Preghiamo con “I salmi penitenziali” chiedendo al Signore di essere sempre “misericordioso” verso di noi e di aiutarci ad esserlo verso gli altri.
I sette salmi penitenziali, cioè i salmi “6 , 32, 38, 51, 102, 130,143” ci illumineranno sulla nostra realtà di “peccatori”.
Salmo 6
Ogni notte io piango
Signore, non rimproverarmi nella tua ira,
non correggermi nella tua collera.
Pietà di me, Signore, perché sono sfinito,
guariscimi, Signore, perché sono sconvolte le mie ossa.
Il mio essere è tutto sconvolto,
ma tu, Signore, fino a quando?
Ritorna, Signore, portami in salvo,
salvami a motivo del tuo amore.
perché nella morte non c’è ricordo di te,
negli inferi chi ti rende grazie?
Sono stremato dal mio gemere,
ogni notte inondo il mio letto,
di lacrime bagno il mio giaciglio.
I miei occhi si consumano nel dolore,
fuori dalle orbite per tutti i miei avversari.
Allontanatevi da me, voi tutti malfattori,
perché il Signore ascolta la voce del mio pianto,
il Signore ascolta la mia supplica,
il Signore accoglie la mia preghiera.
Sono svergognati e molto sconvolti tutti i miei nemici,
arretrino e siano svergognati all'istante.
Il salmo 6 è la preghiera di un uomo gravemente ammalato. Il tema della sofferenza attraversa l’intero libro dei Salmi ed in particolare i salmi 6, 38, 41, 88, 102, 143 (i cosiddetti “salmi dei malati”).
L’uomo è in una situazione di grande sofferenza: le sue ossa tremano sconvolte, i suoi occhi si consumano nel dolore versando lacrime abbondanti, il suo respiro è affannoso, il riposo notturno, nel suo letto di dolore, è impossibile.
Il suo pianto e le sue lacrime sono la sua “preghiera”, più espressiva di tanti discorsi…
Eppure, anche in tali condizioni, l’uomo si rivolge con insistenza al Signore, nominato per ben otto volte e supplicato con dei verbi all’imperativo. Egli sa di non avere alcun merito e di contare solo sull’amore del Signore, che è più forte di ogni sofferenza e più grande di ogni peccato.
Il Salmo affronta un punto molto delicato: la relazione tra peccato e malattia o, meglio tra malattia e castigo di Dio per i peccati commessi (“non rimproverarmi..non correggermi…pietà di me”). Oggi sappiamo che non c’è una tale relazione. Ma, quando siamo colti dalla malattia, non sentiamo di più la nostra fragilità anche di peccatori ed il nostro desiderio di Dio?
Troviamo anche una parola di rimprovero: Signore fino a quando? Fino a quando non libererai la mia anima? Al centro del salmo, dopo aver chiesto al Signore di ritornare, giunge fino a ricattarlo: “nella morte non c’è ricordo di te, negli inferi chi ti rende grazie?”. Fino al III-II secolo a.C. si pensava che, dopo la morte, c’era lo Sheol, un luogo di non vita.
Nell’ultima parte del salmo appaiono i nemici del malato, i “malfattori”. Forse la malattia lo induce a considerare avversari anche gli amici, incapaci di confortarlo. In ogni caso il Signore ascolterà il suo pianto, accoglierà la sua preghiera, mentre i nemici saranno sconvolti, ritorneranno indietro e conosceranno la vergogna.
Nei vangeli le parole del salmo risuonano sulle labbra di Gesù:
“Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora?” (Gv12,27).
“Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità” (Mt7,23).
O Dio, che esaudisci tutte le preghiere,
esaudisci la voce supplicante del nostro pianto
e accorda alle nostre debolezze
una guarigione definitiva.
Accogliendo con bontà
il gemito della nostra fatica,
consolaci sempre con la tua misericordia.
(Orazione salmica di tradizione romana)