ANTONINO, UN BIMBO TENERAMENTE AMATO
La mia esperienza con la sofferenza ha inizio con la nascita
di mio figlio, Antonino. Dopo nove mesi trascorsi a fantasticare
su quello che avremmo fatto insieme, su come lo avrei educato,
se la sua prima parolina sarebbe stata mamma o papà, su
come e quando avrebbe incominciato a muovere i primi passi, dopo
i primi momenti di felicità quando è nato, ecco
arrivare dopo tre giorni l'uragano. Dai medici del reparto di
neonatologia, dove Antonino era stato ricoverato appena nato,
per asfissia da parto, arriva l'inatteso verdetto: ci viene riferito
che "il bambino presenta una rara e grave malformazione cerebrale,
dal nome di "Oloprosencefalia di tipo semilobare", meritevole
di accertamenti diagnostici, che dovevamo prepararci al peggio
perché non si sapeva come sarebbe stato il futuro del bambino
e per quanto tempo sarebbe stato con noi".
Prima di allora, la sofferenza la vivevo come una cosa lontana
da me. Quando mi capitava di vedere o di incontrare qualche persona
che era nella sofferenza, ne rimanevo colpita emotivamente, ma
presto tutto passava. Quando ti tocca in prima persona è
diverso, il dolore è grande, lo senti che ti consuma dentro,
è qualcosa che non riesci ad esprimere se non attraverso
il pianto. In quei momenti mi sentii inutile, incapace di affrontare
la situazione nuova che mi si presentava, mi sentivo incapace
come donna, perché non ero stata in grado di mettere al
mondo un bimbo sano. Contemporaneamente a questi stati d'animo,
speravo che la diagnosi fatta fosse sbagliata, pregavo il Signore
affinché fosse così. In quei primi giorni alternavo
momenti di preghiera a momenti in cui mi arrabbiavo con Lui, spesso
mi ricordo che Gli chiedevo: "Perché mi stai facendo
questo?". Anche il viaggio a Milano, dove ci recammo dieci
giorni dopo la nascita di Antonino, per gli accertamenti diagnostici,
lo feci con la speranza e pregando il Signore che la diagnosi
fatta a Lamezia fosse sbagliata. Ma non fu così. Ricordo
che dopo il colloquio finale con i medici, quando mi recai nella
stanza, piangendo pregai il Signore chiedendogli la forza per
andare avanti, anche se ancora non capivo perché mi aveva
fatto questo.
I primi anni di vita di Antonino sono stati molto duri, la permanenza
a casa era molto spesso alternata a frequenti ricoveri, sia di
controllo sia per altri motivi. In po'di serenità e la
forza per andare avanti e sopportare quei continui ricoveri. Da
Lui avevo la prova che mi stava accanto, attraverso gli amici,
i parenti, i medici, i terapisti, mio marito, tutti mi hanno dimostrato
la loro solidarietà e il loro affetto. Nonostante tutto
ero ancora immersa nel mio dolore, un dolore che mi rendeva "sorda",
non riuscivo a comprendere il grande dono che il Signore mi aveva
dato. Devo comunque dire che in questo periodo, le mie preghiere
avevano cambiato tono, ormai non Gli chiedevo più il perché,
ero passata alla fase in cui chiedevo e volevo "il miracolo".
Ma evidentemente la Sua volontà non era certamente la mia.
In questo periodo conobbi una suora, Suor Arnolda, una parente
di una mia vicina di casa. Con lei provai ad aprirmi, mi raccontò
di sue esperienze con persone che vivevano situazioni analoghe
alle mie. Mi propose di recarmi in un Santuario, quello dedicato
all'Amore Misericordioso, che si trovava in Umbria, perché
lì, secondo lei, avrei trovato le risposte che cercavo.
Nello stesso periodo, in occasione di un matrimonio, incontrai
dopo tanto tempo un amico di infanzia, un sacerdote, Don Giampiero,
parlammo tantissimo, gli raccontai anche dell'incontro con suor
Arnolda e il consiglio che lei mi diede di andare a Collevalenza,
al Santuario dell'Amore Misericordioso. Ricordo ancora il suo
volto raggiante quando mi disse: "Cosa stai aspettando? Vai".
Decidemmo con Enzo, mio marito, di andare e di fermarci lì
solo tre giorni. Durante il viaggio di andata, pensavamo ai luoghi
che saremmo andati a visitare: Assisi, Orvieto, Terni,
.
Ma questi erano i nostri progetti, non di Chi ci stava attendendo.
Nei pressi di Collevalenza, mi assalì un'ansia, il dolore
allo stomaco dovuto al nervosismo, col quale avevo imparato a
convivere, sembrava insopportabile. Arrivati al piazzale della
Casa del Pellegrino, adiacente al santuario, quella sensazione
di malessere che avevo prima e che mi accompagnava ormai da tre
anni, sparì lasciando il posto ad una pace interiore mai
provata prima. Fui pervasa da una sensazione di serenità,
di una gioia indescrivibile e queste stesse sensazioni colpirono
anche Enzo.
Entrammo nella Casa del Pellegrino con Antonino nel suo passeggino,
ed una marea di suore ci accolse con una gioia incredibile, come
se ci conoscessero da sempre, coccolavano Antonino, e lui si lasciava
accarezzare e baciare come non mai prima. Mi colpì, in
particolare la frase di una suora (Suor Melina), che mi disse:
""Ah! Se fosse ancora viva la Madre (riferendosi a Madre
Spreranza) come se lo sarebbe "spupazzato", sai come
li considerava questi bambini, e in genere le persone ammalate?,
"tabernacoli viventi"". Ed è stato ed è
proprio in questo luogo che ho trovato e trovo le risposte che
cercavo e che cerco.
La nostra permanenza si prolungò per altri quattro giorni.
Davanti al Crocifisso di Gesù Amore Misericordioso, mi
sentii come un verme, indegna del grande sacrificio che Lui ha
subito, immolandosi sulla Santa Croce per me e per noi tutti.
Provai a paragonare il mio dolore al dolore che aveva provato
Sua Madre, di fronte allo scempio che si compì sul corpo
del Figlio, ma il mio dolore non era nulla. Capii che non potevo
lasciarmi andare in quel modo, ma che quel dolore, doveva essermi
di esempio, doveva essere il motivo per andare avanti e cercare
di essere portatrice d'amore.
Ringrazio tutta la comunità dell'Amore Misericordioso,
in particolare Suor Rifugio e Padre Arsenio, che con il loro aiuto,
con il loro affetto e con le loro preghiere mi hanno aiutato a
capire, a far sì che oggi possa ringraziare il Signore
per il grande miracolo, il grande dono che mi ha voluto donare
nel mandarmi Antonino così com'è, con la sua disabilità
e con il suo sorriso carico d'amore. Ringrazio il Signore per
avere esaudito le mie preghiere, per aver accolto la mia richiesta
di "miracolo". Si! Miracolo. Perché non è
forse da considerare un miracolo l'aiutare il Signore a portare
la croce attraverso la malattia di mio figlio?
E' doveroso da parte mia, ringraziare anche Don Pino, che con
il suo affetto, con le sue preghiere, con il suo modo di fare
mi aiuta a tenere sempre "pronto l'olio per la mia lampada",
in modo da poter continuare a pregare con la preghiera insegnatemi
da Madre Speranza: "Fa Gesù mio che giammai desideri
altro se non che si compia in me la Tua divina volontà,
anche se devo soffrire molto, anche se non la comprendo".
Rosanna Badalucco
Attenzione!
La riunione formativa di aprile si terrà la prima domenica
4 aprile.
La
Cena Pasquale comunitaria
ci sarà mercoledì 7 aprile alle ore 20.