(Continua la storia di Maria Luisa)
PERCHE’ PROPRIO IO
Venne la Pasqua e, come il Natale, la trascorsi a casa mia. Fui felice, anche se mi accorgevo sempre di più di non trovarmi tanto a mio agio. Notavo che tutti i miei avevano sempre la solita armonia e spigliatezza, mentre io stavo perdendo terreno a poco a poco, e questo mi faceva soffrire, ma era sempre casa mia.
Ricordo di aver chiesto a mia madre il fornellino di terra cotta che mi avevano portato “i morti” e seppi che era stato rotto da mio fratello Domenico. Ne fui dispiaciuta, mi misi a piangere e mamma mi consolava spiegandomi che non l’aveva fatto a posta.
Un paio di anni fa mi trovavo con mio marito in via Etnea, di Natale, e stavamo guardando un presepe allestito in una viuzza impersonato da statue grandi, quando ad un tratto vidi in un angolo di cottura, una donna che cucinava proprio in un fornello grande di terracotta. Mi rividi proprio quand’ero bambina e dissi a Michele: “Come vorrei avere uno di quei fornelli”!!!”... “Se lo trovo te lo compro, mi disse Michele, sai, è difficile trovarlo adesso”. “Ricordi la storia che ti ho raccontato del mio fornellino?” Col suo braccio mi cingeva le spalle, dicendo. “Si che me la ricordo”.
La mia “vacanza” Pasquale, finì in un baleno e come al solito tornai nella mia “prigione”
In un certo senso per me era proprio una prigione e iniziava la mia tortura fisica e psicologica.
Ogni mattina andavo dal giornalaio a comprare il giornale “La Sicilia” per il signor Angelo. Era a pochi passi da casa. Il vicinato cominciava a conoscermi, anche perché mi vedevano uscire sempre con loro. A volte mi chiedevano come mi chiamavo, se avevo i genitori, come mai stavo con i “signori” e se mi trattavano bene.
Tutte queste domande mi davano tanto fastidio e mi rattristavo, soprattutto quando qualcuno diceva “Poverina! È così bellina!!!...”
La signora a volte si accorgeva, di ciò e mi chiedeva cosa mi dicessero, perché aveva paura che io raccontassi i modi in cui mi trattava. Infatti mi proibiva di soffermarmi se qualcuno mi chiedeva qualcosa e diceva: “Tu non devi raccontare niente”, così io dovevo avere anche paura di parlare.
Sua nipote Paola aveva una donna che stava sempre con lei per aiutarla in casa. Era un tipo strano, zoppicava un po’, piuttosto minuta, le braccia corte, le mani piccole, non che si potesse dire nana, ma nemmeno che fosse normale. Però era brava e la signora Paola la trattava bene. Questa donna aveva un nome che per me suonava piuttosto buffo, si chiamava Filippina, insomma a volte io e Laura di nascosto ridevamo di lei.
Quando a volte Filippina stava male la signora Anna mandava me per aiutare sua nipote Paola e non lo nego che a me faceva piacere, perché lì respiravo un’aria diversa, e potevo scambiare qualche parola con Laura.
Quando veniva mia madre a trovarmi, per parlare con la signora Anna, io come al solito, dovevo stare in cucina perché la signora non voleva che sentissi i loro discorsi. Io però sentivo qualche parola e capivo che trattassero di affari, per esempio la compravendita di biancheria. Dopo di che mi chiamava per salutare mia madre, e dalla cucina come al solito, il rumore dei tacchi di mia madre che sentivo risuonare dalla scala, si ripercuotevano nel mio cuore.
La sera quando andavo a letto, prima di dormire, dicevo le preghiere e parlavo con il Crocifisso che era appeso accanto al mio letto: “Gesù, perché proprio io e non un’altra delle mie sorelle? – Perché proprio io devo stare lontana da tutti loro?” Non avevo nessuna risposta, naturalmente, e alla fine mi addormentavo.
Venne l’estate e la signora Anna che, ogni anno andava a Chianciano, mi lasciò a casa mia per una decina di giorni. Pensate come ne fui felice. Con mia sorpresa non trovai Gianni a casa e chiesi di lui. mi raccontarono che, sempre per lo stesso motivo mio, era andato in “collegio”.
Ricordo che ci rimasi molto male e mi misi a piangere. Mamma mi diceva che tutto questo lo faceva per noi perché essendo i più piccoli potevamo avere un avvenire migliore. In collegio avrebbe studiato e imparato qualcosa di buono. Mi accorsi di essere rimasta da sola e con chi avrei potuto giocare? e pensavo: Prima c’era Graziella e Gianni per poter giocare con me, adesso sono rimasta sola e la più piccola di tutti.
C’erano alcuni compagnetti di prima e quando mi vedevano mi chiedevano: “Ma dove sei stata tutto questo tempo?” Un altro diceva: “Mia madre dice che tu fai la cameriera! È vero?”Io a queste domande non sapevo cosa rispondere, li guardavo in silenzio e vedevo che si allontanavano per giocare tra di loro. Li vedevo andare nella palestra e, non potendo andare con loro, piangevo e piangevo. La cosa che mi faceva più soffrire era che Pierina e Rachele avevano le loro “amiche”, giocavano e parlavano tranquillamente, e non mi cercavano quasi mai. Si chiamavano tutti per nome ma il mio nome “Luisa” non lo sentivo quasi mai. Quindi mi trovavo a combattere questa barriera tra me e loro. Per potermi fare notare gridavo dentro di me: “Ci sono anch’io, vi siete dimenticati di me?” Unica consolazione: La sera potevo dormire accanto alla mamma nel suo letto, proprio come facevo prima.
Uno di questi giorni “liberi” sono andata con la mamma a trovare Maria a casa sua. Aveva una bella casetta ed io rimasi per qualche giorno da lei. Ci stavo volentieri e mi dimostrava tanto affetto e calore.
Un giorno davanti al portone di casa mia c’era nonna Rosa e Pierina: Era venuto il ragazzo che portava la spesa a qualcuno del palazzo. Pierina era un tipetto molto spassoso che ne combinava tante, il suo nome sarebbe dovuto essere “Pierino”. Questo ragazzo distribuiva la spesa con un triciclo. Quel giorno Pierina prese il triciclo e mi fece salire sopra chiamando anche altri bambini del quartiere e ci faceva fare lunghi giri per la via Ronchi, avanti e indietro. Lei guidava furiosa e spericolata, noi ci divertivamo. La strada era piuttosto in salita e tutto andava bene, di ritorno che la strada era in discesa, Pierina non riuscì più a mantenere l’equilibrio e il triciclo si rovesciò a terra con tutti noi. Quella che ebbe la peggio fui proprio io. Battei il lato destro del ciglio dell’occhio, urlai dal dolore e Pierina vedendomi sanguinare si spaventò tanto e mi disse: “Non diciamo niente a papà e mamma di come è successo”. Io piangendo le dico: “E alla signora Anna cosa dico? “ Lei rispose: “Diciamo a tutti che sei caduta da sola”.
E venne il giorno in cui la signora Anna ritornò. Mamma mi preparò le poche cose che avevo e andammo via. La signora, strada facendo, mi chiese cosa mi fosse successo all’occhio, perché ancora c’era il gonfiore, il nero era ancora evidente. Lì per lì risposi: “Sono caduta”. Notai nel suo viso una smorfia che capii dopo cosa volesse dire. Mi chiese anche se avevo salutato tutti poiché per un po’ di tempo a casa mia non sarei tornata. Non capii bene il significato di quella parola e le risposi che avevo salutato tutti. In cuor mio provavo una grande, immensa tristezza.
Una volta arrivati a casa capii il significato de quelle parole e della smorfia di prima. Intanto chiamò subito suo marito: “Angelo, guarda come è combinata Luisa!!!” Chiamò anche i suoi nipoti perché mi vedessero. Alla sua voce accorsero anche i vicini di casa e diceva: “Guardate l’occhio di Luisa com’è ridotto! Sono sicura che se fosse rimasta qui non le sarebbe successo. Guardate!!! È anche più pallida in viso”. Ecco il motivo della sua smorfia. Doveva fare la sua solita “sceneggiata”.
Io sembravo di ghiaccio, mi vergognavo tanto ed avrei voluto gridarle in faccia: “Preferisco aver subito tutto questo piuttosto che stare qui con lei”!!! Invece, come al solito, stavo zitta e mi rodevo dentro. Pensavo tra me: “Bene ho fatto”!!!
(Continua al prossimo numero)