55. La fede, inoltre, nel rivelarci l’amore di Dio Creatore, ci fa rispettare maggiormente la natura, facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita; ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e sul profitto, ma che considerino il creato come dono, di cui tutti siamo debitori; ci insegna a individuare forme giuste di governo, riconoscendo che l’autorità viene da Dio per essere al servizio del bene comune. La fede afferma anche la possibilità del perdono, che necessita molte volte di tempo, di fatica, di pazienza e di impegno; perdono possibile se si scopre che il bene è sempre più originario e più forte del male, che la parola con cui Dio afferma la nostra vita è più profonda di tutte le nostre negazioni. Anche da un punto di vista semplicemente antropologico, d’altronde, l’unità è superiore al conflitto; dobbiamo farci carico anche del conflitto, ma il viverlo deve portarci a risolverlo, a superarlo, trasformandolo in un anello di una catena, in uno sviluppo verso l’unità.
Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno, come ammoniva il poeta T. S. Eliot: « Avete forse bisogno che vi si dica che perfino quei modesti successi / che vi permettono di essere fieri di una società educata / difficilmente sopravviveranno alla fede a cui devono il loro significato? ».[48] Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata. La Lettera agli Ebrei afferma: « Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città » (Eb 11,16). L’espressione “non vergognarsi” è associata a un riconoscimento pubblico. Si vuol dire che Dio confessa pubblicamente, con il suo agire concreto, la sua presenza tra noi, il suo desiderio di rendere saldi i rapporti tra gli uomini. Saremo forse noi a vergognarci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo noi a non confessarlo come tale nella nostra vita pubblica, a non proporre la grandezza della vita comune che Egli rende possibile? La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama.
Una forza consolante nella sofferenza
56. San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto delle sue tribolazioni e delle sue sofferenze mette in relazione la sua fede con la predicazione del Vangelo. Dice, infatti che in lui si compie il passo della Scrittura: « Ho creduto, perciò ho parlato » (2 Cor 4,13). L’Apostolo si riferisce ad un’espressione del Salmo 116, in cui il Salmista esclama: « Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice » (v. 10). Parlare della fede spesso comporta parlare anche di prove dolorose, ma appunto in esse san Paolo vede l’annuncio più convincente del Vangelo, perché è nella debolezza e nella sofferenza che emerge e si scopre la potenza di Dio che supera la nostra debolezza e la nostra sofferenza. L’Apostolo stesso si trova in una situazione di morte, che diventerà vita per i cristiani (cfr 2 Cor 4,7-12). Nell’ora della prova, la fede ci illumina, e proprio nella sofferenza e nella debolezza si rende chiaro come « noi […] non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore » (2 Cor 4,5). Il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei si conclude con il riferimento a coloro che hanno sofferto per la fede (cfr Eb 11, 35-38), tra i quali un posto particolare lo occupa Mosè, che ha preso su di sé l’oltraggio del Cristo (cfr v. 26). Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e, in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell’amore. Contemplando l’unione di Cristo con il Padre, anche nel momento della sofferenza più grande sulla croce (cfr Mc 15,34), il cristiano impara a partecipare allo sguardo stesso di Gesù. Perfino la morte risulta illuminata e può essere vissuta come l’ultima chiamata della fede, l’ultimo “Esci dalla tua terra” (Gen 12,1), l’ultimo “Vieni!” pronunciato dal Padre, cui ci consegniamo con la fiducia che Egli ci renderà saldi anche nel passo definitivo.
57. La luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo. Per quanti uomini e donne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce! Così per san Francesco d’Assisi il lebbroso, o per la Beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri. Hanno capito il mistero che c’è in loro. Avvicinandosi ad essi non hanno certo cancellato tutte le loro sofferenze, né hanno potuto spiegare ogni male. La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino. All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce. Cristo è colui che, avendo sopportato il dolore, « dà origine alla fede e la porta a compimento » (Eb 12,2).
La sofferenza ci ricorda che il servizio della fede al bene comune è sempre servizio di speranza, che guarda in avanti, sapendo che solo da Dio, dal futuro che viene da Gesù risorto, può trovare fondamenta solide e durature la nostra società. In questo senso, la fede è congiunta alla speranza perché, anche se la nostra dimora quaggiù si va distruggendo, c’è una dimora eterna che Dio ha ormai inaugurato in Cristo, nel suo corpo (cfr 2 Cor 4,16–5,5). Il dinamismo di fede, speranza e carità (cfr 1 Ts 1,3; 1 Cor 13,13) ci fa così abbracciare le preoccupazioni di tutti gli uomini, nel nostro cammino verso quella città, « il cui architetto e costruttore è Dio stesso » (Eb 11,10), perché « la speranza non delude » (Rm 5,5).
Nell’unità con la fede e la carità, la speranza ci proietta verso un futuro certo, che si colloca in una prospettiva diversa rispetto alle proposte illusorie degli idoli del mondo, ma che dona nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano. Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che “frammentano” il tempo, trasformandolo in spazio. Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza.
Beata colei che ha creduto (Lc 1,45)
58. Nella parabola del seminatore, san Luca riporta queste parole con cui Gesù spiega il significato del “terreno buono”: « Sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza » (Lc 8,15). Nel contesto del Vangelo di Luca, la menzione del cuore integro e buono, in riferimento alla Parola ascoltata e custodita, costituisce un ritratto implicito della fede della Vergine Maria. Lo stesso evangelista ci parla della memoria di Maria, di come conservava nel cuore tutto ciò che ascoltava e vedeva, in modo che la Parola portasse frutto nella sua vita. La Madre del Signore è icona perfetta della fede, come dirà santa Elisabetta: « Beata colei che ha creduto » (Lc 1,45).
In Maria, Figlia di Sion, si compie la lunga storia di fede dell’Antico Testamento, con il racconto di tante donne fedeli, a cominciare da Sara, donne che, accanto ai Patriarchi, erano il luogo in cui la promessa di Dio si compiva, e la vita nuova sbocciava. Nella pienezza dei tempi, la Parola di Dio si è rivolta a Maria, ed ella l’ha accolta con tutto il suo essere, nel suo cuore, perché in lei prendesse carne e nascesse come luce per gli uomini. San Giustino Martire, nel suo Dialogo con Trifone, ha una bella espressione in cui dice che Maria, nell’accettare il messaggio dell’Angelo, ha concepito “fede e gioia”.[49] Nella Madre di Gesù, infatti, la fede si è mostrata piena di frutto, e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riem-piamo di gioia, che è il segno più chiaro della grandezza della fede. Nella sua vita, Maria ha compiuto il pellegrinaggio della fede, alla sequela di suo Figlio.[50] Così, in Maria, il cammino di fede dell’Antico Testamento è assunto nella sequela di Gesù e si lascia trasformare da Lui, entrando nello sguardo proprio del Figlio di Dio incarnato.
59. Possiamo dire che nella Beata Vergine Maria si avvera ciò su cui ho in precedenza insistito, vale a dire che il credente è coinvolto totalmente nella sua confessione di fede. Maria è strettamente associata, per il suo legame con Gesù, a ciò che crediamo. Nel concepimento verginale di Maria abbiamo un segno chiaro della filiazione divina di Cristo. L’origine eterna di Cristo è nel Padre, Egli è il Figlio in senso totale e unico; e per questo nasce nel tempo senza intervento di uomo. Essendo Figlio, Gesù può portare al mondo un nuovo inizio e una nuova luce, la pienezza dell’amore fedele di Dio che si consegna agli uomini. D’altra parte, la vera maternità di Maria ha assicurato per il Figlio di Dio una vera storia umana, una vera carne nella quale morirà sulla croce e risorgerà dai morti. Maria lo accompagnerà fino alla croce (cfr Gv 19,25), da dove la sua maternità si estenderà ad ogni discepolo del suo Figlio (cfr Gv 19,26-27). Sarà presente anche nel cenacolo, dopo la Risurrezione e l’Ascensione di Gesù, per implorare con gli Apostoli il dono dello Spirito Santo (cfr At 1,14). Il movimento di amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito ha percorso la nostra storia; Cristo ci attira a Sé per poterci salvare (cfr Gv 12,32). Al centro della fede si trova la confessione di Gesù, Figlio di Dio, nato da donna, che ci introduce, per il dono dello Spirito Santo, nella figliolanza adottiva (cfr Gal 4,4-6).
60. A Maria, madre della Chiesa e madre della nostra fede, ci rivolgiamo in preghiera.
Aiuta, o Madre, la nostra fede!
Apri il nostro ascolto alla Parola, perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata.
Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi, uscendo dalla nostra terra e accogliendo la sua promessa.
Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore, perché possiamo toccarlo con la fede.
Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui, a credere nel suo amore, soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce, quando la nostra fede è chiamata a maturare.
Semina nella nostra fede la gioia del Risorto.
Ricordaci che chi crede non è mai solo.
Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinché Egli sia luce sul nostro cammino. E che questa luce della fede cresca sempre in noi, finché arrivi quel giorno senza tramonto, che è lo stesso Cristo, il Figlio tuo, nostro Signore!
Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, dell’anno 2013, primo di Pontificato.
FRANCISCUS
[46] Origene, Contra Celsum, IV, 75: SC 136, 372.
[47] Ibid., 85: SC 136, 394.
[48] ”Choruses from The Rock” in: The Collected Poems and Plays 1909-1950, New York 1980, 106.
[49] Cfr Dialogus cum Tryphone Iudaeo, 100, 5: PG 6, 710.
[50] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 58.