9.6 La trasfigurazione di Gesù (Lc 9,28-36)
Antonio Turi (Comunità di Genova)
9 28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.29Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva.
34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Il racconto della trasfigurazione è la risposta ultima agli interrogativi delle folle (Lc 4,36; 5,26; 6,19; 7,16; 7,49; 8,35.56), dei discepoli (Lc 8,22-25) e di Erode (Lc 9,7-9) sulla identità di Gesù:
“Chi è dunque costui?” (Lc 8,25; 9,9)
Gesù stesso domanderà ai discepoli:
“Le folle, chi dicono che io sia?” (Lc 9,18)
“Ma voi chi dite che io sia?” (Lc 9,20)
Conosciamo le risposte delle folle, non pronte a riconoscere la novità di Gesù:
“Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto” (Lc 9,19);
e la confessione di Pietro, che, portavoce dei discepoli, lo proclama “il Messia”:
“Il Cristo di Dio” (Lc 9,20)
Ma Gesù non è solo “il Messia di Dio”, come ci rivelerà l’episodio della trasfigurazione.
E’ un racconto che occupa un posto centrale nei vangeli sinottici.
Due considerazioni legano la trasfigurazione di Gesù al suo battesimo.
Quando fu battezzato da Giovanni, al Giordano, “discese sopra di lui (sopra Gesù) lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: tu sei il Figlio mio, l'amato; in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22).
Ora questa voce celeste diventa per così dire, visibile, come vedremo, nello splendore che irradia sul volto di Gesù: “il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”.
Ricordiamo poi che, dopo il battesimo e l'essere messo alla prova nel deserto (Lc 4,1-13), Gesù inizia il suo cammino per città e villaggi della Galilea “annunciando la buona notizia del regno di Dio” (Lc 4,43). Dopo la trasfigurazione, Gesù inizia un altro cammino: il cammino di “passione” verso Gerusalemme (Lc 9,51).
Il monte della trasfigurazione si trova, così, al centro di questi due grandi cammini.
Torniamo al racconto lucano. Luca segue il racconto di Marco 9,2-10 (e Mt 17,1-9) con significativi cambiamenti. Molti sono i temi teologici: la gloria, la nube, la tenda, la presenza di Mosè e di Elia, l’esodo.
Non troveremo, nel racconto di Luca, un resoconto dettagliato, ovvero una cronaca dell'evento: è impossibile sapere cosa è accaduto. Siamo di fronte ad un evento soprannaturale della vita di Gesù che viene raccontato con immagini bibliche, presi, in particolare dall'Esodo.
Due temi teologici sono particolarmente significativi:
- la risposta ultima agli interrogativi sulla identità di Gesù,
- l'annuncio del suo esodo da portare a compimento a Gerusalemme.
Sono passati “circa otto giorni” da “questi discorsi”. Da quali discorsi (sono certamente importanti se Luca li richiama)? Dalla confessione di Pietro (Lc 9,20)? Dal primo annuncio della passione-risurrezione e dall'invito alla sequela (Lc 9,22-26)? La domanda è senza interesse, perché in Luca questi discorsi, già strettamente legati tra loro, lo sono anche con la trasfigurazione.
Perché Luca scrive “circa otto giorni dopo” mentre Marco (9,2) e Matteo (17,1) parlano di “sei giorni dopo”? Forse Luca non vuole collegare la trasfigurazione di Gesù sul monte con l’episodio di Mosè al monte Sinai (“La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni” -.Es 24,16), bensì con l'ottavo giorno della tradizione cristiana, giorno della risurrezione di Cristo.
Gesù prende con sé Pietro, Giovanni e Giacomo (in Marco Giovanni si trova in coda), i tre testimoni della risurrezione della figlia di Giairo (Lc 8,51). Salgono “sul monte a pregare”. Il monte è il luogo della vicinanza a Dio, il luogo della preghiera solitaria e notturna di Gesù (Lc 6,12). Non è importante precisare geograficamente questo monte (Marco dirà che è “un alto monte”).
In Luca l'intenzione di Gesù non è quella del suo manifestarsi ai discepoli, ma di pregare: la trasfigurazione nasce proprio da questo rapporto intimo col Padre (come già nella scena del battesimo – Lc 3,21). La scena sembra svolgersi di notte: viene spontaneo pensare al Getsemani, ormai non molto lontano (Lc 22,39-46). “Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”. Lo splendore del volto e delle vesti è l'irradiazione della gloria propria di Gesù: testimonia la sua natura divina e anticipa la “gloria” che raggiungerà attraverso la sua passione.
Per ora questa “gloria” si rivela nell'umiltà di un uomo in preghiera.
“Ed ecco due uomini”...appaiono “nella gloria”, cioè come esseri che vengono dal mondo celeste: sono Mosè ed Elia, che “conversano” con Gesù.
Mosè ed Elia sono due personaggi importanti nella storia della salvezza. Mosè è il liberatore del popolo ebraico , è anche il mediatore della legge al Sinai. Elia è il profeta che ha coperto un ruolo importante nella difesa della religione di JHWH.
Entrambi hanno vissuto una esperienza mistica sul monte e che riguarda la visione della “gloria di Dio” (Es 33,18-23 e 1Re 19,11-13).
Per Luca “Mosè ed Elia”, compreso come “Mosè (la Torah) e i profeti” (Lc 16,29-31; 24,27) rappresentano la “Scrittura”: essa preannuncia la vita di Gesù, confermando la sua “via crucis”.
Ecco dunque l’insegnamento da trarre: per capire cosa è accaduto a Gesù, dobbiamo accostarci alla Parola di Dio.
Gesù stesso lo annuncerà ai discepoli di Emmaus: “E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui (Lc 24,27).
Luca non si accontenta di riferire che Mosè ed Elia conversano con Gesù (come Mc e Mt), ma ne dà anche il contenuto: “parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme”. Non certo per informare Gesù su ciò che egli già sapeva (Lc 9,22).
L'esodo, che vuol dire uscita, partenza (è anche sinonimo di morte), rimanda all'esodo biblico: Gesù è il nuovo Mosè. C'è l'imminenza di un compimento, in obbedienza al disegno di Dio, a Gerusalemme, la città santa. I discepoli sono “oppressi dal sonno” (il versetto 32 è proprio di Luca). E' inutile cercare spiegazioni: sono stanchi per la salita e l'arrivo sul monte?
Li troveremo dormenti anche al monte degli ulivi (Lc 22,45-46). Gesù li rimprovererà per la loro lentezza del cuore nel capire e nel credere: “sono stolti e lenti di cuore” (Lc 24,25)
“Ma quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui”. Pietro e i suoi compagni hanno visto la gloria di Gesù e dei due profeti, ma non hanno colto il legame con la passione (esodo), perché non hanno partecipato alla loro conversazione, “oppressi dal sonno” (si può pensare al loro sforzo per resistere al sonno; probabile che dormivano realmente e poi si svegliarono).
Mosè ed Elia stanno allontanandosi da Gesù ed allora Pietro trova la forza di intervenire. Vuole prolungare questa esperienza divina alla quale i tre discepoli hanno partecipato: “Maestro , è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne...”.
Perché l'idea delle tende? Luca pensa al loro significato religioso. Nella Bibbia dei Settanta “Skenè” è la tenda che contiene l'arca nel deserto, è la dimora di JHWH in mezzo al suo popolo. La parola rimanda anche alle capanne nelle quali i figli di Israele abitano per una settimana nella festa autunnale di Sukkot (festa dei Tabernacoli, la festa delle Capanne – Lv 23,42), ricordo dell'esperienza dell'Esodo.
Pietro “non sapeva quello che diceva”. Voleva vivere per sempre questa esperienza divina? Dimentica che ci sono solo tre discepoli e non “tutti”? Pietro non ha capito che non si può fare esperienza di Dio (non si può essere veri discepoli - Lc 9,23), senza dover passare per il mistero della croce: non ha capito il mistero di Gesù trasfigurato, come non ha capito quello della sua umiliazione nel Getsemani determinando così il suo rinnegamento (Lc 22,54-62).
“Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra”. La nube è il segno della presenza invisibile di Dio. Ricordiamo che il tema della nube è frequente nel libro dell'Esodo ed in particolare in:
- Es 24,15-18: Mosè entra nella nube che copriva il monte ove dimorava la gloria del Signore.
- Es 40,34s: la nube copriva la Tenda del convegno, e Mosè non poté entrare in essa perché la gloria del Signore riempiva la Dimora.
- La nube che ricopre con la sua ombra (Lc 1,35: annuncio della nascita di Gesù a Maria) indica dunque una presenza speciale di Dio, nella quale i tre discepoli entrano.
- “All'entrare nella nube, ebbero paura”: come non aver paura (è un timore sacro) dinanzi ad un fenomeno soprannaturale, anche se non lo capiscono?
- Per Marco 9,6 sono l'evento della trasfigurazione e l'apparizione improvvisa di Elia e di Mosè a suscitare il timore; per Matteo 17,6 è la voce dal cielo.
Per Luca è invece l'entrare dei discepoli nella nube divina: con Gesù, Mosè ed Elia sono inseriti nello stesso mistero. Gesù ci rende partecipi della sua intimità con il Padre.
Alla visione del volto splendente, segue l'ascolto della voce che proviene dalla nube: “Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!”. L'affermazione si collega alla rivelazione battesimale in Lc 3,22: “Tu sei il Figlio mio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento” Ora la voce divina si rivolge non più a Gesù, ma ai discepoli, con l'appello di ascoltarlo.
Con due citazioni (Sal 2,7 e Is 42,1) sono affermati due titoli di Gesù che Luca vede uniti:
“Il figlio mio,”: è più che un titolo messianico (confessione di Pietro in Lc 9,20); viene affermata la figliolanza divina di Gesù (Sal 2,7);
“l'eletto;”: titolo che è quello del servo di JHWH chiamato a soffrire per l'annuncio della Parola (Is 42,1). Così sarà chiamato Gesù nella tentazione sulla croce (Lc 23,35).
Così Luca associa la “gloria” che compete a Gesù in quanto “Figlio di Dio” e la necessità di passare attraverso le umiliazioni del “servo sofferente”.
La voce si conclude con un appello: “ascoltatelo!”, ripreso da Dt 18,15, che comandava di dare ascolto al profeta Mosè. Tuttavia ora non è più Mosè o i profeti che i discepoli devono ascoltare, ma il Figlio di Dio. Dio stesso richiama fortemente i discepoli – ed oggi noi – ad ascoltare Gesù quando annuncia la sua passione e risurrezione, quando invita, chi lo vuol seguire, a rinnegare se stesso e a prendere la propria croce ogni giorno: è questa la via della gloria; è soltanto così che Gesù sarà il Messia confessato da Pietro.
Questo appello all'obbedienza nell'ascolto si contrappone decisamente al desiderio di Pietro di voler stabilire fin d'ora il regno glorioso sulla terra. Gesù è Messia non secondo le attese del popolo di Israele e i desideri dei discepoli. Quando termina la voce celeste “Gesù è trovato solo”. I due profeti con la nube sono spariti, mentre i discepoli si trovano dinanzi alla umanità di Gesù.
Luca non riferisce l'ordine di tacere dato da Gesù ai suoi discepoli (Mc 9,9 e Mt 17,9), ma constata che essi non hanno parlato di questo evento: “essi tacquero”.
E' un silenzio non dovuto ad un ordine. E’ un silenzio che si imponeva da sé, dinanzi ad un evento soprannaturale che ha segnato profondamente il cuore dei tre discepoli e che non riescono a capire. Essi conservarono il silenzio “in quei giorni”, cioè per tutto il tempo che Gesù era con loro.
Dopo la risurrezione , il Risorto stesso aprirà la loro mente e la loro intelligenza.
La trasfigurazione conferma così l'identità filiale di Gesù, pienamente obbediente al progetto salvifico del Padre...il tempo del cammino verso Gerusalemme è ormai vicino (Lc 9,51).
Approfondimento personale
- Gesù è spesso in preghiera. Abbiamo mai aderito ad un tempo di silenzio, di preghiera, di ritiro, di esercizi spirituali?
- Gesù è un uomo, un Maestro, è un Messia, ma ha in sé un mistero molto più grande: è il Figlio di Dio. Lo crediamo veramente?
- Anche noi siamo “oppressi dal sonno”, fatichiamo nel credere ed entrare nel progetto di Dio?
- Vogliamo, come Pietro, fermarci nelle nostre “tende” o metterci in cammino?
- Dio stesso ci domanda di ascoltare Gesù. Accogliamo il suo appello?
- Ci sembra impossibile incamminarci sulla via di Gesù? Ci appare sconfitto agli occhi del mondo? Vale la pena giocarsi la vita per Lui? Siamo persuasi che la sua proposta di vita pur impegnativa, conduce alla gioia ed alla pace?
- E' necessaria la “via crucis” perché il Servo entri nella sua gloria. Quello che ha fatto, i miracoli, le parole, le controversie, gli scontri, ma anche quello che farà, la sua passione, la sua morte, l'abbandono dei suoi, tutto è contemplato come gloria. Restiamo perplessi dinanzi al legame paradossale tra “gloria” e “sofferenza”?
- Riusciamo ad accettare le nostre sofferenze, il nostro dolore, le nostre amarezze nel modo come Gesù le ha vissute? Non è facile accettare...chiediamo, nei momenti di prova e di difficoltà, il conforto di Dio.
- La trasfigurazione è stato un “evento soprannaturale” che ha riguardato Gesù, più di una “visione”. Conosci qualche esperienza mistica di alcuni santi (come Francesco d'Assisi)?
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