Completare ciò che manca alla sua Passione?
♦ Ho appena letto con passione il bel libro che raccoglie, a cura di un piccolo fratello, alcuni testi di Charles de Foucauld: “La mia fede”, Città Nuova Editrice, 2008, Roma. In un tempo in cui la fede non significa nulla per molti, Charles può essere l’esempio di come una fede viva possa trasformare un’esistenza umana. Proprio nell’Anno della Misericordia ricorre il centenario della morte di Charles (1858-1916), beatificato da Benedetto XVI nel 2005. Il libro citato riporta, in particolare, un estratto dal Regolamento dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore, dal titolo: “Completare ciò che manca alla sua passione”. Nell’estratto si esortano i Piccoli Fratelli a prepararsi a quella fine fortunata della propria esistenza che è il martirio… per permettere a Gesù, attraverso la loro morte, di “completare ciò che manca alla sua Passione”... Sono parole che riflettono il pensiero di un uomo che ha vissuto nella radicalità del Vangelo, dalla ricerca di Dio alla conversione, fino al ritiro nel deserto e al martirio.
♦ Ma sono parole che mi lasciano perplesso! Le mie perplessità aumentano pensando anche alle parole di Madre Speranza, tratte dal suo “Diario, 21 marzo 1952”: «Patire con Lui è consolarlo e completare in noi la sua Passione». Madre Speranza ha partecipato ai patimenti del Signore e numerosi sono i segni sul suo corpo della Passione (flagellazione, stimmate alle mani, sudore di sangue..), da lei accettate come grazia! (dal libro “Madre Speranza Alhama Valera, Le esperienze mistiche”). E dice che è il Signore stesso a invitarla a soffrire sulla croce! (Padre Mario Gialletti, Appunti, 13 marzo 1959). Ma il Signore ci chiede proprio di soffrire sulla croce come Lui? Ci chiede davvero di completare la sua Passione?
♦ Forse i grandi mistici, come Charles de Foucauld e Madre Speranza, hanno una spiritualità a me sconosciuta e/o incomprensibile! Mi chiedo se quel “completare in noi la sua Passione” sia anche il pensiero di altri grandi mistici, come Agostino, Faustina Kowalska, Teresa di Lisieux, Francesco e Chiara d’Assisi.. Credo che un approfondimento della Spiritualità di queste grandi figure di testimonianza cristiana possa aiutarmi a capire il significato profondo di “completare in noi la sua Passione”.
♦ Quel “completare in noi la sua Passione”, per ora mi confonde e mi porta a diversi interrogativi: come possiamo affermare che alla Passione di Cristo manca qualcosa? Come si può pretendere di aggiungere qualche cosa alla Croce, al suo infinito Amore, al solo Amore che ci salva? Alla Passione di Cristo non manca niente! La Passione di Cristo è stata più che sufficiente per la redenzione dell’uomo. Cristo è il solo ed unico Redentore dell’Umanità! Cristo infatti ha compiuto l’opera affidatagli dal Padre – Gv 17, 4: «Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare» ed ha attestato dalla Croce che ha compiuto tutto – Gv 19, 30: «Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “E’ compiuto!” E, chinato il capo, consegnò lo Spirito» “E’ compiuto!” è l’ultima parola di Gesù. Egli torna dal Padre aprendo la via della vita eterna a tutti.
♦ Ed allora, mi chiedo, cosa vogliono dirci queste parole? Riflettendo, ho ricordato che fratel Charles e Madre Speranza riportano le parole che San Paolo rivolge ai Colossesi: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24). Questo versetto è proprio della traduzione della Bibbia CEI 1974 ed è certamente ambiguo. Sembrerebbe, come già sottolineato, che il sacrificio di Cristo sia incompleto, non abbia abbastanza valore da realizzare la riconciliazione dell’umanità con Dio e che sia Paolo ad avere l’ambizione di completare ciò che manca. Questa idea non poteva certamente venire in mente a san Paolo. Egli afferma infatti un po’ più avanti nella lettera: «Con Cristo Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe » (Col 2, 13).
♦ Ho pensato, per risolvere l’ambiguità di “Col 1,24”, di esaminare i fascicoli della rivista bimestrale “Parole di vita” dell’Associazione Biblica Italiana (ABI). Il fascicolo gennaio/febbraio 2012 raccoglie dei commenti sulla “Lettera ai Colossesi”. In particolare è interessante l’articolo di Sebastiano Pinto dal titolo “L’apostolo soffre a vantaggio della Chiesa e rivela il mistero” (Col 1, 21-29). L’articolo mette in luce che, per migliorare la comprensione della frase di Paolo, i traduttori hanno modificato un po’ l’ordine delle parole, in particolare per l’espressione “nella mia carne”. Sembra poca cosa, ma in realtà cambia il senso. La traduzione della Bibbia CEI 2008 è infatti più comprensibile: «Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24). Più comprensibile è pure la Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente – Bibbia TILC: «Ora io sono felice di soffrire per voi. Con le mie sofferenze completo in me ciò che Cristo soffre a vantaggio del suo corpo, cioè della Chiesa» (Col 1, 24). Paolo soffre a causa del lavoro apostolico, ma è felice di questo perché con il suo lavoro e le sue fatiche, diffonde e rafforza la fede in Cristo. L’articolo citato fa notare che la parola “patimenti”, non significa la sofferenza salvifica sopportata da Cristo per la nostra salvezza, bensì le sofferenze, le tribolazioni che la Chiesa deve sopportare per la sua testimonianza.
♦ Ho capito che Paolo vuole dirci che la nostra più alta vocazione cristiana è: imitare Cristo.
Imitare Cristo in che senso? Essere capaci, come Paolo, di parlare di gioia anche nelle sofferenze e nelle prove della nostra vita. Ciò è possibile se siamo capaci di un amore che non mette condizioni, che non ha limiti: è l’amore per cui si arriva a dare la vita per chi non ci ama e a perdonare chi ci offende. Qui c’è la grande provocazione del Vangelo! Imitare Cristo! Queste due parole mi incoraggiano a meditare su un testo di spiritualità, il più diffuso dopo la Bibbia: “L’imitazione di Cristo”, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2013. Ne riporto alcune parole: «Molti sono disposti a trovare posto con lui alla sua tavola, pochi alla precarietà. Tutti vogliono godere con lui, pochi sopportare qualcosa per lui. Molti seguono Gesù fino allo spezzare del pane nell’ultima cena, pochi fino al momento di bere il calice della passione… Quelli che amano Gesù lo benedicono nei momenti difficili e di aridità spirituale come nei momenti molto belli e di grande fervore..» (Numero 11). «Nessuno può capire meglio la passione di Cristo di chi in qualche modo abbia potuto sperimentare personalmente che cosa significhi soffrire… Se ti fai capace di portare la croce con serenità, sarà essa a portare te e a condurti a quel traguardo dove avrà fine ciò che quaggiù non può aversi in nessun modo: la fine di ogni sofferenza..» (N°12).
♦ Comincio a intravedere il senso di “offrire la propria vita per i peccatori” (suor Faustina Kowalska) e della “sofferenza quale prova dell’amore ” (Madre Speranza). E’ ancora l’amore autentico la chiave per comprendere la vicenda dei sette monaci trappisti “uomini di Dio, martiri di Tibhirine”, uccisi barbaramente nel maggio1996 (tesi ISSR Chiavari, La vicenda e lo spirito dei martiri di Tibhirine, 2015). Essi, come fratel Charles, non hanno cercato la morte, ma la hanno accettata come conseguenza della loro scelta di vita alla sequela di Cristo; il loro martirio è stato un “martirio dell’amore”, come vita donata fino all’estremo. “Martiri d’amore” sono i tanti cristiani barbaramente uccisi in paesi lontani! Per loro il crocifisso è ancora oggi il simbolo che dà senso al loro dolore!
♦ Ma Dio non ci chiede di essere martiri… perchè è Lui il martire per eccellenza da cui viene la nostra salvezza. Il progetto Shalom di Dio, da sempre e per sempre è un progetto di felicità per l’uomo. Ed il Vangelo è la Buona Novella per noi. Dobbiamo imparare a leggere il Vangelo dando più importanza alla gioia che al dolore che esprime. In verità trascorriamo la nostra esistenza tra gioie e sofferenze e le “croci” inevitabilmente non ci mancano. Sono proprio, a volte, le sofferenze, il dolore per una perdita cara che ci allontanano da Dio, non accettando che Lui ci faccia soffrire. Ma, come possiamo noi, così piccoli, comprendere la sua volontà? E la sofferenza non è propria della natura umana, dei nostri limiti che inevitabilmente ci porteranno alla fine? Dio ci è sempre vicino, nelle gioie e nelle sofferenze, anche se non lo sentiamo.. e solo Lui può darci conforto nelle nostre sofferenze. Se non lo abbandoniamo, possiamo riuscire, anche se a volte ci costa fatica a dare un senso al nostro soffrire e a “gioire delle nostre sofferenze”, come San Paolo e tanti altri autentici discepoli di Cristo.
♦ La storia della salvezza per noi, oggi si realizza nei Sacramenti. Nell’Eucarestia, all’offerta del Pane e Vino, possiamo nel calice metterci tutte le nostre gioie e sofferenze, offrendole a Dio, non certo per completare la Passione di Cristo, ma, per unirci a Lui verso Dio Padre. Guardiamo la Croce, c’è il Cristo crocifisso! Per la sua grande misericordia Dio ci ha salvato! Ogni domenica ricordiamo, nel Prefazio: «Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un’ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua resurrezione ci acquistò la salvezza”.». Parole ritrovate in un canto di Quaresima “Signore, dolce pianto” : «..O Verbo, nostro Dio, in croce sei per noi. Nell’ora del dolore ci rivolgiamo a te. Accogli il nostro pianto, o nostro Salvator». E dietro la Croce? C’è un posto vuoto! Mettiamoci noi, non per completare la sua Passione, ma per fargli compagnia, per partecipare, attraverso le nostre sofferenze, alla sua Passione! E ritrovare, grazie a Lui, la nostra Pasqua!
Antonio Turi (Rapallo)