Commento alla poesia “Nessuno” di Dada
Abituata a vivere in un piccolissimo paese, fra le colline delle Langhe, in Piemonte, sento in modo forte e inquietante la differenza che corre fra la pace rigenerante della campagna e la frenesia alienante delle grandi città. Trovandomi un giorno di passaggio in una grande e bella città del Nord Italia, ho avvertito fortemente il malessere della gente che vive frenetica in questa città. Questi cittadini, pur vivendo tra notevoli bellezze naturali, architetture d'epoca, parchi verdeggianti e fontane rinfrescanti, non sembrano accorgersi di ciò che c'è intorno, ma sembrano andare rapidi, a piedi o in macchina, verso qualcosa di indefinito. Le fontane diventano luogo di refrigerio, quando il caldo è soffocante; e le persone che le vi passano accanto guardano senza vedere, si fermano un momento e poi distrattamente proseguono il loro cammino. La metropoli tentacolare intanto è lì a guardarci, come un gigante indifferente alle nostre sofferenze, al nostro cercare chissà chi e chissà cosa, al nostro parlarci fra sordi; dove le parole che contano sono quelle delle insegne, illuminate dalla falsa luce del neon, a diffondere un consumismo che soffoca e vuole dipendenza psicologica. Ora, in un'immagine che mi fa ricordare la storia dell'inquieto Ulisse e del gigante Poliremo, vedo la città come un titano ubriaca di rumori e di suoni inutili; ingordo e stupido lo vedo fagocitare tutto ciò che produce. Ecco dunque che la gente diventa multiplo di Ulisse (“Nessuno” appunto), che continua il suo viaggio, forse verso il nulla? Malati e moribondi corrono nelle ambulanze e le sirene suonano inquietanti. La città intanto offre la musica triste e allegra di una banda, che talvolta passa per le strade, quasi a ricordarci che la musica, eccellente espressione artistica dell'animo umano, può riscattarci da questa alienazione, ma noi ormai non ce ne accorgiamo più. Dada
“Nessuno”
Andiamo
andiamo gente
per le città
che ci dimenticano
tra struggimenti di sirene
e sussulti di fontane
E noi come ornamento intorno ad esse
per il piacere di sguardi
distratti
e il fresco dell'acqua
che lava il dolore
o la gioia di esserci
Guardati
e subito fagocitati
dal gigante
siamo tanti Ulisse
a fuggire ancora
nel ventre del metrò
e per le strade
fra le insegne
che dicono parole al neon
Vite nascoste in cammino
nelle auto
e nei parchi
tra siringhe fetide
e fiori a primavera
Andiamo
andiamo gente
per le città
che ci dimenticano
L'occhio ebbro
e stupido del gigante
più non ci vede:
Siamo tanti Nessuno
nel viaggio che continua
Tra struggimenti di sirene
suonano gli ottoni
dei bandisti nelle vie.
Al canto mattutino degli uccelli
Mariella Teti da Stupore
Al canto mattutino degli uccelli
risponde il vento e fa stormir le fronde,
un canto nuovo, un coro d'armonie
inneggia allegro al sorgere del giorno.
Venerdì Santo
Sotto un cielo di piombo
trafitto da rombi
che schizzan violenza di carni,
passi smarriti
nella nebbia dei sensi
di cuori confusi,
seguon contriti
le Orme
di quel Legno prezioso
grondante di ingiurie,
intriso di sangue,
pesante di chiodi,
di spine, di lance.
Rifulge quel Legno
sul buio delle menti,
sui tarli del cuore
picchietta,
picchietta insistente
sulla notte dei tempi.
Del sentiero pietroso
lenisce il dolore
con balsamico Sguardo
di certezza d'AURORA.
Dall'arido asfalto
di innocenza bruciata,
sfiorato dal Manto
di Madre implorante,
affioran d'incanto
germogli di verdi speranze
dal profumo d'amore e di pace
per l'umanità errante.
La mamma di Dominick
A Maria Vergine
David Maria Turoldo
Sei la palma di Cades,
orto sigillato per la santa dimora,
sei la terra che trasvola
carica di luce
nella nostra notte.
Vergine, cattedrale del Silenzio,
anello d'oro
del tempo e dell'eterno:
tu porti la nostra carne in paradiso
e Dio nella carne.
Sei lo splendore dei campi,
roveto e chiesa bianca
sulla montagna…
Amorosa attendi che si avveri
La nostra favolosa vicenda,
creazione finalmente libera.
Noi ti abbiamo ucciso il Figlio,
ma ora sei nostra Madre,
viviamo insieme la risurrezione.
Amen