Sono qui adesso Ciro Abate 18/02/2004
Mani pulite
lese dolore
levano in alto
a celate vie.
Vano il canto
del sognatore
smarrito
dilettasi
per suo splendore
trastullare l'anima
d'inutili mete.
E nutrirsi
di occhi vuoti
infami
miserie e lacrime
e ancora
...ancora.
Presenza e Silenzio
eccomi
sull'altare
del domani.
Certo verrà
certo
.
E voi?
Che spreco!
VIA! Ciro Abate 19/02/2004
Porta via
gli occhi ebbri
di menzogna
e le labbra
ingorde
avide
ancora
di bruciato affanno
di smisurato ardore
oh di passione.
Porta via
quelle mani
che vita mai
volle nutrire
e della guerra
furono esperte
e sono
ancora
impietose
desiderose
oh di morte.
Porta via
l'odore di nausea
della pelle
e di costumi
corrotti
pur sempre attraenti
avvolgenti
senz'anima
ma di fascini
intrisi
ancora
oh di sogni.
Porta via
Falso Ego
o forse Demonio
o ancora Lussuria
quel falso pudore
...inconfondibile
che secoli interi
hanno bevuto
come vino d'annata (sic!)
e berranno
ancora
oh adoreranno.
Ma io ti conosco
Impuro Talento
sulla mia pelle
hai disegnato
tatuaggi d'orrore
e mi hai ingannato
nel libero arbitrio.
.Io ti conosco
e da me
roccia
acciaio che non fonde
puoi solo
andare via!
Bartolo Cattafi
Una personalità affettuosa e insieme ironica, un'espansività
rattenuta e ombrata spesso da una forte malinconia. Questi i tratti
distintivi di Bartolo Cattafi, messinese di Barcellona (1922),
poi milanese, poi di nuovo siculo, sino alla repentina scomparsa
nel 1979, a 57 anni. Sotto quell'ironia e quella malinconia (la
seconda era vestimento della prima), la poesia di Cattafi si fece,
raccolta dopo raccolta, sempre meno "mondana", finendo
per mutarsi - sono parola di Giovanni Roboni - "in confronto
senza margine né respiro, in rischio incessante e totale".
In attesa del regno B. Zaffati, Marzo e le sue idi. Mondadri,
MI 1977
Dall'altra parte
Dall'altra parte della mano tesa
del petalo della foglia della rosa
dell'aria azzurrina e del nembo
del fulmine sghembo tra la pioggia
tutto è pazienza e attesa
che ribalti la pietra pasquale
il lato tombale delle cose:
dall'altra parte il vero disegno
il volto luminoso
il regno il regno il regno.
Sergej Aleksandrovic Esenin
Quando nel 1917, la rivoluzione russa celebrò il suo trionfo,
il "poeta contadino" Sergej Aleksandrovic Esenin (1895
- 1925) vi aderì (e molti come lui) con infantile entusiasmo.
Ma, a partire dal 1920, la delusione serpeggia nelle sue liriche:
via via si tramuta in angoscia, poi in disprezzo per la propria
viltà sino alla maturazione dell'idea del suo odio, consumato
a 30 anni, in una camera d'albergo a Leningrado. La poesia che
abbiamo scelto, s'illumina, alla tetra luce di quell'irreparabile
esito finale, di una sovrumana pietà.
Il brivido del viaggio ultraterreno S. Esenin, in Poesia russa
del 900,
trad. di A. M. Ribellino, Feltrinelli, MI 1960
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco.
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
verso il paese dov'è gioia e quiete.
Forse, ben presto anch'io dovrò raccogliere
le mie spoglie mortali per il viaggio.
Care foreste di betulle!
Tu, terra! E voi, sabbie delle pianure!
Dinanzi a questa folla di partenti
non ho forza di nascondere la mia malinconia.
Ho amato troppo in questo mondo
tutto ciò che veste l'anima di carne.
Pace alle tremule che, allargando i rami,
si sono specchiate nell'acqua rosea.
Molti pensieri in silenzio ho meditato,
molte canzoni dentro di me ho composto.
Felice io sono sulla cupa terra
di ciò che ho respirato e che ho vissuto.
Felice di aver baciato le donne,
pestato i fiori, ruzzolato nell'erba,
di non aver mai battuto sul capo
le bestie, nostri fratelli minori.
So che là non fioriscono boscaglie,
non stormisce la segala dal collo di cigno.
Perciò dinanzi a una folla di partenti,
provo sempre un brivido.
So che in quel paese non saranno
queste campagne biondeggianti nella nebbia.
Anche perciò mi sono cari gli uomini
che vivono con me su questa terra.