IL MONACHESIMO
A proposito di ‘radici cristiane’, parleremo questa volta di un fenomeno che ha interessato l’Europa del primo millennio e che ha fortemente contribuito al formarsi di un sentire comune e di una comune cultura: parleremo cioè del monachesimo e vedremo come uomini spinti dal desiderio di cercare Dio e di vivere una vita simile a quella degli apostoli di Gesù si rivelarono fondamentali per la nascita di una nuova civiltà.
Alcuni decenni dopo la morte e la resurrezione di Gesù, numerose erano le comunità cristiane sorte e sviluppatesi in Asia Minore e in Grecia; ben presto, attraverso i viaggi di Pietro, Paolo e dei loro compagni il cristianesimo raggiunse Roma, dove a metà del primo secolo, esisteva ormai una comunità piuttosto numerosa, che dovette affrontare la persecuzione dell’imperatore Nerone, la prima di molte altre fino all’ultima, quella di Diocleziano, forse la più severa. Successivamente, con Costantino (313) la situazione mutò. Ormai i cristiani potevano predicare liberamente, costruire chiese (non a caso le prime grandi basiliche vengono definite ‘costantiniane’) ed evangelizzare senza paura. Rapidamente, comunità cristiane sorsero in ogni parte dei territori appartenenti all’Impero romano e anche oltre. Una parte molto importante nella diffusione del cristianesimo la ebbero i monaci, soprattutto a partire dal VI secolo: l’ultimo imperatore d’occidente era stato deposto dai barbari (476): l’impero continuava a Costantinopoli, l’Europa era in una situazione di disordine e di insicurezza notevole, le città si svuotavano, la gente sembrava aver perso ogni stabilità.
Lo sviluppo del monachesimo si inserisce quindi in un clima sociale e culturale particolarmente critico. Per la verità l’Europa già conosceva alcune esperienze monastiche (fino ad allora tuttavia più diffuse in Oriente che in Occidente), come ad esempio quelle facenti capo a San Martino di Tours (morto nel 397, aveva fondato i primi monasteri in Francia). A partire dal VI secolo, però, la diffusione del monachesimo aumenta e si rivelerà di particolare importanza per il futuro dell’Europa cristiana. Due sono i personaggi che in particolare ricordiamo, per descrivere questo fenomeno: il primo di essi è san Benedetto. Era nato a Norcia probabilmente nel 480 ed era stata mandato a Roma per studiare, ma l’atmosfera della città che egli giudicava corrotta e depravata, lo spinse a ritirarsi in un eremo presso Subiaco; solo in un secondo momento - sollecitato anche da alcuni monaci che erano venuti in contatto con lui e ne ammiravano la vita di preghiera e di grande spiritualità - si accostò all’esperienza della vita monastica fino a fondare egli stesso un monastero a Subiaco e poi a Montecassino, raccogliendo intorno a sé tanti uomini che gli si avvicinavano alla ricerca di una guida spirituale e di un punto di riferimento. Per i suoi monaci Benedetto, anche riferendosi a precedenti documenti simili, elaborati da abati di varie comunità, scrisse una “Regola” , basata sul principio dell’Ora et labora (Prega e lavora): egli volle, cioè, che i monacisi dedicassero,oltre che alla preghiera – privata e in comune – anche al lavoro . Fu così che il monastero di Montecassino prima e via via tutti gli altri che furono fondati, divennero dei centri fervidi di lavoro manuale ed intellettuale: i monaci si dedicarono all’agricoltura ripristinando anche antiche colture e contribuendo alla modernizzazione delle tecniche, all’artigianato, alla cura e alla trascrizione paziente e accurata degli antichi manoscritti, svolgendo così un’opera di fondamentale importanza per la conservazione della cultura classica. La ‘regola’ di san Benedetto si diffuse anche presso molti altri monasteri sparsi in tutta Europa, già esistenti o fondati successivamente, finché, ai tempi di Carlo Magno, soppiantò tutte le altre.
La diffusione in Europa della Regola benedettina e del monachesimo in sé fu fortemente accelerata dall’opera del grande pontefice san Gregorio Magno; anch’egli era monaco e ammirava molto la figura di Benedetto da Norcia, del quale scrisse anche una biografia. Gregorio Magno inviò numerosi monaci (quaranta, tutti provenienti dal monastero sul Celio, oggi intitolato proprio a san Gregorio) in Inghilterra ad evangelizzare gli Anglossassoni: missione poi proseguita da un altro monaco, Bonifacio (680-754), la cui straordinaria attività evangelizzatrice si indirizzò anche ai popoli della Germania. e dell’Europa centrale
Cosparsa di monasteri era dunque l’Europa del primo millennio, all’interno della quale i monaci portarono in ogni luogo la novità del “prendersi cura”: dei luoghi (agricoltura), delle cose (artigianato), dei libri (conservazione e riproduzione degli antichi manoscritti), delle persone, dovunque esempio di laboriosità e di autentica vita cristiana. Dobbiamo pensare ai monasteri dell’Europa del primo millennio non come a dei luoghi riservati solo ai monaci, chiusi, all’interno dei quali fosse impossibile entrare. Al contrario, i monasteri erano luoghi aperti al territorio e all’accoglienza. Ognuno di essi aveva un luogo riservato a chiunque chiedesse ospitalità, perché bisognoso di cure, o perché desideroso di essere istruito nella fede cristiana: era il cosiddetto ‘hospitium’ (da dove deriva ‘ospedale’)
Soprattutto va sottolineato che la cura e la trascrizione paziente e accurata degli antichi manoscritti, fu opera di fondamentale importanza per la conservazione della cultura classica e per la formazione della civiltà europea. I monasteri insomma divennero centri di produzione e di cultura, intorno ai quali e su sollecitazione dei quali anche la vita civile si riorganizzava e nascevano nuovi insediamenti. La gente ritrovava il senso del vivere insieme in comunità e di lavorare insieme per un bene comune. I monaci che avevano lasciato il mondo per vivere più vicini a Dio, paradossalmente cambiarono il mondo di allora, con un lavoro paziente, continuo, gioioso aiutando la gente a ritrovarsi, incoraggiando con l’esempio concreto le persone a fare affidamento su se stesse e sul frutto del loro lavoro. L’Europa si formava così una identità tutta propria, basata sulla comune fede cristiana e sui valori anche umani e civili che essa presuppone: l’uguaglianza delle persone (tutti figli di Dio, tutti fratelli in Cristo), la solidarietà, il rispetto della vita e della persona accompagnato quest’ultimo da un atteggiamento che oggi definiremmo ‘ecologico’, l’etica del lavoro ben fatto, perché lavorare è in qualche modo collaborare con l’opera creatrice di Dio e quindi il lavoro, anche quello manuale, è espressione della somiglianza dell’uomo con Dio.
Più volte Benedetto XVI ha parlato dei monaci del medioevo, sottolineando che la motivazione che li guidava era il “desiderio di Dio”,quaerere Deum: “volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile.” In questa loro ricerca sapevano di doversi affidare alla Parola di Dio: avevano bisogno di conoscerla, di studiarla, di approfondirla. Ecco perché tutti i monasteri avevano anche una biblioteca, cui è collegata l’opera di conservazione della cultura classica di cui ho parlato più sopra. Dice ancora Benedetto XVI. “ Del monachesimo fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili”, sottolineando così l’importanza del monachesimo nella costruzione dell’Europa.
Quando il 24 ottobre del 1964 Paolo VI proclamò san Benedetto patrono d’Europa aveva in mente tutta l’attività dei monaci dell’Europa del primo millennio, in qualche modo ‘riassunti’ nella figura di questo santo, dalla cui ‘Regola’ la maggior parte di essi scelse di lasciarsi guidare .
A cura di Antonella