LA RICONCILIAZIONE NELLA NOSTRA SOCIETA’ Dada
Dal già citato libro “L’arte di perdonare”, scritto dal monaco benedettino tedesco Anselm Griin propongo alla vostra attenzione il paragrafo dal titolo “La riconciliazione nella nostra società” (Pagg 81-88), Lo riporto qui di seguito integralmente.
Nella nostra società di oggi le divisioni tra i diversi gruppi sono molto evidenti. Non sono soltanto i partiti politici ad avere tra loro un rapporto sempre meno disposto alla riconciliazione. Spesso non si vede più lo sforzo comune compiuto per risolvere i problemi di questo mondo, ma soltanto il proprio successo e il rafforzamento della propria posizione di potere. Sono i diversi schieramenti che dividono la nostra società. I datori di lavoro e i sindacati rinunciano a condurre una lotta comune. I tecnocrati e gli alternativi hanno un rapporto conflittuale, i pacifisti e gli antagonisti dell’energia nucleare mostrano un atteggiamento per nulla conciliante nei confronti dei sostenitori delle armi da difesa e delle centrali nucleari. Ci sono i gruppi giovanili di destra e di sinistra che si fanno guerra. Lo stato deve far scendere in campo un’enorme forza di polizia per riportare sotto controllo la confusione creata da giovani teppisti. Già a scuola i ragazzi vengono divisi in gruppi. E guai se s’incontra qualcuno che appartiene allo schieramento avversario! Se succede lo si paga a caro prezzo. Spesso si viene picchiati e derubati. La violenza tra i gruppi avversari aumenta sempre più.
Esiste l’odio contro gli stranieri e i rifugiati. Spesso gli stranieri non hanno più il coraggio di andare in certi quartieri perché corrono il rischio di diventare vittime di bande giovanili o di essere attaccati da gruppi di destra. Un’insegnante che si occupa di profughi mi ha raccontato che i suoi allievi le chiedono di continuo che cosa significhi l’espressione “raus, raus, raus” (“fuori, fuori, fuori, ndt”). Evidentemente queste sono parole che sentono con maggiore frequenza in autobus, al ristorante, in discoteca. Ovunque vengono esclusi e rifiutati. Ma questa esclusione genera soltanto odio e desiderio di vendetta. Non è affatto sorprendente che il tasso di criminalità sia in aumento. In un clima in cui si viene visti solo come nemici, si assume il ruolo di nemico e ci si comporta di conseguenza. Quanto più le persone vengono umiliate, tanto maggiore è la loro tendenza a diventare violente. La violenza diventa così l’unico modo per farsi sentire e dimostrare il proprio valore. Si tratta però di una vita che porta alla distruzione e che rende sempre più profondo l’abisso che divide la società al suo interno.
Tuttavia non serve lamentarsi sempre delle preoccupanti condizioni in cui si trova la nostra società. E’ meglio scegliere le vie della riconciliazione in questa società dilaniata. Sono numerosi gli assistenti sociali che tentano di trattare con gruppi di destra e di sinistra e di prepararli alla riconciliazione. Non possono entrare in questi gruppi e chiedere immediatamente la riconciliazione. Devono prima di tutto rivolgersi a loro, ascoltate attentamente le loro motivazioni, le ragioni per cui pensano di agire in un determinato modo, individuare quali sono le loro ferite più profonde e i loro desideri concreti. Soltanto quando le persone si sentono accettate, acquistano la capacità di abbando-nare l’atteggiamento di ostilità e di accogliere i gruppi estranei. Anche se non possono cambiare la società nella sua totalità, ognuno è comunque responsabile nel proprio ambiente delle proprie azioni, che esse siano rivolte a unire o a dividere. Spesso non ci rendiamo nemmeno conto di come i nostri pregiudizi contribuiscano a dividere la società. Adottiamo con eccessiva facilità i pregiudizi della maggioranza, i pregiudizi nei confronti dei disoccupati, che non hanno voglia di lavorare, i pregiu-dizi nei confronti degli immigrati che ci portano via i posti di lavoro, i pregiudizi contro i nemici dell’energia nucleare, i pacifisti, i raggruppamenti più diversi. Le nostre parole generano determina-te conseguenze. Creano un clima che può favorire le divisioni oppure agevolare la riconciliazione. Noi siamo responsabili delle nostre parole. Sono proprio le parole a essere all’origine dell’in-quinamento ambientale. Affermazioni affrettate diffondono idee razziste e fasciste. E poi ci meravigliamo se i giovani prendono sul serio queste idee e agiscono di conseguenza.
Ognuno è responsabile del clima che crea intorno a sé. A cominciare dai pensieri. Dobbiamo controllare il nostro pensiero per vedere dove seguiamo inconsciamente determinati pregiudizi. Il nostro pensiero ha conseguenze su come parliamo e agiamo. Quindi la riconciliazione inizia dal pensiero. San Paolo lo ha detto esortando i Romani: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. (Rom 12,2). Dobbiamo incominciare con i nostri pensieri e dobbiamo osservarli attentamente per comprendere dove corrispondono alla volontà di Dio, dove sono buoni e fanno bene agli uomini, dove creano riconciliazione o divisione. Ognuno ha dentro di sé pregiudizi inconsci o proiezioni. Non vediamo mai la realtà con obiettività, ma sempre attraverso gli occhiali delle nostre proiezioni. Se proiettiamo sugli altri tutte le ombre che sono presenti in noi, per esempio sulle persone di colore, è quasi impossibile liberarsi dal pregiudizio secondo il quale non ci si può fidare dei neri. Se rimuoviamo la nostra sessualità, non dobbiamo meravigliarci se poi rifiutiamo ed escludiamo gli omosessuali o le persone che hanno con la loro sessualità un rapporto diverso dal nostro. Se rimuoviamo la nostra aggressività, la proiettiamo sui gruppi che non ci sono graditi. E poi non ci accorgiamo affatto di quanta aggressività sia presente nei nostri desideri di riuscire a controllare questi gruppi con la violenza. E’ preoccupante vedere la frequenza con cui tra queste persone ritornano espressioni brutali come per esempio: “Bisognerebbe mandarli tutti nelle camere a gas”. Allora si sente come il passato fascista riemergere nel nostro pensiero e quanto siamo vicini a trattare i gruppi che non ci piacciono come avveniva nel Terzo Reich.
Ognuno può contribuire alla riconciliazione nella nostra società con il proprio modo di pensare e di parlare, ma soprattutto con il proprio comportamento. Questo vale in particolare per chi ha posizioni di responsabilità. Le aziende sono un esempio. Oggi le imprese valide sono consce della loro responsabilità e del fatto che il modo in cui si interagisce all’interno dell’azienda plasma anche il clima intorno a loro. Se per un’azienda è importante che ognuno si senta accettato, e che tutti si comportino in modo equo e amichevole con i colleghi stranieri, questo atteggiamento avrà risvolti anche verso l’esterno. L’azienda si fa portatrice di valori che favoriscono la pace nella società. Invece se tutti i nuovi dipendenti di un’azienda vengono trattati con disdegno e di nuovo allontanati in quanto vittime del mobbing, ossia di violenza psicologica, le conseguenze saranno distruttive. Nascerà un’atmosfera che induce ad usare i gomiti anche nella sfera privata.
Alcuni pensano di essere impotenti di fronte ai pregiudizi della nostra società. Ma se li affrontiamo nella nostra ristretta cerchia personale, questo sforzo non è vano. Quando una donna italiana ha presentato la sua candidatura per un posto di lavoro in una piccola azienda, il direttore le ha risposto bruscamente che doveva tornarsene in casa sua a lavorare. Mio cognato, venuto a sapere dell’accaduto, ha telefonato al direttore dicendogli che non poteva approvare un simile comporta-mento e convincendolo a scusarsi con la donna. Se nessuno avesse reagito, probabilmente quest’uo-mo avrebbe continuato a comportarsi in questo modo inqualificabile alle richieste presentate da parte di stranieri. La conversazione lo ha fatto riflettere. Probabilmente la prossima volta sarà più sensibile nei confronti dei cittadini stranieri. Una signora che insegna tedesco ai rifugiati politici mi ha raccontato del tono con cui alcuni dipendenti statali si rivolgono ai rifugiati. Invece quando lei li accompagna e li segue, gli impiegati diventano più amichevoli perché non hanno il coraggio di dare libero corso ai loro pregiudizi. Ogni impiegato è responsabile del clima dell’ufficio in cui lavora. Alcuni trattano i richiedenti con estrema cura, altri invece mostrano il loro potere. Gli impiegati che hanno complessi di inferiorità insistono sul loro potere. Non riescono a scendere dalla loro posizione di superiorità. Talvolta si percepisce in loro addirittura il piacere di umiliare gli altri. Devono sminuire gli altri per sentirsi un po’ più grandi nei loro complessi di inferiorità. Si nascondono dietro la legge o dietro il regolamento e affermano di avere ragione, non notano affatto che la loro interpretazione delle norme ferisce le persone. Invece di riconoscere i loro diritti, negano loro il diritto alla vita. Ovunque può esservi riconciliazione o divisione. Lo stesso vale anche per i negozi. Il tono delle commesse crea un clima in cui le persone possono sentirsi apprezzate oppure svalutate. Ogni volta che una commessa si mostra cordiale con uno straniero, avviene un gesto di riconciliazione, viene abbattuto un pregiudizio, la spaccatura che attraversa in profondità la nostra società, viene in parte risanata.