IL PERDONO NEL MATRIMONIO
Testimonianza tratta dal libro “Settanta volte sette” di Johann Christoph Arnold – Ed S. Paolo
Ricerca a cura di Dada
A volte mi domando che consiglio ho da dare ad una coppia di sposi che hanno rapporti difficili. Rispondo sempre pregate e perdonate. E ai giovani che vivono in famiglie violente dico: Pregate e perdonate. Anche alle ragazze – madri prive del sostegno di una famiglia dico la stessa cosa: pregate e perdonate. (Madre Teresa)
Durante lunghi anni di consulenza ho ripetutamente constatato che, se marito e moglie non si perdonano giorno dopo giorno, il matrimonio diventa un vero inferno. Ho pure constatato che i problemi più spinosi possono sovente essere risolti con alcune semplici parole: mi dispiace, perdonami…
Chiedere perdono al coniuge può riuscire difficile. Ci vuole umiltà e capacità di riconoscere le proprie debolezze e mancanze. Ma è questo che rende felice il matrimonio: due sposi, vicendevolmente umili e pienamente consapevoli della loro reciproca dipendenza. Dientrich Bonhoeffer ha scritto che dobbiamo “vivere insieme nel perdono dei peccati”, perché senza perdono nessuna convivenza umana – e tantomeno il matrimonio – può sopravvivere. “Non insistete sui vostri diritti, non incolpatevi a vicenda, non giudicatevi e non condannatevi reciprocamente, non trovate da ridire l’uno dell’altro, ma accettatevi come siete e perdonatevi ogni giorno dal profondo del cuore”.
Christoph e Verena: perdono e preghiera nel matrimonio
In oltre trent’anni di matrimonio, a Verena e a me non sono davvero mancate le occasioni per mettere alla prova la nostra capacità di perdonare. Già una settimana dopo le nozze avemmo la prima crisi. Mia sorella, un’artista, aveva realizzato per noi un magnifico servizio di piatti. Avevamo invitati i miei genitori e le mie sorelle a cena nel nostro nuovo appartamento, e Verena aveva passato tutto il pomeriggio a cucinare. Io avevo apparecchiato la tavola con le stoviglie regalateci da mia sorella. Gli ospiti arrivarono e ci sedemmo per mangiare. All’improvviso le estremità del tavolo cedettero: non avevo sistemato bene i due prolungamenti. Il cibo e le ceramiche rotte si sparsero sul pavimento e mia moglie abbandonò la stanza in lacrime. Ci vollero ore prima che riuscissimo a ridere di quel disastro, poi destinato a diventare una leggenda familiare.
Con l’arrivo di otto figli i motivi di dissapori non mancarono certo. Ogni sera Verena faceva loro il bagno, li vestiva con lindi pigiamini, e poi li lasciava ad attendermi sul divano con in mano i loro libri preferiti. Quando tornavo dal lavoro essi volevano giocare con me e spesso finivamo a rincorrerci nel cortile. Ricordo ancora come Verena passasse ore e ore a rimuovere macchie di erba e fango, e non senza qualche borbottio!
Molti dei nostri figli soffrivano di asma e, quand’erano piccoli, ci svegliavamo quasi ogni notte con i loro colpi di tosse e il respiro affannoso. Pure questo fu motivo di discordia fra noi, specialmente quando Verena mi ricordava che anch’io avrei potuto tirarmi su dal letto e occuparmi di loro esattamente come faceva lei.
Tante discussioni riguardavano anche il mio lavoro. In quanto rappresentante della nostra casa editrice trascorrevo molte ore in viaggio e, poiché la nostra zona comprendeva la parte occidentale dello Stato di New York – Buffalo, Rochester e Syracuse -, viaggiavo anche per sei – otto ore lontano da casa. Con il tempo i viaggi aumentarono. Come assistente di mio padre mi recavo in Europa varie volte l’anno, e in seguito come pastore anziano facevo frequenti puntate in Canada, Europa e perfino in Africa. Quasi sempre finivo per giustificare tali viaggi come “d’importanza vitale”, anche se quest’affermazione non era sufficiente a convincere mia moglie, che doveva farmi la valigia, adattarsi ad un ritmo di vita frenetico e rimanersene spesso sola a casa con i figli.
Poi c’era il New York Times. Dopo un’intera giornata di viaggio, non vedevo nulla di male nel distendermi pochi minuti con il giornale in mano, mentre i bambini giocavano intorno a me, ed esprimevo con una certa veemenza questa opinione. Solo più tardi arrivai a capire il mio egoismo.
Spesso mi domando come sarebbe stato il nostro matrimonio se non avessimo imparato a perdonarci quotidianamente fin dall’inizio. Tanti coniugi dormono nello stesso letto e abitano sotto lo stesso tetto, ma rimangono interiormente molto distanti perché hanno alzato un muro di risentimento fra di loro. I mattoni di questo muro possono essere assai piccoli, come un anniversario dimenticato, un’incomprensione, una riunione di lavoro che ha la precedenza su una gita familiare da lungo programmata. Le mogli si indispettiscono quando i mariti buttano la biancheria sporca per terra anziché nella cesta, e i mariti sbuffano quando le mogli fanno presente che anch’esse hanno lavorato tutto il giorno.
Molti matrimoni potrebbero essere salvati dalla semplice constatazione che si è imperfetti. Troppo spesso le giovani coppie suppongono che un “buon matrimonio non conoscerà discussioni e disaccordi. Vedendo poi crollare quest’aspettativa irrealistica, ben presto cedono al disinganno e poco tempo dopo si separano per motivi d’incompatibilità.
Essere “imperfetti” significa che commetteremo degli errori e che ci feriremo a vicenda, talvolta senza accorgercene, talvolta coscientemente. Nella mia vita, l’unica soluzione infallibile che ho trovato è stata quella di perdonare – se necessario anche “settanta volte sette” in un giorno – e di pregare. Quando non si prega insieme quotidianamente, la miriade di tensioni presenti in ogni matrimonio può portare a sterili attriti. Un’attiva vita di preghiera mantiene invece la coppia incentrata su Dio e preserva la sua unità. C. S. Lewis scrive:
Com’è possibile perdonare le continue provocazioni della vita quotidiana, perdonare la suocera tirannica, il marito prepotente, la moglie brontolona, la figlia egoista, il figlio bugiardo? Secondo me, soltanto considerando la nostra situazione, riflettendo sulle parole che ogni giorno recitiamo. “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Solo a questa condizione possiamo ottenere perdono. Rifiutarla significa rifiutare il perdono di Dio nei nostri confronti. Non v’è alcun cenno di eccezioni, e Dio parla sul serio!.
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La voce del cuore
Pietro Gribaudi Editori
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