Tranche ipnotica (Dada Prunotto)
Non sapevo spiegarmi perché tendo ad addormentarmi davanti alla TV, anche quando si trasmette qualcosa che m’interessa.
Ora leggo che il tubo a immagini della televisione è costruito sulla base di un “cannone” che proietta sullo schermo, concentrandoli, fasci di elettroni. La parte interna dello schermo è ricoperta da una rete di migliaia di punti, la cui fluorescenza può essere eccitata nei tre colori di base della TV a colori. Ogni volta che il fascio di elettroni colpisce uno di questi punti, questo emette una luce tanto più intensa quanto più intenso è il fascio.
Dunque noi abbiamo l’illusione dell’immagine, ma in realtà noi vediamo la traduzione dell’energia luminosa in immagini visive; questo processo avviene nel nostro cervello circa dieci volte al secondo. Grazie ad uno sguardo fisso, combinato con la persistenza dello schermo, gli occhi sono, per così dire, “ingannati” e accettano le immagini come se fossero reali. Queste sono le condizioni ottimali per una tranche ipnotica.
Se si guarda a lungo la TV, può succedere di subire passivamente quanto viene proiettato, quasi come sotto ipnosi; o addirittura, come accade a me, di addormentarsi.
Nello stato di tranche si è particolarmente ricettivi, immobili come forzatamente dobbiamo stare di fronte alla TV. Gli occhi anche non si muovono e l’attività dei due emisferi cerebrali è ridotta al minimo. Alcuni studi hanno rilevato che quando gli occhi non sono in movimento ma restano fissi, l’attività del pensiero si riduce, perché il movimento degli occhi e il pensiero sono strettamente collegati. Una conseguenza è il crearsi uno stato di veglia passivo, artificiale nel nostro cervello, assuefatto ormai ai bagliori discontinui e bluastri dei cambi di inquadratura, e allo scintillio rapido, che – appunto – ipnotizza.
La TV ha un potere di persuasione occulto molto forte, date le premesse, e influenza ovviamente molto i bambini ed i giovani. Persino il linguaggio comune coglie i modi di dire televisivi. Al mattino ormai tutti ci auguriamo “buona giornata”; quasi nessuno augura più semplicemente il buon giorno. Non si dice più: “giusto”, ma “esatto”, come si sente dire nelle trasmissioni a quiz; facciamo “un bell’applauso”, ci incita il presentatore di turno, e noi, obbedienti, battiamo le mani a comando.
E’ tale l’abitudine ormai all’applauso che ormai esso scatta automatico ai matrimoni quanto ai funerali, in chiesa, a scuola, in ospedale e sul posto di lavoro…
L’applauso ci fa sentire protagonisti, come quelli che vediamo in TV, a fare il finto pubblico, che applaude quando compare la scritta: “applausi”. Questo è il pubblico pagato per assistere dal vivo allo spettacolo e applaudire a comando, noi spettatori da casa siamo invece coloro che scimmiottano perché “se lo fanno in televisione vuol dire che va bene così”.
A proposito di “va bene”: chi ancora dice “va bene” quando è d’accordo su qualcosa? Ormai dicono tutti “Ok”, lo impone l’uso comune di una lingua – quella inglese – per i più soltanto imparaticcia, sciatta, giusto quello che basta per scrivere il messaggino SMS breve, oppure per navigare su internet.
E “il bello della diretta”? Ormai è diventata uso comune questa frase inventata da Minà, giornalista. Lo dice chi cade e vuole sdrammatizzare, chi si rovescia addosso il caffè al bar, ecc, ecc.
Ma allora, il resto della vita di tutti i giorni, quella che non fa notizia, quella non “spettacolarizzata” è in differita?