Gesù appare ai discepoli, senza Tommaso
Gv 20, 19-23
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Intanto arriva la sera di quello stesso giorno, già annunciato da Gesù: “In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me ed io in voi” (14,20). I discepoli si trovano riuniti nel Cenacolo, hanno ascoltato l’annuncio di Maria di Màgdala, ma non riescono a coglierne il senso. Hanno paura dei giudei e si nascondono dietro le porte chiuse.
Sono impauriti, come Israele poco prima della Pasqua. E’ la paura che ci fa sentire soli, che non ci fa andare verso gli altri, che porta buio nei nostri cuori. Ma questa è la notte in cui il Signore ci libera da ciò che ci opprime 4.
In questa paura “venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!”. E’ nella comunità che Gesù si fa vedere e conoscere come risorto. La pace che dà Gesù è molto di più di un semplice saluto, è una pace interiore che nasce dalla sua presenza. “Venne” comeaveva promesso nel discorso di addio: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi” (14,18).
Così, dopo l’incontro di Maria di Màgdala nell’amore, Gesù ci incontra nelle nostre paure, nelle nostre fragilità, nel nostro peccato, nelle nostre chiusure, nel nostro buio.
Gesù non li rimprovera per le loro paure, non rimprovera Pietro che l’ha rinnegato, mostra le mani trapassate dai chiodi ed il fianco trafitto: sono le ferite, i segni che hanno rivelato il suo amore “fino alla fine” per ciascuno di loro e per tutti noi.
Perché Maria di Màgdala e i discepoli non riconoscono subito Gesù? Come loro anche noi possiamo essere accecati dalle lacrime e dalle nostre paure. Maria lo riconosce solo quando Gesù la chiama per nome, i discepoli lo riconoscono solo quando mostra le ferite.
I discepoli “videro” che era il “Signore”. Il loro “vedere” è il loro “credere”. Da questo incontro personale con il Crocifisso risorto nasce una grande gioia, come Gesù aveva promesso: “Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia” (16,20).
Ripetendo il saluto di pace, Gesù chiama i discepoli alla “missione”: “come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre – rivelare l’amore del Padre (“Chi vede me vede colui che mi ha mandato” - 12,45) – è la stessa che i discepoli ricevono ora da Gesù – andare verso i fratelli manifestando l’amore di Gesù.
Questa missione riguarda ciascuno di noi. I discepoli spaventati e confusi sono chiamati così a continuare insieme la missione data a lui dal Padre: “Chi accoglie colui che io manderò accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (3,20).
Questa missione, tutt’altro che facile, diventa possibile con l’aiuto dello Spirito santo che Gesù dona con il suo “soffio”; un dono che aveva promesso durante l’Ultima Cena (15,26).
Gesù risorto dona lo Spirito la stessa sera di Pasqua, non aspetta cinquanta giorni (Pentecoste) come in altri scritti del Nuovo Testamento. Se il soffio di Dio nella Genesi diede la vita (Gn 2,7), il soffio, il respiro di Gesù dà la vita eterna, la vita di Figlio di Dio: “In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (3,5). Con il dono dello Spirito Gesù compie una nuova creazione (l’uomo nuovo).
Giovanni collega il dono dello Spirito al potere sul peccato. Gesù era stato mandato dal Padre come “l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (1,29); ora egli dà ai suoi discepoli questo potere. Il potere di perdonare e non perdonare è legato al fatto che la venuta di Gesù ci porta ad una scelta e ad un giudizio: vogliamo vivere nelle tenebre o nella luce? (3, 18-21).
Sta a noi discepoli vivere e testimoniare Cristo, aiutare tutti a prendere una decisione nella loro vita, a dare a tutti quel perdono che Gesù ha dato sulla croce, un perdono che ha rivelato un amore più grande del male.
Finisce così il tempo di Gesù ed inizia il tempo della Chiesa, in cui siamo tutti figli di Dio e fratelli di Gesù, vivendo dello stesso Spirito.
Grande è la nostra responsabilità a testimoniare l’essere discepoli di Cristo, perché, senza forse esserne consapevoli:
“Parliamo di Gesù, ma non viviamo di Gesù.
Parliamo di amore, ma non viviamo di amore”.
(Meditazione di Jean Vanier)