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DICEMBRE 2016

     

Vorrei continuare a parlare di libertà di educazione, ma da un altro punto di vista, più allargato.

Mi sembra infatti che questa espressione comprenda non solo ciò di cui abbiamo scritto il mese scorso (sacrosanto diritto di impartire ai nostri figli una educazione affettiva  che rispecchi i valori in cui crediamo e non certo l'ideologia gender), ma anche molto altro, l'intero stile di vita.

 

Siamo veramente liberi?

            Il fatto è che noi adulti, noi che dovremmo educare, in realtà siamo molto meno liberi di quanto crediamo di essere. In molti casi siamo vittime di un sacco di condizionamenti che ci schiavizzano continuamente e neanche più ce ne rendiamo conto. Siamo veramente liberi, ad esempio, quando accontentiamo senza discutere  nostro figlio di quattro anni che pretende di indossare una sorta di diadema con due cornetti rossi luccicanti per “festeggiare Halloween”? Forse  invece dovremmo spiegargli che non è poi così divertente andare in giro truccato da diavolo. E se poi non ha quattro anni ma dieci o quindici potremmo senz'altro passare a spiegazioni più circostanziate e pertinenti per fargli capire quanto sia pagana questa assurda “festa”, piuttosto che aprire 'liberamente' il portafoglio e acquistare per lui un costume da scheletro. Ma è difficile (ci giustifichiamo così) non fare come gli altri...

Siamo veramente liberi, quando  rinunciamo a esprimere le nostre idee antiabortiste, solo perché l'amica che è venuta a trovarci non esiterebbe ad accusarci di essere 'medievali' e retrograde e noi non vogliamo fare 'brutta figura' ? E magari lì da una parte c'è nostro figlio adolescente che si chiede che cosa sta succedendo alla sua mamma che proprio ieri a tavola parlando con papà aveva difeso la sacralità della vita. Ma è difficile opporsi al modo di pensare di chi ci sta intorno...

            Potrei fare altri esempi, ma credo che il mio pensiero sia chiaro. Siamo vittime, spesso inconsapevoli (ma non per questo meno responsabili), di quello che si chiama il ' pensiero unico', siamo condizionati dalle idee che circolano intorno a noi, che respiriamo insieme all'aria, che influenzano le nostre scelte, i nostri comportamenti. Ma se non siamo liberi, come possiamo parlare di 'libertà di educazione'?

 

Liberarci dalla mentalità dominante

            Abbiamo detto- e ripetiamo – che la libertà di educazione è un valore che pontefici come san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno inserito tra i “principi non negoziabili”, ma a questo punto dovrebbe essere chiaro che per poter agire in modo da rispettare questo principio, dobbiamo anzitutto “liberarci” noi. Liberarci dalla mentalità dominante che  mira a costruire una società in cui si ritiene normale che il desiderio diventi diritto, al di là di ogni limite posto dalla natura o semplicemente dal buon senso e dalla ragionevolezza; una società formata quindi solo da consumatori ossessivi , da individui che pensano solo a soddisfare le proprie voglie: con il denaro si compra tutto, non solo l'automobile nuova o la vacanza da nababbi, ma persino un utero, un figlio! Anche papa Francesco ha più volte sottolineato nei suoi discorsi come sia necessario sganciarsi da quella che ha definito “dittatura del pensiero unico”. Nell'omelia tenuta a Santa Marta il 10 aprile 2014, ad esempio, ha detto:“...oggi  c’è l’idolatria del pensiero unico. Oggi si deve pensare così e, se tu non pensi così, non sei moderno, non sei aperto o peggio.” Su questo argomento è molto interessante l'omelia pronunciata sempre a Santa Marta il 18 novembre 2013: l'Osservatore romano ne ha fatto un riassunto che è pubblicato sul sito www.vatican.va.org alla voce “Meditazioni quotidiane” e dal quale sono tratte le citazioni che farò. In quel giorno la liturgia proponeva alla riflessione dei fedeli una pagina del primo libro dei Maccabei, nella quale si narra che il popolo di Israele, ai tempi in cui Antioco IV aveva conquistato Gerusalemme (secondo secolo a.C.),  si lascia attrarre dal desiderio di essere “progredito” come i nuovi governanti e non esita a rinunciare alla fedeltà alla legge di Dio: “presero «le abitudini dei pagani e accettarono l’ordine del re che «prescrisse che nel suo regno tutti formassero un solo popolo e che ciascuno abbandonasse le proprie usanze» ...È un po’ come accade oggi, ha notato il vescovo di Roma, con l’affermarsi di quello che ha definito «lo spirito del progressismo adolescente» secondo il quale, davanti a qualsiasi scelta, si pensa che sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni.

            E' la stessa insidia  che oggi percorre il nostro mondo: “quella della «globalizzazione dell’uniformità egemonica» caratterizzata dal «pensiero unico»”, che ci induce a negare la nostra identità.

            Si avvicina Natale: l'anno scorso il dirigente di una scuola lombarda decise di non fare alcuna festa a scuola, come da sempre si è fatto in tutte le scuole d'Italia e  si inventò una generica festa d'inverno, senza alcun simbolo religioso, senza nulla, cioè, che facesse pensare a quel bimbo nato nella grotta di Betlemme  duemila anni fa. Iniziative del genere diventano sempre più frequenti: si dice che le nostre  scuole sono frequentate da tanti alunni di altri paesi e di altre religioni  che si sentirebbero 'discriminati' se a scuola si celebrasse una festa alla quale loro sono estranei. Non è così: i bambini sarebbero, anzi sono,  contenti di far festa insieme ai loro coetanei ed  è bene che capiscano perché in Italia il  22 dicembre le scuole chiudono per riaprire solo il 7 gennaio. La realtà è che si vorrebbe eliminare dalla vita sociale e culturale ogni traccia di cristianesimo: dobbiamo opporci a questa mentalità  laicista, sicuri che nessun bambino si sentirà discriminato se viene invitato a partecipare ad una festa. A nostra volta, non rinunciamo ad allestire nelle nostre case il presepe e non  mettiamo nel cassetto tutti quei simboli e quelle tradizioni  (culto della Madonna, culto dei Santi...)che traggono origine dalla nostra fede cristiana.

 

Il pericolo della mentalità antinatalista e dell'ecologismo esasperato

            Vi sono ancora un paio di punti sui quali vorrei soffermarmi, sempre per riflettere su quanto e come molti di noi quasi senza avvedersene si sottomettono alle mode di pensiero correnti. Ancora una volta faccio riferimento ad un testo di papa Francesco e precisamente al num. 42 dell Esortazione postsinodale Amoris laetitia dove il Papa fa notare che il calo demografico che caratterizza molti paesi economicamente sviluppati è “dovuto ad una mentalità antinatalista” e “promosso dalle politiche mondiali di salute riproduttiva”. E' proprio della mentalità antinatalista che voglio parlare: essa è il frutto di una visione del mondo secondo la quale l'uomo è un vero e proprio cancro del pianeta. Questa brutta espressione non è mia, ma viene correntemente usata da coloro che vedono nella sovrappopolazione e in ogni caso nella razza umana la causa dei problemi ambientali del pianeta Terra. Se la Terra è inquinata – essi sostengono -  se la desertificazione avanza, se alcune specie animali spariscono, la colpa è dell'uomo che è il vero responsabile del degrado ambientale. Di conseguenza, bisogna che l'uomo si riproduca il meno possibile . E' certamente vero che il comportamento umano e lo sviluppo industriale possono provocare problemi ambientali, a volte notevoli, ma è altrettanto vero che, man mano che la situazione economica e sociale di un popolo migliora, man mano cioè che aumenta il benessere e la cultura, gli uomini trovano il tempo e la capacità di aver cura dell'ambiente e le condizioni ambientali migliorano. Quindi per risolvere i problemi ambientali, bisogna accelerare i processi di sviluppo e non cercare di far diminuire la popolazione, come se la malattia del pianeta fosse l'uomo.

            Questo modo di considerare i problemi dell'ambiente conduce ad un ecologismo esasperato, che considera la natura molto più importante dell'uomo: è un pericolo questo che anche papa Francesco denuncia, quando scrive nell'enciclica Laudato sii: “Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza” (num. 90) anche se “ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua.” (84). Il che significa che al primo posto c'è sempre e comunque l'uomo. Certo la natura va rispettata , perché se è vero che essa è stata posta al servizio dell'uomo, è anche vero che l'uomo non può non avere nei suoi confronti un atteggiamento di responsabile cura. Infatti 'Dalla parola del Signore furono fatti i cieli' (Sal33,6) e 'La creazione appartiene all’ordine dell’amore'.

            La mentalità antinatalista attribuisce all'uomo anche la responsabilità della fame nel mondo e della povertà, come dire: se nel mondo esistono i poveri, è perché gli uomini sono troppi. E' evidente che non è così: in realtà, se nel mondo esiste la fame, se tanti milioni di persone soffrono di malnutrizione, è perché le ricchezze non sono equamente distribuite. I nostri sforzi quindi devono essere rivolti verso l'eliminazione delle diseguaglianze sociali e soprattutto verso la promozione di quello che  Benedetto XVI (nella Caritas in veritate) definiva, sulle orme di Paolo VI “sviluppo integrale dell'uomo”, basato su   “una libera e solidale assunzione di responsabilità da parte di tutti. Un tale sviluppo richiede, inoltre, una visione trascendente della persona, ha bisogno di Dio: senza di Lui lo sviluppo o viene negato o viene affidato unicamente alle mani dell'uomo, che cade nella presunzione dell'auto-salvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato” ( num. 11).

            Sono temi importanti che meriterebbero una trattazione molto più lunga e accurata. Qui però a me interessa far notare ancora una volta quello che dicevo all'inizio. La mentalità antinatalista e l'ecologismo esasperato che ci fa sopravvalutare la natura e disprezzare l'uomo sono due aspetti del pensiero unico oggi imperante e ci condizionano a volte senza che ce ne rendiamo conto, tanto che alcune nostre scelte, alcuni nostri comportamenti, alcuni nostri discorsi, sono  impregnati di questa mentalità: più o meno consciamente, guardiamo quasi con compatimento una famiglia numerosa, e diamo uno spazio eccessivo a cani e gatti, trattandoli a volte come se fossero i bambini che per egoismo abbiamo rinunciato a mettere al mondo. Forse esagero un po' (ma mica tanto), ma è per sottolineare un concetto che mi sembra importante.

Dobbiamo “liberarci” di queste scorie se vogliamo esercitare davvero la nostra libertà di educazione, tenendo presente che anche  i giovani sono esposti a questa mentalità dominante: occorre fare, pertanto,  un'opera di prevenzione che passa necessariamente  attraverso una presa di coscienza di noi adulti.

Dobbiamo diventare 'liberi' di esercitare la nostra sacrosanta 'libertà di educare'!

                                                                                   A cura di Antonella

 

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Ultimo aggiornamento: 12 novembre 2021
 
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