Io faccio amara anche la tua morte
David Maria Turoldo
Mamma, hai la bocca piena di terra.
Radici ora ramificano dagli occhi
dal cuore che ci offriva il pane in silenzio.
E tremavi tutta per la nostra pena
di fanciulli ormai adulti,
di fanciulli ancora soli e poveri.
La casa è deserta d'allora,
la corte tutta un disordine e nulla
è mutato dell'esistenza avara.
Mamma, ora neppure Iddio mi risponde,
Egli s'è chiuso dietro un portone di bronzo
cui picchio, soprattutto di notte,
ma nessuno viene a consolare
questo tuo ultimo figlio.
Solo il vento fischia e cavalca
su tutta la pianura.
Ho lasciato il gregge: ricordi
la pecora segnata di bianco in fronte,
la pecora vissuta con noi tanti anni,
la madre di tutti gli agnelli
che sapeva il tuo passo lieve
e ti chiamava con la voce di una creatura
e ti guardava con occhi così dolci
quando la mungevi a sera.
E io ero felice come una rondine
di ritorno dai campi col gregge sazio.
Ho lasciato i nostri campi, mamma,
quella pianura vasta e taciturna
dal colore dei tuoi capelli
biondi come le vigne all'autunno.
Ho lasciato i compagni sul sagrato
a rincorrersi e la chiesa bianca:
ricordi quel giorno triste di settembre,
tu mi salutavi dietro la porta e dicevi:
figlio, noi siamo poveri,
è un'avventura troppo grande!
E un'avventura troppo grande, Madre!
E il cielo non risparmia nessuno
e gli uomini non perdonano ai sacerdoti
Ora torno dal deserto di mezza Europa
nella casa immensa. (Allora
ci pareva un nido di passeri.)
E mi pesi ancora sulle braccia
E nero vestita e serena.
D’allora mi pesi ogni giorno sulla patena
insieme a Cristo, mia dolce rovina,
come forse non ti pesavamo in grembo.
Prima tu piangevi sulla nostra sorte,
ora io faccio amara anche la tua morte.
Dell’autrice di “Voglia di autunno” ho già parlato in questa rubrica. Ho tratto questa sua poesia dal libro “Pensieri, sogni e realtà” raccolta breve di sue poesie dedicate al marito Ernesto, ingegnere e… fabbro provetto, nel giorno del suo 54° compleanno. Dada
Voglia d’autunno Laura Zucco
La macchina mi culla piano
come una vela
mi trascina in un mare di colori.
E’ autunno.
Stagione che si veste di morbidezze
di profumi ebbri
e di memorie,
l’autunno mi appartiene
lo posseggo e lo vivo
come in un lungo amplesso.
Sento la terra fremere prima del grande sonno
calda del sole estivo
sfiori gli alberi ad uno ad uno
premo la fronte sui primi muschi
passo le mani fra le ultime erbe
e l’aria satura di tepore
mi trasferisce promesse di pace.
Sfumature infinite di giallo
di ocra, di rosso, di caldi marroni
di morbidi verdi e di pallidi azzurri
contagiati di rosa e di grigio
qua e là punteggiati di trasparenze candide
di soli settembrini
e di nebbie umide misteriose… complici
rapiscono il mio sguardo
e la mia anima.
Tutto quanto è uno
col mio sentimento che si espande
gioiosamente malinconico ed esperto
di me che mi confondo
con l’ultimo gonfiarsi dei salici
lo spogliarsi frettoloso dei pioppi
l’arrossare tiepido del tramonto.
Il pensiero si incanta
non ascolta comande
non pone problemi
assorbe la magia dell’attimo
che scandisce le meraviglie
di questa giornata.
Oggi Dominick Ferrante
Non ho niente.
E’ proprio questo.
Non ho niente da fare né da spartire.
Adesso no, non ci riesco.
Ho palliativi più forti delle mie amarezze.
Fragili e impacciati negli occhi degli altri.
Loro più forti di me,
e io più debole del mondo.
Rifletto e ripenso. Dondolo bugiardo sul filo dell’inerzia.
Di tutte le ombre di me stesso,
la più sbiadita.
Sfrattato dal grasso mentale
Infarcito di presente impresentabile.