L’ISLAM: dalla fonte principale: il Corano (Cfr “Islam” Stefano Nitoglia)
(Continua dal numero precedente)
Le ingiustizie del diritto ereditario
Il diritto islamico riconosce come persona giuridica pienamente capace solo il musulmano “ortodosso”, maschio, pubere, libero, sano di mente e di corpo. Da questa discriminazione derivano diverse ingiustizie sociali.
Il diritto ereditario islamico privilegia la successione “ab intestato” cioè la “legittima”, mentre il diritto occidentale privilegia la successione testamentaria (srt 457 C.C.). Quindi la facoltà della persona di disporre dei propri beni è alquanto limitata.
Altra differenza tra il diritto islamico e quello occidentale è che per il diritto occidentale eredi legittimi sono i parenti più vicini al testatore, siano essi maschi o femmine, per il diritto islamico eredi legittimi sono considerati gli “asaba”, ossia i parenti maschi per via di successione maschile. Inoltre la “shari’ah” esclude dalla successione i figli non educati nella fede islamica.
La concezione socialista della proprietà
La proprietà privata costituisce un’istituzione fondamentale della civiltà occidentale e cristiana, derivata dalla concezione dell’uomo come persona che estende il proprio dominio sulle cose. Nella prospettiva islamica, invece, pur essendo ammesso il diritto di possedere, l’individuo è solo possessore di una parte dei beni della comunità e solo in quanto membro della stessa comunità, quindi se si allontana dalla comunità perde i suoi diritti. Ne deriva una priorità della comunità sull’individuo quanto al possesso e alla distribuzione dei beni. E’ una sorta di autogestione di stampo socialista.
La pratica della schiavitù
La schiavitù, abolita nell’Occidente dal Cristianesimo, viene invece ammessa e legittimata dal Corano. Nel 1855 il capo degli Ulema della Mecca, Shaykh Jamail, emise una decisione legale in cui si proclamava: “La proibizione della schiavitù è contraria alla shri’ah (…) i turchi sono diventati infedeli, versare il loro sangue è permesso ed è lecito ridurre i loro figli in schiavitù”.
Nel mondo islamico sono sorti molti movimenti di protesta, ma nessuna ha messo in dubbio la condizione subordinata dello schiavo, della donna, del miscredente.
Lo schiavo è considerato un oggetto non una persona, soggetto alla legge del mercato, quindi non ha alcun diritto politico. I figli degli schiavi seguono la sorte dei genitori.
La “tratta delle bianche” conferma la persistenza della schiavitù, specie nei paesi arabi.
La società islamica è: una teocrazia ugualitaria
La dottrina cattolica afferma le giuste e proporzionate disuguaglianze tra gli uomini per merito personale e familiare, per tradizione e per funzione sociale.
L’Islam, al contrario rifiuta il privilegio sociale. L’uguaglianza è la pietra angolare del sistema sociale islamico. La religione musulmana è una teocrazia laica e ugualitaria in cui Allah svolge il ruolo di “direttore amministrativo”, può essere perciò definita “una comunità senza classi, l’onore è derivato solo dalla devozione all’Islam. Se lungo la storia sono sorte fazioni sociali, hanno sempre avuto vita breve. A differenza del mondo cristiano, in cui le differenze di classe sono fondate sul merito e non sono sostanziali, il mondo islamico riconosce le disuguaglianze tra padrone e schiavo, uomo e donna, musulmano e non musulmano.
Statuto e condizione dei non musulmani: harbi e dhimmi
Il mondo dei musulmani di divide in “territorio dell’Islam” e in “territorio di guerra”.
Gli abitanti del “Territorio di guerra sono i non musulmani, gli infedeli, non dipendono dall’autorità islamica e i loro beni sono alla mercé dei credenti. Infatti il “miscredente” è per definizione un nemico, quindi fa parte della “Casa della guerra”.
I non musulmani sono detti “Gente del libro”, cioè ebrei e cristiani il cui stato giuridico viene chiamato dhimma, si tratta di un legame contrattuale non tra due stati sovrani ma tra uno stato sovrano e uno ridotto a schiavitù, l’Islam s’impegna però a proteggere il popolo soggetto.
I musulmani affermano che la condizione della “gente del libro” è privilegiata rispetto a quella degli appartenenti alle altre religioni. Comunque un musulmano non può essere accusato da un infedele, al contrario è accaduto diverse volte che un “infedele” sia stato condannato a posto di un musulmano colpevole. I non musulmani vengono accusati generalmente di aver bestemmiato contro Maometto, delitto punito con la pena capitale. I non musulmani devono inoltre distinguersi attraverso un segno esteriore, non possono elevare costruzioni più alte di quelle dei musulmani, devono procedere all’inumazione dei loro morti in segreto, senza pianti e lamenti; a loro è vietato suonare le campane, esporre un qualsiasi oggetto di culto, proclamare davanti a un musulmano le verità della loro fede. Inoltre sono sottoposti a versare un tributo chiamato kharadj, giustificata in base al principio secondo cui la terra sottratta dall’Islam agli infedeli viene considerata come appartenente di diritto alla comunità musulmana. In forza di questo principio ogni proprietario è considerato un usufruttuario per concessione dell’umma. Inoltre sono tenuti al pagamento di un’altra tassa, che viene imposta nel corso di una cerimonia umiliante: mentre pagano vengono colpiti alla testa e alla nuca. Inoltre è fatto divieto agli infedeli di portare armi, sono considerati una massa di schiavi in balia dei nemici invasori. Chi si rifiuta di pagare queste tasse non ha alcuna possibilità di essere tutelato dalla legge.
Il Corano ordina la “guerra santa”
La concezione islamica della religione e della società, essendo basata sull’antinomia “fedeli – “infedeli”, o meglio “obbedienti – ribelli”, affida spesso il successo della “causa di Allah” alle armi, alla riuscita di un conflitto armato. La “guerra santa” (jihàd) è una coerente conseguenza delle premesse politico – religiose che abbiamo illustrato.
La jihàd non ha nessuna analogia con la guerra santa condotta dai crociati contro l’Islam. Le Crociate furono spedizioni militari promosse dalla Santa Sede non per imporre la fede cattolica ai musulmani, ma per difendere le comunità cristiane perseguitate nel vicino oriente e per liberare i luoghi santi, ingiustamente invasi dalle armate di Maometto.
L’islam, al contrario, lotta per conquistare e per assoggettare tutto il mondo a Maometto. L’Islam ha individuato questo “Territorio di guerra” soprattutto nell’Europa cristiana.
Secondo l’insegnamento islamico la “guerra santa” è uno dei comandamenti fondamentali della fede, un obbligo imposto da Dio a tutti i musulmani, che non conosce limiti di tempo e di spazio e che deve protrarsi finché il mondo intero non abbia accolto la fede islamica. “Finché ciò non avvenga, il mondo resta diviso in due: “La Casa dell’Islam” e la “Casa della guerra”, tra le due vige uno stato di guerra moralmente necessario, legalmente e religiosamente obbligatorio, fino al trionfo finale ed inevitabile dell’Islam sulla miscredenza”.
A differenza di quanto imposto dalla dottrina cristiana, nella mentalità musulmana la pratica della guerra non è limitata da precise regole morali che ne moderino la ferocia. L’Islam non riconosce come soggetti giuridici né le persone non musulmane, né gli Stati non musulmani. Un hadit afferma: “Nessun credente porti mai soccorso ad un miscredente”. In tale prospettiva i nemici, una volta caduti prigionieri, costituiscono “proprietà dei vincitori, che possono liberarli o ridurli in schiavitù oppure ucciderli.
(continua al numero successivo)
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