MANIA DI SOLITUDINE
Mangio un poco di cena seduto alla chiara finestra.
Nella strada è già buio e si guarda nel cielo.
A uscir fuori le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliegie che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che fra tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi e si sente staccato da tutto.
Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così com'è fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi: un brusio di silenzio.
Ogni cosa, nel buio, la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acqua tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ogni pianta e ogni sasso
vive immobile. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa che vive su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato del cielo
mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuoto, lontano dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
27 - 29 maggio 1933
Cesare Pavese da "Le poesie" Ed Einaudi Tascabili
CONCERTO DI NATALE Caterina Caribbo Siri "La spina e la
rosa" CEI
Ho sognato
Stanotte
Che esisteva soltanto
La tua voce.
Ho affondato il mio viso
Nelle tue mani d'aria.
Non c'era più passato:
ero nata con gli Angeli
e piangevo per te.