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APRILE 2012

     

La confessione Dada

 

            Scrivo questo mio articoletto proprio entrando nella Settimana Santa, quando l’argomento “perdono” assume, data la morte di Gesù, il massimo livello di dignità. A giorni andrò a confessarmi e da ora inizio a farmi un quadro di quanto dovrò rendere più evidente per fare una buona confessione e accedere al perdono di Dio. Mi vedo, prima di tutto, noiosa. Sì, noiosa, perché tendo ad assumermi delle responsabilità, nei confronti degli altri, non richieste. Proprio questo mi è stato rimproverato da alcuni familiari. A me pare bene occuparmi di loro; invece vengo vista come persona noiosa e anche invadente. Sì, forse il mio comportamento è visto come un impossessarmi della vita altrui; forse proietto i miei bisogni sugli altri, forse non so amare come piace a loro, forse mi sento troppo sola e cerco negli altri un mezzo per colmare il mio vuoto, forse sono sbagliata?

            Quanti interrogativi, quanti problemi…

            “Dada, mi raccomando, stai tranquilla, lascia che pensino e dicano ciò che vedono nella loro realtà, fai l’indispensabile. I tuoi cari sono tutti adulti, sapranno fare le loro scelte, giuste o sbagliate che siano. Attivati soltanto se c’è qualche emergenza, sempre che - anche in questa – ti chiedano aiuto. Altrimenti è meglio non intervenire, per non passare per una noiosa, che prende tutto troppo sul serio. Meglio è occupare il tempo ad affinare il tuo spirito”.

            Ho la fortuna di vivere in campagna, dove i rumori sono quelli che ci offre la natura. Il gallo canta tutte le mattine, ancora quando è buio; basta un po’ d’aria per sentire il fruscio delle foglie degli alberi, dove la notte il gufo si ferma e fa sentire la sua voce particolare, che sembra un’eco. Quando piove il rumore delle gocce sulla terra, sui tetti, sugli alberi, nei cortili è un’armonia piacevole e rilassante. E poi la luna, così vicina in certe notti nitide e piene di stelle, che appare alla finestra della mia camera da letto e diventa subito complice della mia felicità. E le campane della Chiesa, che annunciano il passare del tempo e ricordano le ore importanti della vita di Gesù e la Sua morte: l’ora della misericordia. Nei paesi si vive a rilento e a misura d’uomo, fortunatamente, e l’anima ne gode. Nell’importanza che assume il porsi in relazione con gli altri – tutti gli altri – voglio aggiungere ciò che mi manca, per diventare più gradita agli altri, ma anche per rendere gli altri completamente proprietari della loro vita, dei loro errori, del loro “Ego”. Voglio aggiungere un po’ di leggerezza e sconfinare in un pizzico di superficialità nel pormi al prossimo e, quando è il caso, ridere delle accuse che mi vengono mosse, senza sentire per questo una sorte di mortificazione, né incolpare nel mio cuore coloro che mi appaiono insensibili e irriconoscenti.

            Oggi è Domenica delle Palme e Nini mi ha appena portato a casa il ramo di ulivo. Festeggiamo con un brindisi a base di Dolcetto delle Langhe e chi vuole unirsi a noi può telefonare per prenotare, certo di venire accolto con gioia.

            A proposito di confessione, propongo all’attenzione del lettore uno scritto del monaco benedettino tedesco Anselm Griin, dal titolo: “La struttura concreta del rituale della confessione” tratto dal suo libro: “L’arte di perdonare” ed. Messaggero – Padova

 

Struttura concreta del rituale della confessione.

            La confessione richiede preparazione. Ascolto dentro di me per sentire dove sono i miei problemi, dove mi sono allontanato dalla mia vera impronta, dove ho ferito me stesso e dove ho fatto del male agli altri. Guardo il mio rapporto con Dio e rifletto su che cosa voglio dire nella confessione. Quando ci si prepara alla confessione è bene avere chiaro in mente che il sacramento della confessione è una festa della riconciliazione. Mi devo preparare a questa festa e affrontarla consapevolmente affinché io possa poi davvero celebrare una feste della liberazione e della riconciliazione. Nella confessione incontrerò Cristo che mi accetta incondizionatamente. Mi reco da Dio, mio padre, che mi accoglie e celebra insieme a me una festa della gioia perché io, che avevo perso me stesso e mi ero allontanato da me stesso, sono stato ritrovato, perché io, che ero morto, irrigidito negli obblighi e in modelli sorpassati, ho ritrovato la vita. Così la parabola del figliol prodigo o del padre misericordioso potrebbe essere una bella immagine adatta a prepararmi alla festa della riconciliazione nella confessione.

            La seconda fase è la confessione. Non sono tenuto ad elencare completamente tutti gli errori che ho commesso. Occorre invece raccontare l’essenziale: dove mi sento colpevole? Quali sono i miei aspetti problematici? Dove provo dispiacere? Che cosa mi pesa? Dov’è il punto in cui divento colpevole, in cui fuggo da me stesso e da Dio e che io vorrei portare coscientemente di fronte a Dio? Il sacerdote si concentrerà su questa confessione e nel dialogo chiarirà alcuni punti affinché chi si confessa possa comprendere ancora meglio se stesso e i propri problemi. Nel dialogo occorre comprendere e chiarire ma anche domandarsi come ci si dovrà comportare in futuro. In passato il sacerdote assegnava a chi si confessava una penitenza che spesso aveva un carattere principalmente esteriore e consisteva nel recitare determinate preghiere. Ma sembra più importante cercare insieme a chi si confessa quello che potrebbe aiutarlo a progredire interiormente e ad abbandonare un determinato errore o un modello di comportamento che non fa altro che ferirlo. Invece di assumere determinati propositi, sarebbe più utile cercare esercizi concreti che possono aiutarlo lungo il suo cammino. Talvolta propongo un rituale che traluce il rito della confessione nella vita concreta di chi si confessa. A una donna che aveva interrotto una relazione con il proprio fidanzato e non riusciva a superare i sensi di colpa che provava ho consigliato di seguire questo rituale. Se pensava di essere in grado di farlo, doveva scrivere tutto quello che le pesava ancora della sua relazione precedente e sotterrare poi il foglio, facendosi aiutare da nuovo fidanzato, piantando poi in quel punto dei fiori o un albero. Questo rituale ha aiutato la donna, che è davvero riuscita a liberarsi dai sensi di colpa. Si potrebbe dire che il rito della confessione è sufficiente per superare i sensi di colpa. Talvolta però il rito sacramentale richiede anche il rito personale per penetrare attraverso tutti gli strati della propria anima e far giungere nel profondo del cuore il perdono e la liberazione che trovano espressione nella confessione.

            La confessione si conclude con l’assoluzione, con la liberazione dai peccati in nome e per volontà di Gesù Cristo. Il rito prevede che al momento dell’assoluzione il sacerdote imponga le mani su chi si confessa. Con l’imposizione delle mani il perdono viene trasmesso fisicamente e chi si confessa può constatare con tutti i sensi che Dio lo ama senza condizioni. Il contatto con le mani mi fa intuire che Cristo stesso mi tocca nella confessione con un gesto d’amore e mi assicura: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”. Allora il perdono può scendere nel profondo del mio cuore e permettermi di perdonare anche me stesso. E’ questo l’obiettivo della confessione, poter credere non solo con la testa ma anche con il cuore e con il corpo che la mia colpa mi è stata perdonata e che ora posso anche perdonare me stesso con tutto il cuore. Allora vivo veramente la liberazione. Allora smetterò di continuare a tormentarmi autoaccusandomi. E così posso veramente celebrare la festa della riconciliazione.

            Nello stesso modo in cui la confessione richiede una preparazione, ha bisogno anche di una rielaborazione. Potrebbe essere la festa della riconciliazione, che celebro da solo oppure anche consapevolmente insieme agli altri.

            Alcuni celebrano questa festa in silenzio, sedendosi di fronte all’icona e meditando. Altri si concedono un bicchiere di vino per festeggiare anche con i sensi l’amore di Dio che perdona. Altri ancora, dopo la confessione si fanno una doccia, si fanno belli e indossano il vestito preferito per poi meditare o ascoltare la musica che tocca maggiormente il loro cuore. Poi ci sono anche quelli che celebrano la festa insieme agli altri perché sono amati incondizionatamente. Desiderano celebrare insieme agli altri l’amore che hanno ricevuto. Un aspetto della festa della riconciliazione consiste però anche nel riflettere sul modo in cui sia possibile tradurre concretamente nella mia vita il perdono ricevuto e rispondere all’amore di Dio che perdona. A questo proposito è importante non ripromettersi di fare troppo:è più opportuno prendere in considerazione concretamente un esercizio che mi ricordi sempre Dio che perdona e la mia risposta all’amore di Dio.

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            Sulla terza di copertina del libro di Grun si legge quanto segue: “Il messaggio del perdono e della riconciliazione risponde alle difficili situazioni in cui si trova l’uomo d’oggi, interiormente lacerato e incapace di riconciliarsi con se stesso e con gli altri, molti si tormentano continuando ad accusare se stessi o rivangando colpe del passato. Sempre più numerose sono le persone che soffrono a causa del loro non sentirsi accolte e che nello stesso tempo non riescono ad accettare la propria realtà. Questo libro è un invito a confrontarsi con la propria “ombra” e a cercare la verità su se stessi, per andare incontro agli altri in spirito di fraternità pacificata”

            Anselm Grun (19459 è un monaco benedettino che dirige il centro di spiritualità (Recollectio Haus) annesso all’abbazia di Wurzburg. Scrittore, conferenziere e terapeuta, è oggi uno dei più apprezzati maestri di spiritualità, le cui opere sono tradotte nelle principali lingue.

 

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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