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MARZO 2012

     

UNIVERSALITA’ DEL PERDONO Dada

 

            Parlare di perdono dalle pagine di questa rubrica può apparire come un facile ripetere ciò che il Vangelo insegna. Il titolo è chiarissimo: “Settanta volte sette” e ci rimanda alla risposta di Gesù, quando gli fu chiesto quante volte dobbiamo concedere il nostro perdono a chi ci offende. C’è tutta una letteratura a commento di questa pagina del Vangelo la quale riassume, in modo molto diretto, tutto il messaggio di Gesù: perdono e misericordia vivono l’uno dell’altra, si compenetrano a si alimentano a vicenda e si dilatano abbracciando l’umanità intera. Sì, perché il Dio che ci ha fatto conoscere Gesù è un Padre misericordioso, che perdona, dimentica, non tiene in conto.

            Dunque l’umanità è figlia di un Amore universale che ci pone in relazione con Lui e fra di noi. Se non fosse così, a che cosa serviremmo su questa terra? La comunicazione vera, infatti, implica amore di fratellanza, coraggio, spirito di servizio, forza, intelligenza. Non può esistere vera comunicazione fra gli uomini, se non c’è la volontà e la consapevolezza che, perché il mondo possa andare avanti, è giusto che ci si ami, giacché sostanzialmente la relazione vera è una relazione d’amore.

            L’amore dilata i cuori e illumina la mente, e ci fa capire che veramente non possiamo farci un Dio soltanto nostro. Dio è di tutti.

            Egli veramente si pone in relazione con noi in modo perfetto, perché ha una visione infinita dell’esistenza. Egli sa che per continuare ad esistere bisogna infinitamente amare.

            E in virtù di questa visione universale che Dio perdona, non può fare altrimenti: lo Spirito ci vuole vivi e operanti, sempre. Il perdono è un atto di volontà e contemporaneamente conseguenza ineluttabile dell’Amore universale.

            C’è gente che si lascia morire e che cerca la morte, perché ritiene che la vita non abbia senso, pensa che il continuare a vivere sia inutile, se non insopportabile. Abbiamo avuto recentemente un esempio triste relativamente alla morte di un famoso politico italiano che, accompagnato da un medico di fiducia, è andato in Svizzera per essere “aiutato a morire” in una “clinica della morte”. Non giudicando, non si può comunque che provare un profondo senso di pena e di misericordia.

            Anch’io, poco tempo fa ho assistito, con dolore profondo e senso di impotenza, ad una morte annunciata da una persona che ha spiegato il suo gesto affermando: “Non mi sento più di soffrire. Datemi, se necessario, degli oppiacei, ma fatemi morire nel modo più indolore possibile”. Aveva tutti gli organi sani, nell’arco di quest’ultimo anno aveva smesso di mangiare e di bere. Ho cercato in questo gesto una spiegazione. Perché, perché? Era una persona debole, smarrita e senza speranza, che nell’arco della sua vita non si è mai posta in relazione con alcuno: non era capace di perdonare. Se non si ama non si comunica e non si perdona: non si vive. Ma non aveva capito, non si era fermata mai a riflettere. Confusa com’era da una visione del mondo limitante, da una vita che per lei non era altro che teatro ornato di vasi vuoti; una sorta di palcoscenico dove si muovono dei fantocci senza esigenze, senza problemi, senza cuore, senza niente.

            Morendo, finalmente il muro che aveva eretto fra sé e il mondo, a lei sempre estraneo, stava piano piano crollando e, con esso, le difese che aveva per forza costruito contro ciò che non capiva, contro chi non aveva imparato ad amare. La sua malattia era l’aver voluto escludersi dai rapporti sociali.

            Finalmente, senza più assurde difese, ha voluto rivedere, con autentico piacere, le persone che aveva ingiustamente condannato e mai perdonato. Fu da parte sua un grande gesto di misericordia: si era posta finalmente in relazione con Dio, senza saperlo. E Dio l’ha amata e l’ha “rigenerata”.

            Gandi, grande indiano illuminato, fautore della non violenza, invitava a ricordare che – perdonati – dobbiamo a nostra volta perdonare. Egli affermava che il debole non è capace di perdonare, perché attanagliato dalla paura, vive nel timore che da un gesto di così grande generosità si debba uscire perdenti. Gandi diceva che il perdono è una capacità dei forti e Dio, che è onnipotente, perdona sempre.

 

******************************

                Propongo all’attenzione del lettore il salmo 50, nell’ultima traduzione che è stata fatta da Benedetto Piacentini, religioso della Piccola Comunità dell’Annunziata. E’ vissuto a lungo in Medio Oriente, imparando l’ebraico moderno, l’arabo letterario e il dialetto palestinese.

                L’ebraico biblico lo ha studiato seguendo prima un percorso interno alla Comunità, poi frequentando alcuni corsi presso L’Istituto biblico francescano e l’Ecole Biblique.

                Eccovi, dunque il Salmo 50 tratto da “I salmi, preghiera e poesia” Postfazione di Adriana Schenker. Ed. Paoline.

 


Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;

nella tua grande compassione cancella le mie colpe.

Lavami da tutte le mie iniquità,

e purificami dal mio peccato.

Perché conosco le mie colpe,

e il mio peccato è dinanzi a me sempre.

Contro di te, contro te solo ho peccato,

e ciò che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto;

così che tu sia riconosciuto giusto quando parli,

e puro nel tuo giudizio.

Ecco, colpevole sono stato generato,

nel peccatore mi ha concepito mia madre.

Sì, tu vuoi la sincerità nell’intimo

e nel segreto del cuore m'insegni la sapienza.

Mi purificherai con issopo e sarò mondo;

mi laverai e sarò più bianco della neve.

Mi farai udire gioia e letizia,

esulteranno le ossa che hai spezzato.

Distogli il tuo volto dai miei peccati,

e cancella ogni mia iniquità.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,

e rinnova nel mio intimo uno spirito saldo.

Non scacciarmi dal tuo cospetto

e il tuo santo spirito non togliere da me.

Rendimi la gioia della tua salvezza,

e mi sostenga uno spirito generoso.

Insegnerò ai peccatori le tue vie

e quanti hanno sviato a te ritorneranno.

Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza,

e la mia lingua canterà la tua giustizia.

SIGNORE, aprirai le mie labbra

e la mia bocca proclamerà la tua lode.

Poiché non gradisci il sacrificio

se no lo avrei dato, né ti compiaci dell’olocausto.

Sacrificio a Dio è uno spirito affranto;

un cuore contrito e umiliato tu, o Dio, non disprezzi.

Nel tuo compiacimento benefica Sion,

edifica le mura di Gerusalemme.

Allora gradirai i sacrifici di giustizia,

come olocausto e offerta perfetta;

allora si offriranno giovenchi sul tuo altare.


 

            Supplica individuale dove al posto del lamento e dell’esposizione della propria situazione si ha una confessione individuale di peccato e una preghiera per il perdono. Il salmo tocca le radici profonde dell’umana esistenza e dell’umana debolezza perché il contenuto della preghiera passa dall’invocazione di perdono alla richiesta di una nuova creazione. L’esperienza di peccato del salmista coincide con la situazione dell’umanità intera che anela alla “rigenerazione”, a una trasformazione rinnovatrice operata dalla grazia. L’antica tradizione giudaica, riflessa nel titolo del salmo, proietta la composizione sullo sfondo umano del peccato di Davide e del suo pentimento, il testo evidenzia il superamento di questa prospettiva limitata e tocca il mistero più profondo dell’umanità bisognosa di redenzione. Per la sua profondità e la vastità del suo orizzonte, la composizione raggiunge le vette più alte della religiosità non solo dell’Antico Testamento ma di tutta la rivelazione.

            E’ uno dei sette salmi penitenziali della tradizione cristiana (Sal 6, 32, 38, 51, 102, 130, 143). Il pentimento sincero rispecchia l’atteggiamento necessario per intraprendere il cammino di conversione.

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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