SAN FRANCESCO
di Luigi Fallacara (1890-1963)
San Francesco sente che l’anima
dell’universo è in lui solo una voce,
s’apre a donarla allargando le braccia,
perché suo strumento è la croce.
I piedi azzurrati s’affiggono,
metton radici nel profondo,
radici di chiodi turgidi
per cui sale il dolore del mondo.
Protese le mani sorreggono,
impeto di raggi, il cielo:
cala sulla faccia madida
lo splendore, come un velo.
Dalla ferita del fianco vivida,
sorga la musica ascosa,
profondo, profondo è il cantico,
il cantico dell’eterna rosa.
MISSIONE DI PIETRO
di Alda Merini (1931-2009)
Quando il Signore, desolato e grigio,
ombra della Sua ombra incespicava
dentro il Suo verbo colmo di incertezza,
Pietro comparve, forte nella braccia
e nelle membra a reggerLo nel mondo…
Quando Pietro fu solo nel peccato,
quando già rinnegava il Suo Signore
e Lo vendeva a tutti nella frode,
Dio non comparve (si era già velato
per la notte più oscura profetata),
ma gli fece suonare dentro il cuore
le campane più vive del riscatto.
SAN ROCCO
di Renzo Pezzani (1898-1951)
San Rocco è quel mendico
che ha un cane per amico,
un cane spelato, bastardo
ma di bellissimo sguardo.
Un cagnolino che va zoppo
col cacciator senza schioppo
perché di anime è cacciatore
san Rocco del Signore.
Van da piazza a casolare
che tutti li han visti passare,
dormire ai cantoni, chiedere un tozzo
di pane e un sorso d’acqua del pozzo,
e San Rocco parlare alla bestiola
come ai bimbi il maestro di scuola.
È un cagnino di pelo bruno
che a vedrlo non lo vorrebbe nessuno,
né per la greggia, né per l’aia,
ché non ringhia e non abbaia.
Ma San Rocco ne è contento:
ha il cane e non ha l’armento;
ha il guardiano e non ha la cascina;
ha un compagno quando cammina;
quando mangia ha un invitato,
quando ha freddo ne è scaldato.
Il cane zoppo, il saio liso
quattro passi dal Paradiso.
SAN CLEMENTE
di Clemente Rebora (1885-1958)
A te apparve, San Clemente mio,
posto a morir coi martiri in esilio,
vita in prodigio, l’Agnello di Dio.
Non m’avviene così; a morte anch’io,
null’altro appare a me, mentre m’umilio.
che il corpo mio che si disfa vivo.
T’avvii tu al mare che t’ammanta
mentre invocano tutti il Ciel ti salvi:
e, suo Vicario, dolce lagrimando,
l’invocazion di Cristo tu ripeti:
– Accogli, Padre, lo spirito mio –
e l’ansito del mar fa coro immenso.
Non m’avviene così, che pur m’avvio,
senza far pianto né sentir consenso,
in un mar di miseria a sprofondare.
LA VERGINE DI SIENA
di Giulio Salvadori (1862-1928)
Odo i cori degli Angeli inneggianti
te, Caterina, vergine potente.
Cantano il lume dell’accesa mente
onde ridean quaggiù gli occhi stellanti;
Cantano il cuore aperto agli altrui pianti,
la regal fronte inchina a ogni umil gente,
le braccia che accogliean maternamente
l’umiliata fronte degli erranti.
Cantano l’ineffabile dolore
onde morivi qui senza morire
pel gregge del Pastore abbandonato;
Cantan l’ardir magnanimo del core
onde tu, sola e povera, tra l’ire,
richiamasti il Pastor dal suo peccato.