Nei giorni scorsi è stata resa nota una lettera inviata da papa Francesco al card. Ouellet che è presidente della Pontificia commissione per l'America latina, oltre che prefetto della Congregazione dei vescovi. La lettera, datata 19 marzo 2016, si occupa del ruolo dei laici nella Chiesa cattolica e, pur trattando soprattutto della situazione dell'America Latina, affronta temi e fornisce suggerimenti che sono validi universalmente, per i laici di tutto il mondo. In essa papa Francesco esprime considerazioni che per la verità già altre volte ha esplicitato in occasioni diverse: è tuttavia sicuramente utile e interessante riprendere in questa sede i punti principali di questo documento, dato che riguarda da vicino la vita concreta dei laici nella Chiesa di oggi e quindi deve necessariamente essere oggetto di riflessione per chi cerca di vivere testimoniando nella sua vita di tutti i giorni il suo essere cristiano.
La lettera è indirizzata ai vescovi ai quali il Papa si rivolge perché “ lo spirito di discernimento e di riflessione” li “aiuti e continui a spronare a servire meglio il Santo Popolo fedele di Dio” che “come pastori siamo continuamente invitati a guardare, proteggere, accompagnare, sostenere e servire.”
Siamo tutti – pastori e laici – dei battezzati.
Molto interessante e significativa è la riflessione che papa Francesco ci offre, subito dopo l'introduzione. Egli infatti ci invita a tenere presente “che tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che suggella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, (i fedeli) “vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo” (Lumen gentium, n. 10). La nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il Santo Popolo fedele di Dio.
Ripeto: il Papa si rivolge ai vescovi ed essi per primi sono quindi invitati a non dimenticare l'importante ruolo dei laici, ma è di tutta evidenza che la riflessione appena citata sollecita una notevole assunzione di responsabilità dei laici, di ognuno di noi cioè, perché appunto la Chiesa siamo (anche) noi (come del resto il Concilio Vaticano II chiaramente insegna nella Lumen Gentium, al num. 9 e segg. e in tutto il cap. IV).
Il pericolo del clericalismo -
Ai vescovi e ai sacerdoti il Papa raccomanda con forza di non cadere nel clericalismo, cioè di evitare di ritenere che il ruolo dei laici sia semplicemente quello di seguire le direttive dei sacerdoti e dei vescovi: “Questo atteggiamento” infatti, “ non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale ... Il clericalismo porta a una omologazione del laicato; trattandolo come “mandatario” limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica. Il clericalismo, lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli. Il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il popolo di Dio (cfr.Lumen gentium, nn. 9-14), e non solo a pochi eletti e illuminati”
La religiosità popolare –
Per ribadire l'importanza della presenza dei laici nelle diverse società e culture, il Papa ricorda che l'azione dello Spirito si manifesta anche nelle forme della religiosità popolare. Citando il num. 48 della Evangelii nuntiandi di Paolo VI, papa Francesco afferma che la religiosità popolare “manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione”... “quando il Santo Popolo fedele di Dio prega e agisce” si genera “ un’azione che non resta legata alla sfera intima della persona ma che, al contrario, si trasforma in cultura” che “contiene valori di fede e di solidarietà che possono provocare lo sviluppo di una società più giusta e credente, e possiede una sapienza peculiare che bisogna saper riconoscere con uno sguardo colmo di gratitudine” (Evangelii gaudium, n. 68).
Ruolo dei laici e dei pastori -
Nel mondo di oggi nel quale prevale quella che il Papa ama chiamare la “cultura dello scarto” i laici si danno da fare e “cercano non solo di sopravvivere, ma... “tra contraddizioni e ingiustizie, cercano il Signore e desiderano rendergli testimonianza”. Si chiede allora papa Francesco: ”Che cosa significa per noi pastori il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica? Significa cercare il modo per poter incoraggiare, accompagnare e stimolare tutti i tentativi e gli sforzi che oggi già si fanno per mantenere viva la speranza e la fede in un mondo pieno di contraddizioni, specialmente per i più poveri, specialmente con i più poveri. Significa, come pastori, impegnarci in mezzo al nostro popolo e, con il nostro popolo, sostenere la fede e la sua speranza. Aprendo porte, lavorando con lui, sognando con lui, riflettendo e soprattutto pregando con lui... Come pastori, uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia. Come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori.” Approfondisce ulteriormente questa riflessione dicendo: “Molte volte siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi, e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana; su come, nella sua attività quotidiana, con le responsabilità che ha, s’impegna come cristiano nella vita pubblica. Senza rendercene conto, abbiamo generato una élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in cose “dei preti”, e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede...
Dobbiamo pertanto riconoscere che il laico per la sua realtà, per la sua identità, perché immerso nel cuore della vita sociale, pubblica e politica, perché partecipe di forme culturali che si generano costantemente, ha bisogno di nuove forme di organizzazione e di celebrazione della fede...
È illogico, e persino impossibile, pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta. Al contrario, dobbiamo stare dalla parte della nostra gente, accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale...” I pastori cioè- raccomanda il Papa - devono facilitare quel fenomeno che viene definito 'inculturazione'. Devono cioè “incoraggiare la gente a vivere la propria fede dove sta e con chi sta”. Infatti “L’inculturazione è imparare a scoprire come una determinata porzione del popolo di oggi, nel qui e ora della storia, vive, celebra e annuncia la propria fede. Con un’identità particolare e in base ai problemi che deve affrontare, come pure con tutti i motivi che ha per rallegrarsi. L’inculturazione è un lavoro artigianale” da attuare e promuovere nelle varie realtà, a seconda delle diverse situazioni e dei diversi bisogni.
Custodire la memoria –
La parte finale della lettera sottolinea che la fede è soprattutto trasmessa in famiglia e va custodita con cura. Dice infatti papa Francesco: “Nel nostro popolo ci viene chiesto di custodire due memorie. La memoria di Gesù Cristo e la memoria dei nostri antenati. La fede l’abbiamo ricevuta, è stato un dono che ci è giunto in molti casi dalle mani delle nostre madri, delle nostre nonne. Loro sono state la memoria viva di Gesù Cristo all’interno delle nostre case. È stato nel silenzio della vita familiare che la maggior parte di noi ha imparato a pregare, ad amare, a vivere la fede. È stato all’interno di una vita familiare, che ha poi assunto la forma di parrocchia, di scuola e di comunità, che la fede è giunta alla nostra vita e si è fatta carne. È stata questa fede semplice ad accompagnarci molte volte nelle diverse vicissitudini del cammino. Perdere la memoria è sradicarci dal luogo da cui veniamo e quindi non sapere neanche dove andiamo. Questo è fondamentale: quando sradichiamo un laico dalla sua fede, da quella delle sue origini, quando lo sradichiamo dal Santo Popolo fedele di Dio, lo sradichiamo dalla sua identità battesimale e così lo priviamo della grazia dello Spirito Santo. Lo stesso succede a noi quando ci sradichiamo come pastori dal nostro popolo, ci perdiamo. Il nostro ruolo, la nostra gioia, la gioia del pastore, sta proprio nell’aiutare e nello stimolare, come hanno fatto molti prima di noi, madri, nonne e padri, i veri protagonisti della storia. Non per una nostra concessione di buona volontà, ma per diritto e statuto proprio. I laici sono parte del Santo Popolo fedele di Dio e pertanto sono i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro.
A cura di Antonella