno di scorta, e Giuseppe prende quello - lascia fare. Fa posto anche al ciuchino che, stanco e affamato, si dà subito a mangiare.
Giuseppe scova anche un secchio capovolto, tutto ammaccato. Esce, perché fuori ha visto un rio, e torna con dell'acqua per l'asinello. Poi si impadronisce di una fascina di frasche messa in un angolo e cerca scopare un poco il suolo. Poi stende il fieno, ne fa un giaciglio, presso il bue, nell'angolo più asciutto e riparato. Ma lo sente umido, questo povero fieno, e sospira. Accende il fuoco e, con una pazienza da certosino, asciuga a manate il fieno tenendolo presso il calore.
Maria, seduta sullo sgabello, stanca, guarda e sorride. Ecco pronto. Maria si accomoda meglio nel soffice fieno, con le spalle appoggiate ad un tronco. Giuseppe completa... l'arredamento stendendo il suo mantello come una tenda sul pertugio che fa da porta. Un riparo molto relativo. Poi offre pane e formaggio alla Vergine e le dà da bere l'acqua di una borraccia.
" Dormi, ora " le dice poi. " Io veglierò perché il fuoco non si spenga. Vi è della legna, per fortuna, speriamo duri e arda. Potrò risparmiare l'olio del lume ".
Maria si stende ubbidiente. Giuseppe la copre col mantello di Maria stessa e con la coperta che aveva prima ai piedi. " Ma tu... avrai freddo, tu ".
" No, Maria. Sto presso al fuoco. Cerca di riposare. Domani andrà meglio ".
Maria chiude gli occhi senza insistere. Giuseppe si rincantuccia nel suo angolo, sullo sgabello, con degli sterpi accanto. Pochi. Che durino a lungo non credo.
Sono situati così: Maria a destra, con le spalle alla... porta, semi nascosta dal tronco e dal corpo del bue, che si è accosciato nella lettiera. Giuseppe a sinistra e verso la porta, in diagonale perciò, e, avendo il volto al fuoco, ha le spalle verso Maria. Si gira però a guardarla ogni tanto e la vede quieta, come dormisse. Spezza piano le sue fraschette e le getta una per una sul fuocherello perché non si spenga, perché dia luce, e perché la poca legna duri. Non vi è che il bagliore, ora più vivo ora quasi morto, del fuoco. Perché il lume è stato spento e nella penombra spicca soltanto il biancore del bue e del viso e delle mani di Giuseppe. Tutto il resto è una massa che si confonde nella penombra greve.

Non vi è dettato dice Maria. " La visione parla da sé. A voi di capirne la lezione di carità, umiltà e purezza che emana. Riposa. Vegliando riposa, come io vegliavo attendendo Gesù. Egli verrà a portarti la sua pace ".

La nascita di Gesù. Efficacia salvifica della divina maternità di Maria.
Vedo ancora l'interno di questo povero rifugio petroso dove hanno trovato asilo, accumunati nella sorte a degli animali, Maria e Giuseppe.
Il fuocherello sonnecchia insieme al suo guardiano. Maria solleva piano il capo dal suo giaciglio e guarda. Vede che Giuseppe ha il capo reclinato sul petto come se pensasse, e pensa che la stanchezza soverchi il suo buon volere di rimanere desto. Sorride d'un buon sorriso e, facendo meno rumore di quanto ne può fare una farfalla che si posi su una rosa, si mette seduta e da seduta in ginocchio. Prega con un sorriso beato sul volto. Prega a braccia aperte, non proprio a croce, ma quasi, a palme volte in alto e in avanti, né mai pare stanca di quella posa penosa. Poi si prostra col volto contro il fieno in una ancora più intensa preghiera. Lunga preghiera.
Giuseppe si scuote. Vede quasi morto il fuoco e quasi tenebrosa la stalla. Getta una manata di eriche fini fini e la fiamma risfavilla; vi unisce rametti più grossi, e poi ancora più grossi, perché il freddo deve esser pungente. Il freddo della notte invernale e serena che penetra da tutte le parti di quella rovina. Il povero Giuseppe, presso come è alla porta - chiamiamo pure così il pertugio a cui fa da tenda il suo mantello - deve essere gelato. Accosta le mani alla fiamma, si sfila i sandali e accosta i piedi. Si scalda. Quando il fuoco è ben desto e la sua luce è sicura, egli si volge. Non vede nulla, neppure più quel biancore del velo di Maria, che prima metteva una linea chiara sul fieno scuro. Si leva in piedi e lentamente si avvicina al giaciglio. "Non dormi, Maria? " chiede.
Lo chiede tre volte, finché Ella si riscuote e risponde: " Prego ".
" Non abbisogni di nulla?" - " No, Giuseppe ".
" Cerca di dormire un poco. Di riposare almeno ".
" Cercherò. Ma pregare non mi stanca ".
" Addio, Maria ". "Addio, Giuseppe ".
Maria riprende la sua posa. Giuseppe, per non cedere più al sonno, si pone in ginocchio presso il fuoco e prega. Prega con le mani strette sul viso. Le leva ogni tanto per alimentare il fuoco e poi torna alla sua fervente preghiera. Meno il rumore delle legna che crepitano e quello del ciuchino, che di tanto in tanto batte uno zoccolo sul suolo, non si ode niente.
Un poco di luna si insinua da una crepa del soffitto e pare una lama di incorporeo argento che vada cercando Maria. Si allunga, man mano che la luna si fa più alta in cielo, e la raggiunge, finalmente. Eccola sul capo della orante. Glielo innimba di candore.
Maria leva il capo come per una chiamata celeste e sì drizza in ginocchio di nuovo. Oh! come è bello qui! Ella alza il capo, che pare splendere nella luce bianca della luna, e un sorriso non umano la trasfigura. Che vede? Che ode? Che prova? Solo Lei potrebbe dire quanto vide, sentì e provò nell'ora fulgida della sua Maternità. Io vedo solo che intorno a Lei la luce cresce, cresce, cresce. Pare scenda dal Cielo, pare emani da povere cose che le stanno intorno, pare soprattutto che emani da Lei………
La luce si sprigiona sempre più dal corpo di Maria, assorbe quella della luna, pare che Ella attiri in sé quella che le può venire dal Cielo. Ormai è Lei la Depositaria della Luce. Quella che deve dare questa Luce al mondo. E questa beatifica, incontenibile, immisurabile, eterna, divina Luce che sta per esser data, si annuncia con un'alba, una diana, un coro di atomi di luce che crescono, crescono come una marea, che salgono, salgono come un incenso, che scendono come una fiumana, che si stendono come un velo...
E la luce cresce sempre più. E' insostenibile all'occhio. In essa scompare, come assorbita da un velario d'incandescenza la Vergine... e ne emerge la Madre.
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia. Un picco Bambino, roseo e grassottello, che annaspa e zampetta con manine grosse quanto un boccio di rosa e coi piedini che starebbero nell'incavo di un cuore di rosa; che vagisce con u vocina tremula, proprio di agnellino appena nato; che muove la testolína tanto bionda da parere quasi nuda di capelli, una tonda testolina che la Mamma sostiene nella curva di una sua mano, mentre guarda il suo Bambino e lo adora piangendo ridendo insieme e si curva a baciarlo, non sulla testa innocente, ma su, centro del petto, là dove sotto è il cuoricino che batte, batte per noi... là dove un giorno sarà la Ferita. Gliela indica in anticipo, quella ferita, la sua Mamma, col suo bacio immacolato.
Il bue, svegliato dal chiarore, si alza con gran rumore zoccoli e muggisce, e l'asinello volge il capo e raglia. E' la luce che li scuote, ma io amo pensare che essi hanno voluto salutare il loro Creatore, per loro e per tutti gli animali.
Anche Giuseppe, che, quasi rapito, pregava così intensamente da esser isolato da quanto lo circondava, si scuote, e dalle dita strette al viso vede filtrare la luce strana. Leva le mani dal viso, alza il capo, si volge. Il bue ritto in piedi nasconde Maria. Ma Ella chiama: " Giuseppe, vieni ".
Giuseppe accorre. E quando vede si arresta, fulminato di riverenza, e sta per cadere in ginocchio là dove è. Ma Maria insiste: "Vieni, Giuseppe" e punta la mano sinistra sul fieno e, tenendo con la destra stretto al cuore l'Infante, si alza e si dirige a Giuseppe, che cammina impacciato per il contrasto fra il desiderio di andare e il timore di essere irriverente.
Ai piedi della lettiera i due sposi si incontrano e si guardano con un pianto beato.
Vieni, ché offriamo al Padre Gesù" dice Maria. E, mentre Giuseppe si inginocchia, Ella, ritta in piedi fra due tronchi che sostengono la volta, alza la sua Creatura fra le braccia e dice: "Eccomi. Per Lui, o Dio, ti dico questa parola. Eccomi a fare la tua volontà. E con Lui io, Maria, e Giuseppe mio sposo. Ecco i tuoi servi, Signore. Sia fatta sempre da noi, in ogni ora e in ogni evento, la tua volontà, per tua gloria e per amor tuo ".
Poi Maria si curva e dice: " Prendi, Giuseppe " e offre l'Infante.
"Io? A me? Oh, no! Non sono degno!". Giuseppe è sbigottito addirittura, annientato all'idea di dover toccare Iddio.
Ma Maria insiste sorridendo: "Tu ne sei ben degno. Nessuno più di te lo è, e per questo l'Altissimo ti ha scelto. Prendi, Giuseppe, e tienilo mentre io cerco i panni".
Giuseppe, rosso come una porpora, stende le braccia e prende il batuffolino di carne che strilla di freddo e, quando lo ha fra le braccia, non persiste nell'intenzione di tenerlo scosto da sé per rispetto e se lo stringe al cuore, dicendo con un grande scoppio di pianto: "Oh! Signore! Dio mio!" e si curva a baciare i piedini e li sente freddi, e allora si siede al suolo e se lo raccoglie in grembo e con la sua veste marrone e con le mani cerca coprirlo, scaldarlo, difenderlo dalla sizza della notte. Vorrebbe andare verso il fuoco, ma là c'è quella corrente d'aria che entra dalla porta. Meglio stare qui. Meglio, anzi, andare fra i due animali, che fanno da scudo all'aria e che mandano calore. E va fra il bue e l'asino e sta con le spalle alla porta, curvo sul Neonato per fare del suo petto una nicchia, le cui pareti laterali sono una testa bigia dalle lunghe orecchie e un grosso muso bianco dal naso fumante e dall'umido occhio buono.
Maria ha aperto il cofano e ne ha tratto lini e fasce. E' andata al fuoco e le ha scaldate. Eccola che va a Giuseppe e avvolge il Bambino nella tela intiepidita e poi nel suo velo per riparargli la testolina. "Dove lo mettiamo ora?" chiede.
Giuseppe guarda intorno, pensa... " Aspetta " dice. " Spingiamo più in qua i due animali e il loro fieno e tiriamo giù quel fieno là in alto e lo mettiamo qui dentro. Il legno della sponda lo riparerà dall'aria, il fieno gli farà guanciale e il bue col suo fiato lo scalderà un pochino. Meglio il bue. E' più paziente e quieto ". E si dà da fare, mentre Maria ninna il suo Bambino, stringendoselo al cuore e tenendo la sua guancia sulla testolina per dargli calore.
Giuseppe ravviva il fuoco senza risparmio per fare una bella fiamma e scalda il fieno e, man mano che lo asciuga, perché non raffreddi se lo mette in seno. Poi, quando ne ha raccolto tanto da farne un materassino all'Infante, va alla mangiatoia e lo dispone che sia una cunella. "E' pronto " dice mettono il mantello di Maria in doppio sul fieno e Maria vi depone il Salvatore e lo ricopre con un lembo del manto. E i Due curvi sulla greppia, lo guardano beati dormire il suo primo sonno.

Incontro per vedovi

I giorni 21, 22, 23 gennaio si può offrire ai fratelli e alle sorelle
che vivono la situazione di vedovanza la bella esperienza di spiritualità vedovile:
Cammino di speranza
Invitiamoli a partecipare, per trovare il senso della loro solitudine e
conforto nella conoscenza del piano di Dio sulla vedovanza.

Incontro Coniugale
I giorni 28,29,30 gennaio si terrà
l'Incontro Coniugale.
Invitate coppie amiche a partecipare a questa esperienza di grande efficacia per l'armonia e la spiritualità dei coniugi e delle famiglie.
Accompagniamo queste esperienze con la preghiera.

 



 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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