10.3 L’invio in missione dei settantadue discepoli (Lc 10,1-16)
Antonio Turi
10 1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.2Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
5In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!».
6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra.
Dopo l’invio dei Dodici (Lc 9,1-6), Luca, unico fra gli evangelisti, riferisce dell’invio in missione di settantadue discepoli.
Inserisce tale invio nel viaggio che conduce Gesù verso Gerusalemme, subito dopo che Gesù è respinto da un villaggio samaritano (Lc 9,51-55) e ha istruito i discepoli sulle “condizioni” per mettersi alla sua sequela (Lc 9,57-62): vuole riaffermare che essere da Lui chiamati, in particolare, comporta essere inviati da Lui in missione. Questo secondo invio è anche l’occasione per approfondire le raccomandazioni fatte da Gesù ai Dodici. Gesù ha effettivamente inviato prima i Dodici e poi i settantadue? Molte ipotesi si fanno al riguardo. Forse le istruzioni per la missione assunsero nella tradizione due forme simili, quella trasmessa da Marco per la missione dei Dodici (Mc 6,7-13) e l’altra dalla fonte Q per la missione “universale”. E’ più interessante far notare che, riferendole entrambe durante la vita di Gesù, Luca afferma che entrambe le missioni sono espressione della volontà del Signore.
Alla missione dei Dodici in Israele (al tempo del Gesù storico) segue dunque la missione dei settantadue verso tutti i popoli (il tempo della Chiesa). Il numero simbolico 72 potrebbe provenire dalla lista dei popoli in Genesi 10 che, nella versione dei LXX sono settantadue.
Gesù li invia ““a due a due davanti a sé”, con il compito non di “preparargli l’ingresso” come i discepoli in Samaria (Lc 9,52), ma di annunciare il regno di Dio: “è vicino a voi il regno di Dio” (Lc 10,9). Questa volta, come vedremo (v. 17) saranno accolti bene. Ricordiamo che andare in coppia (Mc 6,7) permetteva di difendersi meglio da eventuali pericoli, ma soprattutto di dare alle loro parole un valore di testimonianza (Dt 19,15). Gesù fa loro delle raccomandazioni sconcertanti che vanno ben oltre quelle date ai Dodici e che sembrerebbero piuttosto frenare l’entusiasmo dei missionari. Ricorda che i popoli ai quali portare il Vangelo sono numerosi, mentre gli operai sono pochi (“La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!”): occorre “pregare perché mandi operai nella sua messe!”
Gesù li invia (“Andate”) annunciando loro un destino pieno di rischio e ostilità: “vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”. E’ un appello alla non violenza. Seguono delle istruzioni già in parte dette nell’invio dei Dodici (Lc 9,3): non portare borsa (per i soldi del viaggio), sacca (per i viveri), e neanche sandali (nonostante il pericolo di serpenti e scorpioni – v. 17). Ci si deve affidare alla fedeltà ed al sostegno del Signore che ha mandato. Solo Luca aggiunge “non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. Nell’urgenza della missione non bisogna perdere tempo in lunghi gesti, parole di cortesia e vane chiacchiere e non bisogna neanche far visita a parenti ed amici durante il viaggio: è un appello a non lasciarsi distrarre dal compito missionario. Seguono, nei versi 5-11 una serie di detti (“loghia” o “parole di Gesù” provenienti dalla fonte Q) sul come comportarsi in una casa (vv. 5-7) e in una città (vv. 8-11). La casa è il luogo del soggiorno del missionario che rivolge il suo annuncio alla città.
♦ I mandati sono portatori della “Pace” che non è soltanto una formula di cortesia (Shalom in ebraico): è il “segno” dell’avvento del regno di Dio.
La pace però non raggiunge chiunque: “Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”. La pace accolta avrà effetti concreti in quella casa, come è avvenuto nella casa di Zaccheo: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza” (Lc 19,1-10).
Matteo, dice: “Se questa casa ne è degna” (Mt 10,13). Ciò non corrisponde all’intenzione originale degli evangelizzatori: entravano in una casa senza chiedere prima se coloro che la abitavano fossero degni o meno. Sarà l’accoglienza riservata al saluto che mostrerà se effettivamente c’è un figlio della pace. L’esperienza concreta avrà spinto Matteo alla prudenza!
♦ I messaggeri sono invitati alla comunione di tavola con chi li ha accolti, senza timore per alimenti “impuri”, senza pretesa, accontendandosi di ciò che viene loro offerto. Essi lavorano per il bene di coloro dai quali ricevono ospitalità e quindi hanno diritto alla “ricompensa”.Originariamente il messaggero era totalmente alla dipendenza di chi li ospitava e si sottoponeva al rischio di non essere accolto. La riflessione successiva di Luca evidenzia la realtà della ricompensa nella missione post-pasquale.I missionari devono infine non cedere alla tentazione di andare in cerca di alloggi migliori, come già Gesù aveva detto ai Dodici (Lc 9,4). Ora l’attenzione si rivolge alla città come luogo della missione e si distingue il caso di una accoglienza positiva e di un rifiuto.
8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio». 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11«Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino». 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
♦ Sorprende che la prima preoccupazione nell’entrare in città sia il mangiare e non la predicazione. Probabilmente la ripetizione del verso 7 corrisponde ad una preoccupazione della Chiesa primitiva quando la missione si estese alle città pagane e diventò più cruciale il problema della purità alimentare.
Il mandato di guarire “i malati che vi si trovano” si riferisce meglio ad una famiglia che non ad una guarigione in massa dei malati di una città. Alle guarigioni segue la predicazione. Abbiamo già visto come Luca ami far precedere un miracolo ad un insegnamento (Lc 5,1-11; 7,17-25; 8,22-25) per dare più peso alla parola e rendere l’adesione più comprensibile.
Gli inviati annunciano: “È vicino a voi il regno di Dio”. Il regno di Dio si è avvicinato nel fatto che vi sono stati accoglienza, parole di pace, cibo offerto e guarigione dei malati; Dio si manifesta dove si è creata una comunione, una accoglienza reciproca tra gli inviati e quelli ai quali sono stati mandati.
♦ Viene poi preso in esame il caso della città che non accoglie i messaggeri e rifiuta così il loro annuncio. Il gesto di rottura – scuotere la polvere - non viene fatto fuori della città come in Mc 6,11 e Mt 10,14, ma “sulle sue piazze”, alla luce del giorno. Al gesto solo Luca fa seguire delle parole: “sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Ora queste parole suonano come una minaccia. Quegli abitanti devono sapere che, chi non vive sotto la signoria di Dio, è sotto il potere di Satana e, come Satana, viene precipitato “dal cielo come una folgore” (v. 18) e rischia di precipitare all’inferno (v. 15). E’ una minaccia che non si realizza subito (è ciò che avrebbero voluto Giacomo e Giovanni – Lc 9,54), aspetta il tempo del giudizio (v. 14). E’ lasciato ancora del tempo per un’eventuale conversione che cambierebbe le sorti di quella città. Le minacce sono l’ultimo tentativo di Dio perché il Vangelo venga accolto.
♦ Se il rifiuto all’annuncio persiste, quella città non potrà dire di non aver saputo quale pericolo la minacciava e non avrà alcuna scusa: sarà trattata nel giorno del giudizio divino (alla fine dei tempi) più duramente di Sodoma. La distruzione di Sodoma con fuoco e zolfo è narrata in Gn 19; anche Gomorra subì la stessa sorte. Le due città diventano, nella tradizione biblica esempio di città peccatrici sulle quali si abbatte il giudizio divino; Matteo 10,15 si riferisce a questa tradizione. La minaccia di giudizio, oltre a colpire le città che non hanno accolto l’annuncio dei messaggeri, è rivolta alle città attorno al lago di Genesaret che hanno rifiutato di riconoscere la venuta del regno di Dio, manifestata in tanti prodigi.
13Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. 14Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi.
15E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
16Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».
Siamo di fronte non a delle maledizioni, ma piuttosto a dei lamenti di Gesù su quelle città che, con il loro rifiuto, si sono escluse dalla salvezza finale. Betsaida, Cafarnao e Corazin (forse l’attuale Khirbert Karazeb, a 3 km a nord di Cafarnao) formano un triangolo attorno al lago, dove si è concentrata l’attività di Gesù in Galilea. Tiro e Sidone , nella tradizione biblica, rappresentano il mondo pagano nei suoi vizi e ingiustizie sociali varie, meritevole quindi di un giudizio divino di condanna. Eppure, dice Gesù, queste città peccatrici si sarebbero convertite se fossero stati testimoni dei miracoli del Messia, come lo furono Corazin (il fatto che non è mai nominata altrove fa supporre che i detti risalgono a Gesù) e Betsaida (Lc 9,10).
“Sacco e cenere” sono segni di penitenza. Il sacco serviva da vestito (ed anche per sdraiarsi) al penitente che si spargeva la cenere sulla testa.