DESIDERIO DI FAMIGLIA (Anna Comunità di Succivo)
Dall'Incontro Coniugale sono passati due mesi. Sono più serena e ho acquistato tanta fiducia in me stessa. Non pensavo ad un mio cambiamento e solo al pensiero di com'ero prima, mi sento male. Ringrazio Dio per aver lavorato su di me e avermi cambiata in bene: oggi le cose le faccio con più amore, i problemi li affronto diversamente.
Io nella mia vita non sono stata amata, non ho mai avuto una vera famiglia, sono cresciuta nell'egoismo assoluto e, sinceramente, non sapevo com'era amare ed essere amata, finché non ho conosciuto l'uomo che oggi è mio marito.
Anche lui, come me, era come disperso nel deserto, ma, come si dice, nulla accade per caso: Dio ha voluto metterci sullo stesso cammino, perché sapeva che avevamo bisogno l'uno dell'altro.
Ci siamo sposati solo per fuggire da chi ci soffocava e per fare tutto quello che ci andava di fare, senza che nessuno ci dicesse di no.
Poi è nato il mio primo figlio Carmine. Quando nacque io lo vidi per la prima volta mentre stava mangiando dal mio corpo e pensai: “Io che sono stata figlia di nessuno, oggi ho un figlio; io che non ho mai avuto una famiglia, oggi ho una famiglia mia”!
In realtà nei primi tempi non eravamo una famiglia perché mio marito stava sempre fuori per lavoro e a casa tornava solo due giorni al mese; io a casa non c'ero mai, perché facevo avanti e in dietro tra la mia casa e quella di mio padre e con me anche mio figlio.
Un giorno mi fermai finalmente: Ero incinta del mio secondo figlio, dovevo partorire e, ringrazio il Signore, dopo quell'evento sono stata più in casa mia con i miei figli e con mio marito. Una sera, stavamo a tavola e io, per la prima volta, respirai aria di famiglia.
Come si dice, il Signore è grande e misericordioso, non dimentica i propri figli: tutte le mie preghiere erano state ascoltate.
Se tornassi in dietro non rifarei quello che ho fatto, non sacrificherei mio figlio facendo avanti e in dietro… e per cosa?
Oggi posso dire che in me c'è una persona nuova, una mamma più disponibile, una moglie che ha capito il vero significato del matrimonio e il vero significato della famiglia. Amo la mia famiglia e per tutto questo devo un grazie a Dio, nostro Padre celeste, che mi ha aperto gli occhi e il cuore.
Grazie! Grazie! Non mi stancherò mai di ringraziarti, mio Signore, per avermi dato una famiglia, quella famiglia che io non ho avuto.
GRAZIE, DIO, PADRE DEI NOSTRI CUORI!
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Giobbe
Il libro di Giobbe fa parte dei libri sapienziali: fa un lavoro di riflessione nel rapporto: uomo – Dio. Per il suo contenuto e per la sua espressione formale è stato definito “uno dei più meravigliosi poemi del mondo”.
Il libro è costituito da un prologo, da una parte centrale composta in versi e da un epilogo.
Nel prologo Giobbe è descritto come un uomo pio, ricco, felice. Ma improvvisamente su di lui si abbattono delle calamità, che lo riducono nella più squallida miseria: perde i figli, tutte le sue ricchezze, egli è colpito da una tremenda malattia, per la quale è cacciato da casa, disprezzato, oltraggiato dagli amici e persino dalla moglie.
Questo cambiamento non è dovuto al caso, ma ad una decisione presa in cielo da Dio, che autorizzò Satana a togliere a Giobbe le ricchezze per provare la sua fedeltà alla legge divina. Giobbe però non abbandonò la pratica del bene e Satana continuò a tentarlo con la malattia ripugnante. Tre amici allora vanno a consolarlo, ma rimangono muti accanto a lui per sette giorni e sette notti.
Fu Giobbe che per primo iniziò a parlare, dando sfogo alla propria sofferenza. Il suo è un grido di lamento per la sua triste condizione. I suoi amici però non comprendono i suoi sentimenti, convinti che la sua sventura sia conseguenza dei suoi peccati.
Questa idea fu molto diffusa in tutto l'Oriente antico: Soffre chi ha peccato, poiché ha provocato l'ira divina, eppure Giobbe, essendo un uomo giusto sta soffrendo.
In uno scenario di tempesta, Dio stesso appare descrivendo in un momento le meravigliose bellezze del creato, frutto di una mente sapiente e misericordiosa, e in un secondo momento rimprovera i tre amici di Giobbe di non aver parlato di Lui “così rettamente quanto Giobbe mio servo”. Dio, perciò, sicuro e riconoscente della bontà del suo “servo”, gli concede il doppio dei beni che prima possedeva.
Oggi gli esegeti sono concordi nel riconoscere che lo scopo del libro è la discussione di uno dei problemi che sempre hanno lasciato pensoso l'uomo: il problema del dolore, la sua origine, il suo valore.
In questo libro è indicato nel prologo l'origine del dolore: L'innocente è stato colpito per volere diretto di Satana, che ha agito con il permesso di Yavé.
In questo modo Dio fa il demonio responsabile della caduta dell'uomo. Infatti non Dio ma Satana è il responsabile di tante sventure che hanno colpito Giobbe.
Per molti secoli il popolo ebraico ha considerato valido questo principio: Chi opera il bene sarà felice e chi opera il male sarà infelice. E' su questo che Giobbe e i suoi amici discutono. Giobbe non dà valore di castigo alla sua sofferenza, ma dà valore di una prova, poiché le sofferenze provano il giusto, lo tengono lontano dall'orgoglio e dal peccato.
Un altro elemento da notare è l'atteggiamento di umiltà con il quale Giobbe accetta la perdita di tutto ciò che aveva. Poiché egli si riconosce “povero”; aprendosi completamente a Dio, riavrà la benedizione divina.
Questo libro lascia molti insegnamenti: la vera sapienza consiste nel temere Dio e fuggire il male. Giobbe inoltre c'insegna la pazienza nelle avversità, il culto sincero, la costanza nel praticare la legge morale anche nelle maggiori tentazioni, la sua fiducia incrollabile nella bontà divina e nella giustizia.
Per quanto riguarda la storicità del libro, gli esegeti considerano la parte centrale una finzione poetica, invece il racconto del prologo e dell'epilogo, che è in prosa, è da ritenersi una vera narrazione storica.
L'autore non è del tutto conosciuto. Conosce perfettamente la legge ebraica, la letteratura biblica, le condizioni sociali giudaiche. Perciò si ritiene che fosse ebreo. Fu certamente un saggio, un uomo colto e profondo.
Ricerca a cura di Gabriella Mengoni.
Messaggio di Miriana del 2 marzo 2007
Cari figli, il mio nome è Amore.
Il fatto che io sia in mezzo a voi per così tanto del vostro tempo è Amore,
perché a mandarmi è il Grande Amore.
Cerco da voi lo stesso Amore. Cerco l'Amore nelle famiglie.
Cerco che nel vostro fratello riconosciate l'Amore.
Solo così, attraverso l'Amore, vedrete il volto del Sommo Amore.
Che il digiuno e la preghiera siano per voi una guida.
Aprite i vostri cuori all'Amore e quindi alla salvezza. Grazie.