IL “SILENZIO DI DIO” – di Carla D’Agostino Ungaretti
Il silenzio di Dio è lo spazio
della nostra libertà.
Molti aspetti dell’esperienza cristiana si rispecchiano in un’affermazione di Charles de Foucauld: “Appena sono giunto a credere che Dio c’è, ho capito che non potevo fare altro che vivere per Lui. La mia vocazione religiosa porta la stessa data del dono della fede”. Molte anime, giunte alla percezione della presenza di Dio nella loro vita, hanno vissuto in completa simbiosi con Lui, in una felicità che solo quel tipo di esperienza può far provare, pur nel dolore e nella sofferenza della vita umana. Un esempio? Anna Maria Adorni (1805 – 1893) fondatrice delle Ancelle della Beata Maria Immacolata, beatificata a Parma il 3 ottobre 2010, diceva: “Se c’è stata una persona felice nella vita, quella sono io” pur avendo sperimentato il dolore della morte prematura di suo marito e di tutti e sei i suoi figli, esperienza che distruggerebbe qualunque donna.
Ma c’è un’altra sensazione tremenda che molti Santi hanno attraversato: quella del “silenzio di Dio“. Questa esperienza, che può scandalizzare tanti cristiani di fede debole, è stata descritta ampiamente dal santo carmelitano Giovanni della Croce nell’opera “La notte oscura” ed è stata attraversata da alcuni grandi santi del Carmelo come la notissima S. Teresa del Bambino Gesù e la meno nota S. Teresa Margherita del Sacro Cuore di Gesù (1747 – 1770) – la più giovane santa del Carmelo teresiano, sepolta nel monastero carmelitano di Firenze e canonizzata da Pio XI nel 1934 – le quali, nella loro terribile agonia, si sentirono piene di miseria e sperimentarono atroci dubbi sulla fede, ai quali opposero solo una disperata volontà di credere.
E’ un tipo di silenzio che anche l’Antico Testamento conosceva bene: “Non restare in silenzio, mio Dio, perché se tu non mi parli io sono come uno che scende nella fossa” (Sal 28, 1).
Ma S. Giovanni della Croce non è stato in assoluto il primo a descrivere la “notte oscura” dello spirito come tappa obbligata di purificazione passiva, la cosiddetta via purgativa, che prepara alla via unitiva.
Un’impressionante descrizione di questo stato fu fatta dal mistico domenicano Johannes Tauler (1300 – 1361):
“Allora veniamo abbandonati in tal modo da non avere più nessuna conoscenza di Dio e cadiamo in tale angoscia da non sapere più se siamo mai stati sulla via giusta, né più sappiamo se Dio esiste o no, o se noi stessi siamo vivi o morti. cosicché su di noi cade un dolore così strano che ci pare che tutto quanto il mondo nella sua estensione ci opprima. Non abbiamo più nessuna esperienza né conoscenza di Dio, ma anche tutto il resto ci appare ripugnante, sicché ci pare di essere prigionieri tra due mura”. Si tratta di un’esperienza di “vera croce”, identica a quella di Cristo che, avendo voluto calarsi nella totalità della natura umana, tranne che nel peccato, sperimentò anche Lui, nel momento supremo, la terribile sensazione della lontananza dal Padre. L’umanissimo grido disperato “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46) si è sempre intrecciato alla storia dell’umanità ma può dare poche risposte all’angoscia contemporanea se non in una prospettiva di “spes contra spem“.
Molti anni fa , la vostra amica Carla, cattolica “bambina”, ebbe il privilegio di incontrare personalmente Madre Teresa di Calcutta a Roma, nella casa delle Missionarie della Carità di S. Gregorio al Celio. Ebbe l’onore e la fortuna di essere invitata da lei a pregare insieme nella cappella del loro convento e non potrà mai dimenticare il sorriso e lo sguardo della Madre, che ispiravano serenità, fiducia, ottimismo e fede in Dio, riflesso dell’unione profonda con Lui in cui viveva la sua anima. Nessuno poteva sospettare che quella piccola anziana donna, minuta e apparentemente fragile come un uccellino, che aveva ricevuto addirittura un Premio Nobel per ciò che aveva saputo fare in favore degli “ultimi” del mondo, stesse sperimentando da anni una “notte oscura” nella quale ella ebbe la sensazione di essere respinta da Dio in un assoluto vuoto spirituale e che rivelò soltanto al P. Joseph Neuner SJ, che le fu vicino per molto tempo e che ne parlò soltanto dopo la morte di lei. Il pericolo più insidioso per l’anima, nella “notte oscura” dello spirito, è accorgersi che si tratta appunto della “notte oscura“, di quello che i grandi mistici hanno vissuto prima di lei e quindi di far parte di una cerchia di anime elette. Madre Teresa evitò questo rischio, nascondendo a tutti il suo tormento sotto un perenne sorriso.
Così sperimentò la “notte oscura” S. Teresa del Bambino Gesù la quale, per la sua tragica esperienza di estrema solitudine spirituale, ha trovato un posto nel cuore di uomini contemporanei profondamente consapevoli del dolore e del nulla, come Joseph Roth nel suo racconto “La leggenda del santo bevitore“. Roth si definiva “un razionalista religioso e un cattolico con cervello ebraico” e aveva la fede, ma non gli riusciva di viverla. Nel buio della sua vita, il protagonista del suo racconto trova il suo riscatto finale, contro ogni umana speranza, nell’incontro con la “petite Thérèse“[5].
La “petite Thérèse” combatté e vinse l’angoscia mortale che la divorava tenendosi stretta a Cristo e alla Croce. Questo aspetto della spiritualità carmelitana, consistente nella forza sovrumana di resistere alla disperazione, è di una ricchezza straordinaria ed ha affascinato tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerla, come Georges Bernanos, che è stato capace di fare un’indimenticabile rappresentazione del “silenzio di Dio” nel dramma “I dialoghi delle carmelitane“.
Le suore del Carmelo di Compiègne assistono stupefatte e sgomente alla disperata agonia della loro anziana Priora la quale, amata e venerata da tutte loro per la santità della sua vita, in punto di morte è travolta dalla disperazione e dal dubbio, che combatte pregando tenacemente non per sé, ma per le sue figlie. E mentre fuori del monastero infuria la rivoluzione francese, le carmelitane – rinsaldate e confermate nella loro fede dalla “spes contra spem” della Priora – fanno voto di martirio e, avendo rifiutato di obbedire all’autorità rivoluzionaria che impone loro di rinnegare i voti professati, salgono una dopo l’altra i gradini della ghigliottina cantando il “Veni Creator“, fino a che l’ultima voce si spegne.
Molti Santi, dopo essere stati felici nel loro rapporto con Dio, a un certo punto sono arrivati a dire, come il Santo Padre Pio da Pietrelcina: “Sento una mano che mi respinge”; “Con quante lacrime, con quanti sospiri chiedevo l’aiuto del cielo! Ma questo mi pareva che fosse divenuto di bronzo”[9]. Una risposta a tanta angoscia non può che rintracciarsi nelle parole con le quali S. Paolo parla dell’esperienza di Dio che ebbe Abramo: nonostante tutto ciò che egli aveva intorno fosse contrario alla speranza (la propria vecchiaia, la vecchiaia di sua moglie Sara e, infine, la stessa incomprensibile richiesta di Dio di sacrificargli il suo unico figlio Isacco, dopo averlo tanto favorito) egli sperò e “ciò gli fu accreditato come giustizia”(Rm 4, 18ss).
Perché Dio sottopone i suoi figli più meritevoli alla prova terribile del Suo silenzio? Qual’ è il significato di questo vuoto spirituale che, a un certo punto, attanaglia le anime di chi prima viveva in completa simbiosi con Lui?
P. Raniero Cantalamessa afferma che il silenzio di Dio come. <<E’ la tuta di amianto per chi deve andare tra le fiamme; è l’isolante che impedisce alla corrente elettrica di disperdersi, provocando corti circuiti>>
S. Paolo ha scritto: <<Affinché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne…ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me. Ed Egli mi ha detto : Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si mostra pienamente nella debolezza>> (2 Cor 12, 7ss). Non si riassume in queste parole tutta l’esperienza dei grandi Santi?