Quest’anno pubblicheremo in questo spazio, tra l’altro, alcune poesie del poeta e sceneggiatore francese Jacques Prévert (Neuilly-sur Seine, 4 febbraio 1900 - Omonville-la petite, 11 aprile 1977), del quale troverete qui di seguito alcune notizie biografiche tratte da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Prévert nasce in un ambiente piccolo borghese e molto devoto e trascorre in Bretagna diversi anni della sua infanzia, dimostrandosi fin dalla più giovane età amante della lettura e dello spettacolo. A 15 anni, dopo aver frequentato le scuole a Parigi, inizia a guadagnarsi da vivere grazie a piccoli lavori.
Terminato il servizio militare, nel 1922 si stabilisce con due suoi amici e con il fratello Pierre a Montparnasse, in un appartamento che sarà presto il punto di riunione del movimento surrealista al quale partecipa tra gli altri Raymond Queneau, senza dimenticare il capofila André Breton, con il quale Prévert manterrà sempre ottimi rapporti.
Nel 1900 pubblica i primi testi e l'anno seguente recita in un film di Marc Allégret, Pomme de terre.
Tra il 1932 e il 1936, Prévert svolge un'intensa attività teatrale e inizia le sue collaborazioni cinematografiche producendo le sceneggiature di alcuni dei vertici poetici del cinema francese. Scrive i testi delle sue prime canzoni che, musicate da Joseph Kosma, verranno interpretate da famosi cantanti, come Juliette Greco e Yves Montand. Nel 1937 ritorna al cinema collaborando con Marcel Carné per il quale, nel 1938 dopo un soggiorno ad Hollywood, scrive il soggetto del celebre film Quai de brumes (Porto delle nebbie), interpretato da Jean Gabin e Michèle Morgan.
Negli anni che vanno dal 1939 al 1945 egli continua la sua attività di soggettista e sceneggiatore. Di questi anni è anche il capolavoro uscito dalla collaborazione tra Prévert- e Carné, Les enfants du paradis. Farà ritorno a Parigi nel 1945, a guerra terminata. Tra gli anni 1945 e 1947 Prévert riprende la sua attività teatrale con la rappresentazione di un balletto al quale collabora anche Pablo Picasso. Escono intanto due raccolte di poesie, Histoires e la celebre Paroles che avrà un enorme successo. Lavora intanto alla sceneggiatura di alcuni film e scrive numerosi testi per bambini che, realizzati dal fratello Pierre, verranno rappresentati in televisione.
Si sposa e nasce la prima figlia, Michelle.
Nel 1955 egli ritorna definitivamente a Parigi, pubblica una nuova raccolta di poesie, La pluie et le beau temps e si dedica ad una nuova attività artistica, quella del collage, che esporrà nel 1957 alla galleria Maeght a Saint-Paul de Vence.
Nel 1966 esce l'opera Fatras, con 57 suoi collages.
Negli anni successivi si stabilisce nella sua dimora di Omonville-la-Petite, nel dipartimento della Manche, ma colpito da grave malattia conduce vita ritirata ricevendo solamente alcuni dei suoi più cari amici. L'11 aprile 1977 Prévert muore a Omonville-la-Petite, di cancro al polmone.
POETICA
La poesia di Prévert è una poesia scritta per essere detta e quindi più parlata che scritta, fatta per entrare a far parte della nostra vita. Ciò che esce con prepotenza è il concetto di amore come unica salvezza del mondo, un amore implorato, sofferto, tradito, ma alla fine sempre ricercato
Il ribellarsi alle istituzioni e la voglia estrema di libertà si ritrova pienamente nell'immagine dell'uccello, più volte presente nella poesia di Prévert. L'amore non si può incatenare o forzare, è quanto di più spontaneo esista al mondo, chiunque provi ad istituzionalizzarlo o a sottometterlo finisce inevitabilmente per perderlo…anzi quando si prova l'amore, quello vero, non vi è neanche il desiderio di incatenarlo, è spontaneo, libero, come quello dei ragazzi che si amano. Il germe della gioia c'è sempre; il male, per quanto possa aver preso il sopravvento in tutte le sue forme, la guerra per prima, non riesce ad essere totalizzante.
I ragazzi che si amano
[da Poesie, Guanda, 1979]
[Traduzione di G. Raboni e M. Cucchi]
I ragazzi che si amano si baciano
In piedi contro le porte della notte
I passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
5 Non ci sono per nessuno
E se qualcosa trema nella notte
Non sono loro ma la loro ombra
Per far rabbia ai passanti
Per far rabbia disprezzo invidia riso
10 I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Sono altrove lontano più lontano della notte
Più in alto del giorno
Nella luce accecante del loro primo amore.
Complice il cielo
Dominick Ferrante da “Poesie”
Un giorno (pioveva)
non vedevo più il cielo.
Lui era lì. Nascosto.
Era giorno, ma era notte.
Non so, non capii,
ma di colpo:
L’orecchio vibrò: forse un richiamo.
Strozzato.
Seguii con l’istinto ma era notte
e io non vedevo, (forse la dietro, oppure a fianco)
sforzavo la vista e…
Di nuovo! Ma un tonfo stavolta.
Sordo. Cieco. Iniziai a sudare.
Occhi sbarrati di intelligenza
ansimavano frenetici.
Molleggiai.
Indotto e frenato.
Desiderio di spirito. Corporale paura.
Nulla. Inchiodato in un limbo dondolante.
Aspettai.
(Silenzio).
Aspettai ancora.
Poi alzai gli occhi:
tutto come prima:
nessun colore.
un liquido bagnò il mio piede.
La faccia de Roma
Vincenzo Galli “Roma romanesca
turistica e panoramica”
Cià la chioma de pini, che rispecchia
l’oro der sole, e filtra er ponentino;
la bella fronte arta è l’Aventino;
l’Acquedotti de Claudio so’ l’orecchia.
Le guance: tutta quella robba vecchia
de li Fori… co’ più d’un cicolino;
li due Archi, de Tito, e Costantino,
so’ le froce der naso a catapecchia…
La bocca è addirittura un… mausoleo:
je c’è rimasto un dente, in più è cariato,
ma je resite ancora, er Colosseo.
In quanto a Colli nun ha mai tremato,
chè ne tiè sette, tutti da museo…
ma ognuno è come fosse innamidato!...
La Madonnella
Nicola Rapanotti da “Poesie in dialetto romanesco”
Quanno la sera torno a casa mia,
a mezza strada c’è ‘na Madonnella
che me so’ abituato a salutà
co’ ‘na giaculatoria in confidenza.
Infatti, mentre fo la riverenza,
cavannome er cappello,
je faccio. “Ave Maria
salutame Gesù da parte mia.”
Me l’insegnò mi’ madre ‘st’orazzione
quann’ero regazzino
‘gni vorta che passamio a ‘sto cantone
davanti a ‘st’artarino.
Quant’è caruccia, pare che me parla;
anzi, ciò l’impressione
che cambi vorta a vorta l’espressione:
si er giorno ha fatto qualche puzzonata,
me pare che me guardi
co’ ‘n’aria addolorata.
‘Na vorta, per esempio, feci caso,
siccome avevo fatto er vassallone,
quanno che ce passai, arricciò er naso.
Allora a tu per tu,
feci promessa de nun fallo più.
Embè, me venne propio su dar core
‘sto modo de trattà
la Madre der Signore.
E’ tanto bella e c’è tant’indurgenza
in quelo sguardo dorce
che viè proprio con sé la confidenza.
Lì nun se po’ pensà a dipromazzia.
Perciò, quanno che passo,
je faccio: Ave Maria,
salutame Gesù da parte mia.”