Nel numero di novembre del nostro giornalino è stato integralmente pubblicato il discorso tenuto da papa Benedetto XVI al parlamento tedesco, il 22 settembre 2011 durante l’importante visita da lui compiuta in Germania. E’ un discorso molto importante e ricco, ma di non facile lettura. Sembra opportuno quindi riprenderlo, commentandone le argomentazioni più importanti e significative.
Cerchiamo anzitutto di precisare qual è stato l’intento del pontefice nel pronunciare questo discorso: era sua intenzione, come lui stesso dice, spiegare “i fondamenti dello stato liberale di diritto”, far capire cioè come si sia giunti a ritenere fondamentali e non eliminabili alcuni diritti quali la libertà e l’uguaglianza davanti alla legge dei cittadini, sui quali si basano gli stati che oggi definiamo moderni e democratici. Attraverso quale percorso, cioè, si è passati dall’idea che il potere appartiene al gruppo più forte (o al più ricco o al più prepotente) che domina tutti gli altri imponendo loro le leggi che esso solo stabilisce, all’idea che al potere ci va colui che i cittadini liberamente designano e il cui operato deve rispettare i limiti e le garanzie imposte da una legge fondamentale, la costituzione, nella quale sono contenuti principi fondamentali condivisi da tutta la comunità?
Per aiutarci nella riflessione il Papa ricorda anzitutto che il giovane re Salomone, avendo la possibilità di avanzare a Dio una richiesta nel giorno della sua intronizzazione, chiede di avere un “cuore docile ...che sappia distinguere il bene dal male”. Pur essendo giovane, Salomone ha capito che la cosa più importante per chi deve guidare un popolo è avere la capacità di individuare il male, cioè l’ingiustizia, per poterlo combattere in modo da realizzare la giustizia. Il dovere principale del politico, dunque, è quello di combattere l’ingiustizia, lasciandosi guidare solo dal diritto e non certo dal profitto personale o dal desiderio di successo.
Se questo era vero ai tempi del re Salomone –sottolinea il Papa - è vero ancor di più oggi, in tempi cioè in cui l’uomo ha un potere assai grande, molto più che in passato: può distruggere il mondo, può manipolare sé stesso. E’ oggi più che mai necessario che gli uomini politici si mettano al servizio del vero diritto, perché solo così si porranno le condizioni per realizzare la giustizia e quindi la pace. La storia, del resto, ci ha insegnato che quando chi sta al potere aveva calpestato il diritto “lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio.” Il riferimento al nazismo è evidente. In situazioni simili, quando cioè chi è al potere calpesta il diritto, è legittimo e anzi doveroso opporsi, perché in questo modo si rende un servizio al vero diritto e si combatte l’ingiustizia. In situazioni simili, cioè, è evidente che le leggi in vigore non sono al servizio della verità e che quindi occorre combatterle.
Non sempre però è altrettanto semplice stabilire che cosa sia veramente giusto. Dobbiamo quindi domandarci quali siano i criteri cui far riferimento per riconoscere ciò che è giusto e quindi stabilire delle leggi che siano al servizio della giustizia. Sempre seguendo il discorso del Papa, cerchiamo ora di vedere come storicamente gli uomini abbiano tentato di risolvere questo problema. In diverse civiltà antiche, le leggi hanno avuto un fondamento di carattere religioso: gli uomini cioè hanno individuato ciò che era da ritenersi giusto, facendo riferimento alla rivelazione della divinità e sulla base di ciò hanno stabilito le leggi da rispettare. Successivamente, nel mondo greco e poi in quello romano si è affermata l’idea che fondamento delle leggi debbano essere la natura e la ragione, tra loro correlate. Più avanti i teologi cristiani hanno aderito a questa concezione e hanno ritenuto anch’essi che la natura e la ragione fossero da ritenersi i punti di riferimento della legislazione: entrambe sono state create da Dio ed è quindi logico che siano tra loro in armonia. Fondamento delle leggi è stato da allora ritenuto il “diritto naturale” e questa è stata l’idea alla quale i legislatori si sono da allora attenuti, fino all’inizio del Novecento, quando si è verificato un cambiamento fondamentale per influenza –in campo giuridico- della corrente filosofica denominata “positivismo”. La natura non è stata più vista come creata da Dio, dal quale derivano le motivazioni profonde e i valori che in essa sono contenuti come anche i fini verso cui essa tende. Al contrario, la natura è vista come un insieme di oggetti legati fra di loro solo da rapporti di causa-effetto : l’unica cosa che è possibile fare è capire come essi funzionino e spiegare le ragioni per cui ciò avviene. Anche la ragione, vista in questa ottica, viene considerata come capace solo di analizzare e verificare scientificamente gli oggetti in modo da discernere ciò che funziona da ciò che non funziona. Tutto ciò che concerne la morale e il diritto (e anche la religione) è considerato come qualcosa che non vale la pena prendere in considerazione, perché non fondato su basi scientificamente dimostrabili (concezione positivista della natura e della ragione).
Il Papa fa notare a questo punto che nell’Europa di oggi è ampiamente diffusa l’idea che solo questa cultura positivista debba essere alla base della formazione del diritto: tutti gli altri valori sono ritenuti “sottocultura”, non degni quindi di essere presi in considerazione. Ciò contrasta con quella che è stata la storia della cultura europea, per circa 19 secoli e, soprattutto, non consente di legiferare in modo che le leggi siano al servizio della giustizia, almeno in materie concernenti la morale: secondo questo modo di vedere, infatti, non è possibile appellarsi al “cuore docile” (cioè alla coscienza retta) per comprendere la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male, perché l’unica cosa che la ragione può fare è osservare i comportamenti e le scelte e non ‘regolarli’. Non esisterebbe quindi una morale valida per tutti, ma tante morali quanti sono gli individui. Una ragione che si autolimita in questo modo, assomiglia, dice Benedetto XVI “agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio”. Il Papa sottolinea che la cultura positivista ha dato un grande apporto allo sviluppo della conoscenza e quindi non va certo rinnegata, ma ribadisce con forza che non si può dimenticare che l’uomo non è solo materia, ma anche spirito e volontà; l’ecologia ci ha insegnato a rispettare la natura, compresa - bisogna aggiungere – quella umana che non può essere manipolata a piacimento. Solo se rispetta la propria natura, l’uomo esercita veramente la sua libertà. L’uomo quindi non può non riconoscere che non si è creato da sé. Legittimo è allora interrogarsi sull’esistenza di un Dio creatore.
Benedetto XVI conclude il suo discorso con un forte richiamo alle radici culturali dell’Europa. Dice infatti: “A questo punto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturale dell’Europa. Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico”.
Se dunque, come Salomone, vogliamo avere un “cuore docile” che sappia distinguere il bene dal male è ancora ai concetti di natura e ragione che dobbiamo fare riferimento, tornando in qualche modo alle nostre radici.
A cura di Antonella