I capi di Stato, lo so, i criminali fautori della guerra, non osano assumersene la responsabilità, ognuno di essi si sforza di gettarne il peso sull’avversario, E i popoli si lasciano condurre, docili, e si rassegnano dicendo che tutto ciò è la volontà di una forza superiore a quella degli uomini. Una volta di più sentiamo il secolare ritornello: “Fatalità della guerra, più forte di ogni volontà” – vecchio ritornello delle greggi, che della loro debolezza fanno una divinità e l’adorano. Gli uomini hanno inventato il destino per attribuirgli le calamità dell’universo che avrebbero avuto il dovere di governare. Niente fatalità! La fatalità è ciò che vogliamo; e ancor più spesso è ciò che non sappiamo abbastanza volere. In questo momento ciascuno reciti il “mea culpa!” L’elite intellettuale, le Chiese, i partiti operai … nessuno ha voluto la guerra … E sia! Ma che cosa hanno fatto per impedirla? Che fanno per attenuarla? Alimentano l’incendio. Ciascuno porta il proprio fascio di legna.
L’aspetto più impressionante di questa mostruosa epopea, il fatto senza precedenti è, in tutti i Paesi belligeranti, l’unanimità in favore della guerra. E’ come un contagio di furore omicida (…) che, simile ad un’immensa ondata, si diffonde ed infetta tutta la terra: nessuno ha resistito all’epidemia, nessuna libertà di pensiero è riuscita a preservarsi dalla rovina. Una specie d’ironia demoniaca sembra sovrastare questa mischia di popoli, da cui, quale che sia l’esito finale, l’Europa uscirà mutilata. Non sono soltanto le passioni razziali a spingere ciecamente gli uni verso gli altri milioni di uomini, come formicai, e di cui gli stessi Paesi neutrali sentono la scossa minacciosa; la ragione, la fede, la poesia, la scienza, tutte quante le forze dello spirito, sono mobilitate, e in ogni Stato sono al servizio degli eserciti. Nell’elite di ciascun Paese, tutti proclamano e sono convinti che la causa del loro popolo è la causa di Dio, della libertà e del progresso umano.
Roman Rolland
La guerra è circonfusa di fascino dalla tradizione, da Omero e dal Vecchio Testamento, dai primi rudimenti dell’istruzione, da elaborati miti sull’importanza delle questioni implicate, dall’eroismo e dall’abnegazione che questi miti evocano. Jefte che sacrifica la figlia è un personaggio eroico, ma l’avrebbe lasciata vivere se non fosse stato ingannato da un mito. Le madri che mandano un figlio su un campo di battaglia sono eroiche ma anche esse sono vittime di un inganno come Jefte. E nell’uno come nell’altro caso, si eliminerebbe quell’eroismo che finisce in crudeltà, se non ci fosse una certa tendenza alla barbarie nella fantastica visione da cui scaturiscono i miti. Un dio che può essere soddisfatto dal sacrificio di una fanciulla innocente potrebbe essere adorato soltanto da uomini ai quali il pensiero di ricevere un simile sacrificio non è del tutto ripugnante. Una nazione convinta di potersi assicurare il benessere solo con la sofferenza e infliggendo centinaia di migliaia di sacrifici ugualmente orrendi, è una nazione che non ha una vera concezione spirituale di ciò che costituisce il benessere nazionale. Sarebbe cento volte meglio rinunciare ad agi materiali, al potere, al fasto e alla gloria esteriore che uccidere ed essere uccisi, odiare ed essere odiati, gettar via in un momento di pazza esaltazione lo splendido patrimonio dei secoli.
Bertrand Russell