(Continua la storia di Maria Luisa)
ANCORA DALLA SIGNORA ANNA
Tornai a scuola, dietro mia richiesta, per completare la terza elementare, e trovai tutto cambiato, maestra e compagni. Certo, a me faceva piacere tornare a scuola, però mi dava sempre più fastidio il fatto che io ero troppo più grande degli altri miei compagni.
Certe volte mi trovavo a pensare ad un episodio che era successo nel periodo in cui ero stata a casa mia, riguardo mio padre.
Era una sera primaverile, quasi estiva, e mi trovavo davanti al portone, quando sentii delle voci che venivano dalla strada. Fra tutte quelle voci riconobbi quella di mio padre, e dal tono della sua voce capii che aveva bevuto un po’; forse le altri voci erano di ragazzi che lo insultavano e lo prendevano in giro. Poverino, la pena che mi faceva! Io dal portone assistevo a quelle scene, non solo provavo la vergogna, ma ancor più la pena e tenerezza per mio padre, nel vederlo insultato a quel modo, mentre lui barcollando, si girava invano per cacciarli via. Quando arrivò a casa, si sedette come un bambino su uno scalino; io gli stavo accanto pregandolo di scendere giù a casa, perché non sopportavo più di vederlo ancora insultato. Ma lui non ne voleva sapere e mi rispondeva in dialetto; “No, o patri, dda sunta maccupu, non ti scantarì, o patri, ora stri carusi, i mannu iu”. Ma quelli non la smettevano, “don Saru mbriaco, don Saru mbriaco, don Saru mbriaco”: Era come una cantilena, e mio padre stanco, intanto abbassava la testa, e sentivo il suo respiro molto affannato. Non ne potevo più di vedere quella scena così penosa. Ad un certo punto mi rivolsi a quei ragazzi gridando: Basta! Smettetela, lasciate stare mio padre! E mentre parlavo piangevo, e piangevo senza riuscire a trattenermi. Al che la cantilena sì rallentò un po, e mio padre diceva: “Lassati stari a me figghia” e rivolto a me, “Nun chianciri, o patri, ci pensu iu pi sti carusi!” Quando ripenso a quella scena non posso fare a meno di piangere, neanche adesso che la sto raccontando.
E venne un altro Natale, e io mi trovavo a casa mia.
Dalle discussioni che sentivo, capivo che c’erano storie sempre per Pierina. Ma lei, tanto per non sentirsi dire le stesse cose, la sera del 23 dicembre, prese in giro tutti quanti; soprattutto Gino, di cui aveva paura. Disse: “Sto andando su in terrazza a ritirare la biancheria asciutta”. Trascorso un po’ di tempo, incominciammo a chiamarla dalla porta del cortile. Nessuna risposta e tutti impensieriti andammo in terrazza a cercarla. Alla fine si capì che aveva preso il volo col suo Leonardo. Immaginate le scene che ci furono, pianti e lamenti, soprattutto da parte della mamma
Finite le feste tornai dalla signora Anna.
La sera incominciai ad andare a dormire da sua sorella Tina, per farle compagnia dato che era morto il marito ed andavo a dormire da lei ogni sera, dopo aver fatto cena e sistemato tutto.
La signora Tina, spesso, il pomeriggio andava da alcuni suoi amici a giocare a carte. Io, sapendolo, andavo direttamente da questi amici che abitavano vicino casa sua; oltre piazza Umberto. In queste occasioni avevo fatto amicizia con Annina, era la governante, più grande di me, era una brava ragazza. Io me ne stavo con lei, o in cucina, o in soggiorno. C’erano anche i figli di questi signori. Quando la signora finiva di giocare, ci ritiravamo a casa. Quando non andava a giocare, prima di andare a letto, ci sedavamo nello studio e lei passava un po’ di tempo a fare il solitario con le carte. Stavo a guardarla incuriosita perché era un solitario diverso da quelli che conoscevo io. Lei me lo insegnò. Io anche adesso, quando mi capita di fare un solitario, faccio sempre quello, forse mi attira di più perché è molto difficile, non riesce quasi mai.
Andare da lei la sera per me era un diversivo, soprattutto quando la signora Tina andava dai suoi amici. Però, una sera… Stavo facendo la stessa strada di tutte le sere, quando mi accorgo di essere seguita da un ragazzo. Li per lì attraversai la strada dal lato dove abitavano gli amici della signora sperando anche di togliermelo di dietro. Niente da fare; vidi con la coda dell’occhio che attraversò la strada anche lui. Vedendo ciò, incominciai ad aver paura, allungai il passo e dovetti costatare che lui fece altrettanto. A quei tempi la sera, c’era pochissima gente per strada. Il cuore mi batteva forte forte; aumentai il passo, e, arrivata in piazza Umberto, mi misi quasi a correre.
Alle mie spalle sentivo il rumore dei passi del ragazzo che correva anche lui
Lo sentivo anche borbottare, non capivo bene quello che diceva, ma capivo benissimo che non erano parole belle che una ragazza, quasi quattordicenne, gradisce sentirsi dire.
Finalmente arrivai a casa, ed entrai di corsa dentro il portone, incominciai a salire sperando di fare da sola quella scala. Ma, ahimé, non era finita. Feci quella scala aggrappandomi alla ringhiera e con tutte le mie forze feci quei gradini a due a due, forse anche a tre. Il cuore, da come mi batteva, sembrava che dovesse uscirmi dal petto da un momento a l’altro; arrivata al terzo piano, mi attaccai con una mano al campanello senza lasciarlo un attimo, mentre con l’altra mano battevo alla porta e chiamavo, chiamavo. Sono stati attimi, ma per me erano secoli. Lui stava quasi arrivando dov’ero io, ma finalmente si sentì il rumore della porta che stavano per aprire. Così, quel mal ragazzo, come di corsa era salito, di corsa lo senti scendere.
Alla porta venne Annina e con lei gli altri, richiamati dal continuo suono del campanello e del mio richiamo di aiuto. Una volta al sicuro, prima di raccontare cosa mi era successo, cercai di calmarmi un po’. Tutti si sono preoccuparono per me. Raccontai l’accaduto, piangendo e tremando ancora di paura. Naturalmente lo seppe anche la signora Anna.
Spaventata dell’accaduto, la sera mi mandava dalla sorella, ancora prima del solito. Poi sua sorella prese una ragazza per sua compagnia e tutto finì.
Eravamo quasi in primavera e c’erano i preparativi per il matrimonio di Pierina, aspettava di già un bambino.
Mi ricordo che per quella occasione, la signora Anna mi fece cucire, dalla sarta, un vestitino tutto nuovo per la prima volta. Era di colore rosa antico, scampanato con delle sottilissime piegoline dietro, puntate a macchina. Per le scarpe ci fu un dilemma, perché io tempo prima, mentre facevamo la spesa alla pescheria, ne avevo viste un paio molto belle, in un negozio vicino al Duomo. Erano bianche, tipo ballerina, con un fiocchetto davanti. Quando siamo usciti per comprarle, tutte quelle che vedevo e provavo altrove, non mi piacevano. Ne avevamo visto un paio rosa, quasi come il vestito, con una grossa fibbia davanti. Erano anche belline però non ne ero convinta, e la signora se ne accorse e mi chiese perché. Io le parlai di quelle che avevo visto in piazza Duomo. Devo dire che quella volta, la signora, dimostrò l’intenzione di accontentarmi, e cosi ci avviammo verso quel negozio. E ebbi finalmente le mie scarpette.
Ma ahimé mentre eravamo in piazza Università, ad un tratto una macchina, per scansare un ragazzo in bicicletta, salì sul marciapiede. Successe tutto in pochi minuti. La signora Anna sobbalzò in strada col pericolo di essere travolta dal filobus. Io saltai sul muso della macchina che mi scaraventò a terra rotolando su me stessa, non so per quanti metri.
Ricordo, ancora, come in un sogno, che mi sentivo a pezzi; ero tutta graffiata ma per fortuna non riportai nulla di grave. Ci portarono al pronto soccorso, mi medicarono le ferite, costatarono che tutto sommato stavo bene, mentre la signora Anna ebbe la peggio. Le trovarono alcune vertebre lesionate, e cosi dovette farsi un mezzo busto di gesso da usare quando andava a letto. Passando i giorni le mie piccole ferite scomparirono assieme ai dolori. Per la signora, invece, la degenza fu più lunga e spesso faceva pesare su di me le sue sofferenze. Ricordo che l’accaduto venne riportato anche sul giornale e che dovevamo essere risarciti, dei danni, dall’assicurazione. Però, quando io chiedevo alla signora per il mio risarcimento, lei mi rispondeva vagamente che probabilmente non ci risarcivano perché lei avrebbe perdonato l’investitore. Io invece capivo, dai discorsi che faceva con suo marito, che le cose non stavano proprio così.
Alla fine, comunque, il giorno delle nozze di Pierina, calzai lo stesso le scarpette bianche che a me piacevano tanto.
In quel periodo andavo al cinema ancora con più piacere di prima, perché un giovane impiegato del locale mi corteggiava e a me piaceva. Quella fu la prima cotta che presi.
Incominciai a sentire dentro di me qualcosa che ancora non avevo provato mai. era un bel giovane, bruno, con gli occhi neri, che, quando mi vedeva entrava al cinema insieme alla signora e a suo marito, gli brillavano e mi guardavano in un certo modo da farmi arrossire. Poi, notavo che spesso lungo i corridoi della sala guardava in alto dov’ero seduta io. Io lo riconoscevo subito attraverso la luce proiettata dallo schermo. Notavo il suo sguardo intenso su di me per via della sigaretta che, quando l’aspirava, gli si illuminava il viso. Certe volte me lo vedevo passare accanto al posto dove di solito ci sedavamo. Il cuore mi sobbalzava nel petto ogni volta.
(Continua al numero successivo)