Difesa della vita umana nella sua fase finale
Continuiamo a parlare di “difesa della vita” e lo facciamo partendo da una citazione tratta dalla Evangelium vitae di san Giovanni Paolo II, al num. 39:
La vita e la morte dell'uomo sono... nelle mani di Dio, in suo potere: «Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana», esclama Giobbe (12, 10). «Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire» (1 Sam 2,6). Egli solo può dire: «Sono io che do la morte e faccio vivere»(Dt 32, 39).
Il testo della Enciclica è chiaro: ribadisce che la vita è dono di Dio, un dono del quale l'uomo non può disporre. E dunque ancora una volta constatiamo che la difesa della vita è principio non negoziabile, valore irrinunciabile: Nel numero scorso abbiamo parlato dell'aborto come violazione di questo principio e strada non percorribile per nessuno perché implica la distruzione della vita umana nascente. Questa volta rifletteremo sulla fase finale della vita umana: sappiamo infatti che nel contesto sociale e culturale di oggi è fortemente presente la tentazione di sostituirsi al Creatore della vita, per essere noi a decidere il momento e le modalità della nostra morte.
Per affrontare questo argomento,è necessario chiarire alcuni concetti e intendersi sul significato di alcune parole.
Eutanasia
Eutanasia è una parola greca che significa letteralmente: 'buona morte'. La Evangelium vitae al num. 65, la definisce cosi: Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un'azione o un'omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore.
Parliamo quindi del procurare la morte di qualcuno allo scopo di eliminare la sua sofferenza. Diciamo subito che voler eliminare o diminuire le sofferenze è di per sé un atto moralmente accettabile e persino 'buono': la medicina moderna ci fornisce i mezzi per ottenere questo scopo, come vedremo più avanti. Lo scopo è accettabile dunque; ciò che invece può non essere accettabile è il mezzo di cui ci si serve per ottenerlo. Se un medico per eliminare la sofferenza di un paziente, gli somministra una qualche sostanza che ne procura la morte, commette un omicidio. Procurare il tal modo la morte di una persona significa praticare l'eutanasia tramite una azione (eutanasia attiva). Può verificarsi che un medico sospenda una cura efficace per la sopravvivenza di in paziente (o lo stacchi da un respiratore ) sapendo che in questo modo il paziente presto morirà, anzi, volendo proprio procurarne la morte sia pure per porre fine alle sofferenze: in questo caso il medico pratica l'eutanasia tramite una omissione (eutanasia passiva). Può essere che sia lo stesso paziente a chiedere al medico di farlo morire: in tal caso, l'azione del medico si configura come 'omicidio del consenziente' che, tra l'altro, come ovviamente l'omicidio, è ancora oggi un reato per la legge italiana (art. 579 del codice penale)
Accanimento terapeutico
Definiamo ora un altro concetto utile per la nostra riflessione, il concetto di accanimento terapeutico . Ricordiamo anzitutto che la parola 'terapia' indica l'insieme delle prescrizioni (medicinali, fisioterapiche, psicologiche) che i medici scelgono di effettuare su un paziente per ottenerne la guarigione; la terapia quindi è sempre volta ad ottenere un beneficio per il paziente, anche quando è dolorosa o comunque particolarmente impegnativa. Pensiamo, ad es. alla chemioterapia: spesso è molto impegnativa per il paziente ed ha gravosi effetti collaterali, ma è indispensabile per debellare il tumore e quindi è una terapia che mira al benessere del paziente. Si parla invece di accanimento terapeutico quando ci si ostina a praticare una terapia magari particolarmente aggressiva, pur sapendo che il paziente non può più trarne giovamento, neanche in termini di miglioramento della qualità della vita.
Né accanimento, né eutanasia
Chiariti così i concetti di eutanasia e di accanimento terapeutico, vediamo ora qual è la posizione della Chiesa in proposito. Ci vengono in aiuto i num. 2276-2279 del Catechismo, dai quali si capisce molto chiaramente che la Chiesa ritiene inammissibile l'eutanasia perché “gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore” e invece ritiene legittima “l'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi”. La posizione della Chiesa può quindi riassumersi così : né accanimento, né eutanasia.
Per quanto riguarda il problema del dolore e la necessità di lenire le sofferenze, ci viene in aiuto la moderna medicina che utilizza ormai da tempo le cosiddette “cure palliative”. E' possibile cioè somministrare al paziente che ha forti sofferenze dei farmaci che eliminano il dolore. Anche la Chiesa permette e anzi incoraggia questa pratica, dicendo che tali cure “costituiscono una forma privilegiata della carità” (CCC, num. 2279). Si ottiene così lecitamente lo scopo di eliminare la sofferenza.
Il diritto di morire?
Abbiamo così chiarito i parametri all'interno dei quali dobbiamo muoverci se vogliamo correttamente impostare la discussione sull'eutanasia. Il punto è: esiste un diritto a morire? E, se esiste, come lo si può esercitare? Dal punto di vista cristiano e cattolico, sappiamo che tale diritto non esiste, perché la vita non è un bene di cui si possa disporre autonomamente fino al punto di togliersela o toglierla ad altri. Chi non condivide questa impostazione, rivendica il diritto a disporre della propria vita in maniera del tutto autonoma, considera lecito il suicidio e conseguentemente ritiene che la legge debba autorizzare il medico ad aiutare il paziente che intenda porre fine alla vita e non fosse in grado di farlo da solo. E' evidente che una legge che dovesse permettere questo, introdurrebbe di fatto l'eutanasia nel nostro ordinamento. In alcuni paesi dove questo è già accaduto, si è dato il via ad un processo che, passo dopo passo, ha portato a rendere legale anche l'eutanasia per i bambini ( vedi, ad es, il caso dell'Olanda e del Belgio). Dietro tutto questo, si cela una visione della vita che considera la vecchiaia e la malattia come stati incompatibili con una vita degna di essere vissuta. Noi però sappiamo che la vita umana ha una sua altissima dignità di per se stessa, una dignità che non dipende dalla efficienza fisica o dalle maggiori o minori potenzialità. E sappiamo anche che spesso chi desidera morire perché è vecchio o perché malato, in realtà soffre non tanto per la sua condizione fisica, ma per l'abbandono e la solitudine. Peraltro, l'uccisione di persone giudicate non degne di vivere perché malate o mentalmente handicappate, fu largamente praticata nella Germania nazista, dove poi si giunse alla soppressione di milioni di ebrei (e anche di zingari e di omosessuali) anch'essi giudicati non degni di vivere sia pure per altre motivazioni.
Stabilito che non esiste un diritto a morire, rimane un altro interrogativo: è moralmente lecito rifiutare le cure? Per un cristiano la risposta c'è ed è chiara: si possono rifiutare solo le cure che siano sproporzionate e manifestamente inutili. In questo caso, però, si parla di accanimento terapeutico e, come abbiamo già visto sopra, ogni trattamento che si configuri come accanimento va rifiutato: anzi lo stesso medico è tenuto a desistere. A questo punto si innesta un altro argomento di discussione: il cosiddetto “testamento biologico”
Testamento biologico
Il testamento biologico (detto anche “dichiarazione anticipata di trattamento o DAT”) è un documento scritto con il quale si comunicano le proprie volontà relativamente ai trattamenti sanitari che si vuole o non si vuole ricevere in caso di incapacità (per malattie o lesioni cerebrali o comunque invalidanti) di esprimere il proprio consenso alle cure proposte . Se ne è parlato molto durante la triste vicenda di Eluana Englaro. La ragazza era impossibilitata ad esprimersi perché in stato vegetativo permanente; il padre sosteneva che prima dell'incidente Eluana avesse manifestato la volontà di non essere curata se si fosse trovata in condizioni terminali. Alla fine il padre ottenne che alla figlia fossero sospese la nutrizione e l'idratazione e la ragazza fu lasciata morire, pur non essendoci alcun documento scritto cui fare riferimento. In Italia non c'è ancora una legge sul testamento biologico, ma il nostro Parlamento in questo periodo sta affrontando proprio questo argomento. Si deve infatti discutere su un testo nel quale sono riassunte varie proposte di legge che hanno lo scopo di approvare le cosiddette DAT (disposizioni o dichiarazioni 1 anticipate di trattamento). Di che cosa si tratta? In base a questo testo ogni persona maggiorenne può redigere un documento scritto nel quale indica le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali.(dal Testo base delle DAT approvato dalla Commissione Affari sociali della Camera il 7dicembre 2016, art. 3). Ora il problema è: nutrizione e idratazione artificiali sono veramente terapie? Sembra evidente (ma non tutti sono d'accordo) che nutrizione ed idratazione (cioè fare in modo che una persona anche gravemente malata possa nutrirsi e bere) fanno parte delle cure normali (igiene, alimentazione, disinfezione di eventuali ferite ecc.) che vengono praticate ad ogni paziente. D'altronde, qualunque persona muore se non si nutre e non beve. Ne consegue che, se è lecito come abbiamo già detto, rifiutare l'accanimento terapeutico, non è lecito inserire in esso anche la nutrizione e l'idratazione artificiali. La proposta di legge di cui si discute in Parlamento parte male ed è chiaramente il frutto di una mentalità ormai diffusa, secondo la quale ognuno può disporre come vuole della propria vita. Questo, come abbiamo cercato di spiegare, è un punto di vista inaccettabile per noi cristiani. Bisognerà seguire bene il dibattito, sperando che almeno quei parlamentari che si dichiarano cattolici siano pronti a far sentire la loro voce e a proporre emendamenti: non dimentichiamo che la persona che pretende di essere aiutata a morire in nome di un suo presunto diritto a dominare interamente la propria esistenza, impone a qualcun altro di compiere un atto di eutanasia, cioè – per dirla crudamente – un omicidio.
Abbiamo toccato solo i punti più importanti relativi al fine vita. In realtà la discussione è ancora più ampia e specialistica e tocca altri aspetti eticamente importanti: la posizione del medico (al quale dovrebbe essere consentita l'obiezione di coscienza, come anche papa Francesco ha recentemente affermato), i compiti dello stato (che dovrebbe assicurare al malato cure dignitose in ambienti consoni evitando di scaricare solo sulle famiglie il gravoso compito dell'assistenza quotidiana), i rapporti con i familiari (quanto saranno sconvolti se il malato di cui si sono presi amorevolmente cura decidesse di morire?), ecc.
Quanto a noi, ribadiamo con forza il nostro amore per la vita e ci adoperiamo per difenderla dal concepimento alla morte naturale.
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1 C'è ancora discussione se la D debba sottintendere la parola ' disposizioni' o 'dichiarazioni'. E' evidente, infatti, che le disposizioni sarebbero vincolanti per il medico che non avrebbe quindi altra scelta che eseguirle, mentre le 'dichiarazioni' sarebbero solo uno degli aspetti di cui tener conto nello stabilire come comportarsi di fronte ad un malato impossibilitato ad esprimersi.
A cura di Antonella